SBARBARO, Pietro
– Nacque a Savona il 20 aprile 1838 da Francesco, commerciante di vele e cordami per navi mercantili, e da Maria Salomone.
Studiò presso le Scuole pie di Carcare e di Savona, dove rivelò una precoce passione per la letteratura che lo portò a fondare nel 1854 la Società letteraria, di cui fu segretario, e nel 1856 la Società di culto dantesco. Nel 1855 cominciò a collaborare con la Rivista enciclopedica italiana, fondata a Torino da Giuseppe La Farina, e soprattutto con la rivista savonese Il Saggiatore, della quale nel 1858 assunse la direzione. In alcuni articoli apparsi su quel periodico nello stesso anno, sostenne la causa dell’indipendenza e dell’unificazione italiana aderendo pienamente al programma della Società nazionale promossa nel 1857 da La Farina. Del resto, fin dal 1852, appena quattordicenne, era entrato in contatto con il conte di Cavour, con il quale ebbe poi un assiduo rapporto epistolare e delle cui posizioni politiche fu sempre un convinto estimatore. Nel 1859, allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, non esitò perciò ad arruolarsi come volontario nell’esercito sardo.
Dal 1855 ebbe un ruolo attivo nella Società operaia di Savona e partecipò ai congressi annuali delle società di mutuo soccorso piemontesi che si svolsero a Voghera nel 1857 e a Vercelli nel 1858. Questo suo impegno proseguì anche negli anni successivi. Iscrittosi nel 1859 all’Università di Pisa, nel 1860 divenne segretario della locale società operaia e fu uno dei protagonisti del congresso di Firenze del 1861, dove in opposizione a Giuseppe Montanelli e a Francesco Domenico Guerrazzi difese il carattere apolitico delle associazioni popolari e la necessità per esse di concentrarsi sulle attività di natura mutualistica e previdenziale. Al tema dedicò alcuni dei suoi primi scritti: Delle società di mutuo soccorso (Firenze 1860); Le società operaie e la politica (Firenze 1861); Degli operai nel secolo XIX, libri 9 (I-III, Milano 1868-1869).
È da riconnettere all’impegno nell’associazionismo operaio l’interesse di Sbarbaro per la scienza economica, a cui fu avviato da Giovan Battista Michelini, allievo di Gian Domenico Romagnosi. Conseguita la libera docenza di economia politica, pubblicò numerosi articoli e alcuni libri (Sulla filosofia della ricchezza, Firenze 1864; Sulle ragioni della economia politica, Modena 1865; Discorso sull’economia politica e la libertà, Urbino 1868; Sulle opinioni di Vincenzo Gioberti intorno all’economia politica e alla questione sociale, Bologna 1874), nei quali si schierò a favore della fisiocrazia e dell’economia classica liberale, evidenziando i vantaggi del libero mercato e della libera iniziativa contro le soluzioni socialiste e stataliste, e individuando nell’associazionismo una prospettiva di emancipazione morale e materiale delle classi popolari.
Nel 1861 Sbarbaro, che nonostante la giovane età aveva già maturato una considerevole esperienza giornalistica, fu chiamato a Torino da Carlo Michele Buscalioni nella redazione de L’Espero. Rientrato a Pisa, nel 1863 vi si laureò in giurisprudenza e, nel giugno 1864, si trasferì ad Ancona per assumere la direzione del Corriere delle Marche, che tenne fino al 1866. Sempre nel 1864 fu chiamato come professore straordinario di economia politica e di filosofia del diritto all’Università di Modena, ateneo di cui prese le difese, come più tardi accadde per quello di Macerata, quando il governo per esigenze di razionalizzazione e di contenimento delle spese minacciò di chiudere le università minori (Sulla R. Università di Modena, Modena 1867; Sulle condizioni dell’umano progresso, Macerata 1877). Malgrado questi suoi interventi, Sbarbaro ebbe un rapporto difficile con l’Università di Modena che a più riprese censurò le sue iniziative pubbliche e i contenziosi legali che esse provocarono. Ad esempio nel 1869: in quell’anno egli presiedette un comizio a Empoli contro la tassa sul macinato durante il quale attaccò aspramente Quintino Sella, promosse un meeting a Modena contro la Regia dei Tabacchi e infine organizzò un pellegrinaggio anticlericale a Loreto, in concomitanza con il Concilio Vaticano I. Nel 1870 fu sospeso dallo stipendio e dall’insegnamento per non aver adempiuto ai suoi doveri didattici e l’anno seguente il ministro Cesare Correnti gli revocò l’incarico. Vistosi annullare il concorso per ordinario di economia politica a Genova bandito nel 1872, per il quale era risultato fra i vincitori, nel maggio del 1874 accettò la cattedra di filosofia del diritto offertagli dall’Università di Macerata, dove restò fino al 1877.
