SELLA, Pietro
– Figlio di Giovanni Antonio e di Anna Maria Giletti, nacque alla Sella di Mosso (oggi in provincia di Biella) il 1° giugno 1784.
Il padre, appartenente al terzo ramo dell’omonimo casato (che dal Seicento in poi aveva annoverato, oltre a fabbricanti e mercanti di pannilana e a possidenti di terre e vigneti, uomini di legge, amministratori feudali e titolari di cariche ecclesiastiche), negli ultimi anni del XVIII secolo aveva raggiunto una posizione eminente tra gli imprenditori biellesi, assicurandosi larghe quote negli appalti governativi per forniture militari. Successivamente, durante il dominio francese, Giovanni Antonio era stato non solo maire dei Comuni di Mosso Santa Maria e di Valle Superiore Mosso dal dicembre del 1801 al febbraio del 1809, ma anche uno degli imprenditori piemontesi che, in seguito all’abolizione dei precedenti vincoli corporativi, avevano saputo migliorare le loro cognizioni pratiche nell’attività manifatturiera. E questa sua particolare esperienza, insieme al fascino delle idee innovatrici provenienti dalla Francia napoleonica, avevano influito nella formazione di suo figlio Pietro.
Studente del corso di filosofia delle ‘regie scuole’ di Biella sino al 1797, poi giovanissimo apprendista nel tirocinio di fabbrica, aveva così acquisito sia il convincimento che occorresse svecchiare certi vetusti metodi di lavoro sia un abito mentale aperto alle novità. Di fatto, all’indomani della Restaurazione, dopo una preparazione e un’applicazione scrupolosa da semplice operaio presso un opificio inglese (per acquisire gli elementi essenziali di funzionamento di nuovi assortimenti di filatura), era stato in grado di avviare l’introduzione nel Biellese delle prime ‘meccaniche’ nelle operazioni di cordatura e filatura, importate dal Belgio delle officine Cockerill. Non solo. Aveva manifestato anche una ferma posizione, fin dagli ultimi mesi del 1816, nei confronti del Consiglio di commercio, avverso alla meccanizzazione degli impianti: «perché non togliere allora le ruote ai carri?», era stata questa la sua dura quanto orgogliosa replica al ripristino delle vecchie normative da parte delle autorità e ad altre preclusioni del governo, preoccupato di non sollevare lo scontento della manodopera all’indomani del ritorno in Piemonte della dinastia. Ma, al di là della polemica irruente (che sarebbe rimasta uno dei tratti distintivi della sua personalità) contro qualsiasi restrizione ancorata a certi paradigmi tradizionali, quel che lo caratterizzava era una visione d’insieme lungimirante dell’attività industriale. Egli riteneva infatti che per rilanciare la produzione tessile locale, altrimenti destinata a un inevitabile declino, si sarebbe dovuto agire in base a un’impostazione organica e coerente, dalla scelta di lane di alta qualità per alcuni tessuti da destinare a una clientela più esigente, all’installazione di nuovi macchinari. A tal fine sarebbe stato indispensabile l’inasprimento delle tariffe doganali all’importazione di panni e filati, per il tempo necessario all’aggiornamento dei mezzi tecnici di produzione e all’ammortamento dei relativi costi: così da poter tener testa alla concorrenza straniera nei mercati della penisola.
Divenuto nel 1820 consigliere del ministro Roger de Cholex e incaricato, cinque anni dopo, dalla Camera di commercio e agricoltura di Torino di provvedere alla compilazione dei regolamenti doganali per il settore laniero, s’impegnò nell’attuazione di varie importanti iniziative: la creazione di una prima officina per la fabbricazione di macchine tessili, la valorizzazione dei giacimenti di carbon fossile del Biellese, la chiamata dal Belgio di un nucleo di tecnici e l’instaurazione di assidui rapporti con alcuni mercati di negoziazione delle lane di maggior pregio. Ciò concorse a spezzare l’isolamento in cui viveva oramai da tempo l’imprenditoria delle sue contrade e che prima o poi avrebbe finito per incrinarne la preminenza nella lavorazione tessile.
Colpito da un infarto nella primavera del 1827 durante un viaggio a Pest, in Ungheria, dove si era recato per l’acquisto di lane fini, riuscì a fare ritorno in patria a dorso di mulo, insieme alle sue mercanzie, per poi lottare per alcuni mesi contro il male. Quando si rese conto della sua prossima fine, si fece portare nel suo stabilimento di Crocemosso, in mezzo agli operai e alle macchine, per spirare, il 15 dicembre.
Si trattò perciò di una morte esemplare per un uomo la cui rigorosa dedizione al mondo della fabbrica era sfociata in una sorta di fede religiosa nei valori fecondi del lavoro e nelle suggestive prospettive aperte al progresso economico dalla diffusione del macchinismo. Di qui la celebrazione della sua figura, elevata a pioniere dell’industrializzazione nello Stato sabaudo, da parte dei propri conterranei. E che anche Quintino Sella, all’insegna di una stessa etica del dovere e del lavoro, avrebbe poi condiviso nei riguardi di questo suo prozio, artefice sia di una svolta determinante nell’evoluzione dell’economia biellese sia delle crescenti fortune della famiglia Sella nell’ambito della borghesia imprenditrice subalpina.
Fonti e Bibl.: Archivio Sella San Gerolamo, Fondo Gregorio, Ragionamenti di Pietro Sella 1822.
P. S. e le origini della grande industria laniera, a cura di A. Botto, Biella 1925; V. Ormezzano, P. S. e la grande industria laniera italiana, Biella 1926; G. Quazza, L’industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, passim; V. Castronovo, L’industria laniera in Piemonte nel secolo XIX, Torino 1964, passim.