Sbarbaro, che nelle elezioni politiche del 1874 si candidò senza successo nel collegio di Savona (Agli elettori del collegio di Savona che mi onorarono dei loro suffragi, Savona 1874), legò il periodo trascorso nelle Marche al progetto per l’erezione di un monumento ad Alberico Gentili, da lui visto come precursore di Grozio e del moderno principio dell’arbitrato internazionale. In quegli anni divenne in Italia uno degli esponenti più in vista del nascente movimento per la pace e costruì una fitta rete di relazioni con personaggi di vario colore politico che si riconoscevano in quegli ideali: dall’inglese Henry Richard, primo promotore in Europa dell’istituzione dell’arbitrato internazionale, a Pasquale Stanislao Mancini, da Giuseppe Garibaldi a Cesare Cantù, da Aurelio Saffi a Carlo Alfieri di Sostegno.
L’impegno profuso in questa iniziativa, l’incessante attività pubblicistica e altri diversivi di natura politica (nel 1876, grazie all’appoggio di Mancini, fu candidato a deputato nel collegio di Cagli, ma con esito negativo) lo portarono però a trascurare l’insegnamento universitario e gli causarono nuovi procedimenti disciplinari. Nel 1877 fu processato e assolto dall’accusa di aver fomentato un’agitazione popolare in occasione delle elezioni suppletive nel collegio di Macerata. L’anno seguente, ritenuto responsabile dei disordini scoppiati in città per la mancata nomina di Saffi a professore onorario di quell’ateneo, fu sospeso dall’incarico universitario dal ministro Michele Coppino.
Sempre nel 1878 gli fu offerta una cattedra di scienza dell’amministrazione all’Università di Napoli, dove tenne apprezzate lezioni e, nel 1880, promosse un comizio per sostenere la causa del disarmo simultaneo. Ormai in continua polemica con colleghi, rettori, ministri e organi superiori della Pubblica Istruzione (Il nuovo ministro della Pubblica Istruzione, Roma 1879), Sbarbaro passò, nel 1880, all’Università di Parma. Lì, nel 1881, lo colpì la definitiva destituzione da ogni incarico accademico che fu decretata dal ministro Guido Baccelli, da lui pesantemente insultato per aver espulso dall’Ateneo di Cagliari due studenti di fede repubblicana. Per Sbarbaro – che nel 1881 pubblicò a Parma L’ideale della democrazia, un’opera in cui denunciava con toni enfatici la corruzione e la crescente ingerenza dei partiti sul governo e sull’amministrazione – fu l’inizio di una deriva personale che lo portò a sentirsi vittima di un meccanismo persecutorio e a ergersi a censore dei comportamenti pubblici e privati di molti fra i personaggi più eminenti del mondo politico e istituzionale italiano. Ben presto egli superò il confine che separava il diritto di critica dall’ingiuria, dalla diffamazione e perfino dall’aggressione. Così, nel maggio del 1882, il tribunale di Roma lo condannò a un mese di reclusione per aver sputato all’indirizzo del ministro Baccelli.
Processi e condanne accrebbero la sua notorietà presso il grande pubblico, che nel 1884 decretò il successo di due sue opere, Re travicello o re costituzionale? e Regina o Repubblica?, apparse a pochi mesi di distanza l’una dall’altra e vendute in diverse migliaia di copie. Entrambe pubblicate a Roma dall’editore Angelo Sommaruga, denunciavano i pericoli del parlamentarismo corrotto e dell’utopia repubblicana, indicando nella monarchia sabauda la vera depositaria dei valori liberali e l’unica istituzione che, rinvigorendosi e recuperando le sue piene prerogative, poteva salvare il Paese dal tracollo. Sbarbaro, di fatto, inserì nel discorso pubblico alcuni dei temi che Sidney Sonnino avrebbe rilanciato nel gennaio del 1897 con il suo celebre articolo Torniamo allo Statuto. A suo avviso, per bilanciare la «maggiore partecipazione del popolo all’esercizio della sovranità» che era stata introdotta dalla riforma elettorale del 1882 occorreva «allargare la cerchia della potestà effettiva del Re», «crescere l’onore e la reale autorità del Monarca». Ma per far ciò non era necessario «alterare lo Statuto»: il re, spiegava, «non ha che a far valere la pienezza delle facoltà che già possiede, delle prerogative che gli spettano per la legge delle leggi patrie, per quello Statuto che il suo Avo gloriosamente infelice concesse a noi subalpini» (Re travicello..., cit., p. 11).
Questi due libri segnarono l’inizio del breve ma intenso sodalizio con Sommaruga, che affidò a Sbarbaro la direzione di un nuovo settimanale, Le forche caudine, il cui primo numero apparve il 15 giugno 1884. Il periodico, che esercitò una critica indiscriminata e sferzante contro uomini e istituzioni, adottando un esasperato moralismo e assumendo sovente toni offensivi e diffamatori, ebbe un enorme successo di pubblico e a metà del 1885 raggiunse la tiratura di 150.000 copie, la più elevata mai registrata in Italia. Sbarbaro e Le forche caudine dettero voce all’antipolitica e all’antiparlamentarismo, anticipando correnti di pensiero e orientamenti dell’opinione pubblica che avrebbero avuto larga diffusione in Italia negli anni a venire. Arrivarono tuttavia altri processi. Già nell’agosto del 1884 Sbarbaro fu condannato a otto mesi di carcere per diffamazione ai danni di Augusto Pierantoni, illustre giurista e senatore, da lui tacciato, oltre che del plagio di una sua opera (Della libertà. Trattato, Bologna 1870), di aver costruito la sua carriera grazie al padrinato politico del suocero Pasquale Stanislao Mancini, ormai entrato anche lui fra i bersagli polemici del giornalista ligure. In un volume scritto a propria difesa (Contro Pietro Sbarbaro Querele, Roma 1884), Pierantoni lanciò per primo l’idea che Sbarbaro fosse affetto da qualche forma di alterazione mentale e invitò esplicitamente il più celebre dei medici alienisti italiani, Cesare Lombroso, a farne oggetto di studio. Lombroso raccolse l’invito e tre anni più tardi dedicò al moderno ‘tribuno’ un caustico profilo, nel quale, dopo averlo giudicato affetto da «megalomania», da «delirio persecutorio» e da «delirio alcoolico», da quegli «accessi impulsivi intermittenti» che sono «frequenti nei pazzi morali e negli epilettici» (Lombroso, 1887, p. 108), da «grafomania che in lui s’associa con la logorrea» (p. 114), lo classificò nella categoria patologica dei «mattoidi» (p. 115). Lo scrittore Carlo Dossi, a sua volta, annotò nel suo diario che Sbarbaro era solito fare le sue «lezioni in maniche di camicia e brillo» (Note azzurre, a cura di D. Isella, II, Milano 1964, p. 600, n. 4759).
Nel frattempo, Le forche caudine, dopo aver accumulato un gran numero di denunce e querele e aver subito una prima sospensione, furono costrette definitivamente a chiudere nell’agosto del 1885. Due mesi prima era iniziato a Roma il processo contro Sbarbaro, che attirò l’interesse di tutta la stampa nazionale anche per il gran numero di celebrità del mondo politico e istituzionale che furono convocate come testi a carico o a difesa. Condannato a due anni di detenzione, Sbarbaro riuscì a sottrarsi al carcere perché nel 1885, con un voto quasi plebiscitario, fu eletto deputato nelle suppletive del collegio di Pavia. Nel gennaio del 1886 lanciò un nuovo periodico, La Penna, poi rinominato La penna d’oro, che si stampò in modo irregolare fino al settembre di quell’anno. Quando esso cessò le pubblicazioni, Sbarbaro ne aveva già avviato un altro, Il giudizio universale. Effemeride di scienze, lettere, arti, politica e religione, il cui primo numero apparve il 16 maggio. Si stampò a Mendrisio, in Svizzera, dove egli aveva cercato riparo dopo lo scioglimento della Camera e il conseguente venir meno dell’immunità parlamentare. Tornato successivamente in Italia, fu arrestato e condotto nel carcere di Sassari per scontare la pena che la corte d’appello, accogliendo la richiesta formulata in primo grado dall’accusa, aveva elevato a sette anni. Nel 1889 fu nuovamente eletto deputato nel collegio di Pavia, dove subentrò a Benedetto Cairoli, morto nell’agosto di quell’anno. Questa volta però, essendo la sentenza passata in giudicato, la Camera non poté sottrarlo al carcere, da cui uscì soltanto nel marzo del 1891.
Trascorse gli ultimi anni in miseria, sorretto dalla moglie Concetta Cioci e dall’unica figlia Rosina. «Ideologo moralista», secondo la definizione che ne dette Benedetto Croce (1911, 1915, p. 367) e grafomane incontinente, Sbarbaro non cessò di promuovere nuove ambiziose iniziative editoriali. Il 5 aprile 1891 apparve a Roma Il libero edificare, un bisettimanale da lui interamente redatto che fu stampato dal tipografo Edoardo Perino. Presso questo editore avviò la pubblicazione di una Biblioteca di Pietro Sbarbaro, destinata a raccogliere i numerosi libri da lui scritti durante il periodo di detenzione. Ne uscirono soltanto due, nel 1891, entrambi in due volumi: La sapienza della vita, ovvero i doveri dell’uomo e del cittadino e La mente di Leone XIII e il genio dei tempi. L’ultimo giornale da lui promosso fu il settimanale Libera parola, che vide la luce a Roma nel maggio del 1892 e come i precedenti si distinse per il suo carattere corrosivo e scandalistico.
Sbarbaro morì a Roma il 1° dicembre 1893.
Il 20 aprile 1904 le sue ceneri furono traslate dal cimitero del Verano di Roma e collocate nel famedio di Zinola, a Savona, con una grande partecipazione di folla. Nel dicembre del 1896 la città natale gli aveva già reso onore inaugurando un busto marmoreo e nel 1897 intitolandogli una strada.
Opere. Oltre a quelle citate si segnalano: Sulla nozione giuridica dello Stato, Savona 1875; Sulle elezioni generali, Roma 1876; Da Socino a Mazzini, Roma 1886; Laboulaye. Un fonditore di caratteri, Roma 1886; La mente di Terenzo Mamiani, Firenze-Roma 1886; Gli eunuchi. Discorso al popolo italiano, Scansano 1891; Per la libertà della stampa, Roma 1893.
Fonti e Bibl.: C. Lombroso, Tre tribuni studiati da un alienista, Torino 1887; G. Mazza, Sulla vita e sulle opere di P. S., Scansano 1891; M. Billia, P. S. e il suo tempo, Torino 1894; B. Croce, P. S. (1911), in Id., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, III, Bari 1915, pp. 367-372; S. Sabatelli, Le opere e il pensiero di P. S., Savona 1927; C. Trasselli, Le Forche caudine (P. S. e Angelo Sommaruga) 1884-1885, Roma s.d. [1945]; S. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), Brescia 1993, pp. 86 s., 466 s.; P. S. (1838-1893). Atti della Giornata di studio... 1993, a cura di S. Bottaro - E. Costa, Savona 1994; P. de Sanctis Ricciardone, Il Mattoide e l’Antropologo, in Ead., Nemici immaginari. Esercizi di etnografia, Roma 1996, pp. 51-71; F. Bientinesi - A. Grati, P. S. fra liberalismo e autoritarismo, in Gli economisti in Parlamento, 1861-1922. Una storia dell’economia politica dell’Italia liberale, a cura di M.M. Augello - M.E.L. Guidi, II, Milano 2003, pp. 401-412; L. Lacchè, «Celebrato come una gloria nazionale». P. S. e il ‘risorgimento’ di Alberico Gentili, in Alberico Gentili. Atti dei Convegni nel quarto centenario della morte... 2007-2008, II, Milano 2010, pp. 189-295; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/ deputato/pietro-sbarbaro-18380403#nav.