PIETRO, Saraceno
(Saracenus, Sarracenus, Saraceni).– Nacque a Roma presumibilmente nell’ultimo quarto del secolo XII e morì tra il 1247 e il 1250.
Si ignora il nome della moglie, ma certamente ebbe almeno quattro figli maschi, Angelo, Giovanni, Pietro e Nicola, i primi tre destinati a importanti carriere ecclesiastiche, al culmine delle quali Giovanni († 1280) divenne arcivescovo di Bari, Angelo († ante 1° marzo 1289) vescovo di Molfetta, Pietro († 1294) vescovo di Monopoli e poi di Vicenza.
La serie delle testimonianze certe e continue relative a Pietro inizia con il 1212, quando il re d’Inghilterra per ricompensarlo di servizi in precedenza offerti e evidentemente con l’intenzione di legarlo sempre più strettamente alla corona, gli concesse una rendita annua trasmissibile ereditariamente di 20 marche (riconfermata e poi incrementata del 50% nel 1215).
Pietro frequentava in quegli anni la corte reale inglese, un atto dell’11 luglio di quell’anno lo vede tra i testimoni di una lettera patente del re emanata da La Rochelle.
Il favore reale nei confronti di Pietro si può evincere anche dalle numerose concessioni fatte, proprio a partire dal 1214 a suo figlio, il chierico Giovanni.
Dopo la morte di Giovanni Senzaterra, il rapporto di Pietro con la corte inglese fu anche più stretto. Il donativo di venti libbre annue gli fu riconfermato e gli vennero affidati nuovi incarichi. Anche il vescovo di Durham, Riccardo di Marsh, cancelliere del Regno, ripose la sua fiducia in Pietro e gli concesse nel 1218 un ulteriore ingente appannaggio annuo di 40 libbre, trasmissibile anche in questo caso ai figli. Di questioni concernenti la corona inglese e il vescovado di Durham Pietro discusse personalmente (nei primi mesi del 1219) con Onorio III, dal quale ottenne anche la ratifica della concessione fattagli dal vescovo.
A partire da questo periodo le fonti cominciano a ricordare Pietro con il titolo di nobilis vir e in un caso con quello altisonante di magnificus vir, ma soprattutto con quello di miles che lo accompagna a partire dal 1219: è possibile che egli sia stato effettivamente investito cavaliere con il rito della consegna delle armi da parte del sovrano inglese (come avverrà nel 1258 a favore di un suo nipote), come suggerisce una lettera inviata nel 1223 a Enrico III da un suo messo, Guglielmo di Sant’Albino, nella quale si ricorda il «fidelis miles vester dominus Petrus Sarracenus nobilis civis romanus» (Chaplais, Diplomatic Documents, pp. 84 s., n. 121). Il messo regio sottolineava che Pietro, «che per questo potete meritatamente lodare […] con me si adoperò lodevolmente per far riconquistare a noi i cuori di due cardinali […] i quali quasi favorivano la fazione dei francesi a nostro danno».
Pietro ebbe da Enrico III anche altri incarichi di vario tipo, ma fu soprattutto a Roma e nell’ambiente della Curia pontificia che egli si rese utile, sostenendo la causa dei sovrani inglesi. Lo testimonia una ulteriore missiva inviata da Roma nel tardo 1224 da Goffredo di Crowcombe e Stefano de Lucy al re, a nome del quale agivano come procuratori: «Pietro Saraceno che fedelmente in tutto ciò che vi riguarda ci ha assistito» (Foedera, conventiones, litterae, I, 1, pp. 175 s.).
Nell’agosto 1225 Pietro era a St.-Omer (non lontano da Calais) dove incontrò il legato pontificio in Francia per discutere dell’intricata vicenda di Fawkes de Bréauté, un avventuriero che aveva sostenuto Giovanni Senzaterra contro i baroni e si era successivamente ribellato al re.
Negli anni successivi Pietro rimase a Roma, proseguendo intensamente la sua opera a favore della corona inglese, presenziando a vari incontri tra i messi del sovrano coi papi (Onorio III, Gregorio IX), con vari cardinali e altri influenti esponenti della Curia papale. La corona da parte sua continuò a preoccuparsi di mantenere salda la fedeltà di Pietro offrendogli doni e benefici, raddoppiando l’ammontare della rendita della quale godeva da quasi un ventennio e provvedendo inoltre affinché la corresponsione della pensione accordatagli da Riccardo di Marsh non venisse interrotta per la morte di quest’ultimo (1° maggio 1226). La lontananza dall’Inghilterra non allentò i legami: nel 1232 il re, quale ulteriore attenzione nei suoi confronti, prendeva sotto la sua protezione due dei suoi figli, Giovanni e Pietro, evidentemente rimasti in suolo britannico.
Pietro non perse mai, comunque, l’identità di cittadino romano, e svolse anche negli anni successivi una non irrilevante attività politica a Roma e in Italia. Nel 1227 e nel 1230 compare nel seguito del rettore della provincia papale di Campagna e Marittima, Gregorio de Romania, in due importanti missioni nel Lazio meridionale. Il 16 maggio 1235 è fra i testimoni al solenne giuramento con il quale il senatore e gli ufficiali capitolini si impegnavano a rispettare la pace appena conclusa tra il Comune di Roma e il papa, dopo quella che sembra essere stata la più grave tra le sommosse antipapali romane del Duecento. Fu inoltre podestà del Comune di Arezzo nel 1236, e nuovamente nel 1239.
Come moltissimi altri esponenti dell’élite cittadina romana del tempo, Pietro appare impegnato anche in attività creditizie il cui perno ruotava intorno alla Sede apostolica.
Alcune lettere di Enrico III del maggio 1236 lasciano intendere che Pietro da qualche tempo aveva fatto ritorno in Inghilterra e si stava preparando a tornare presso la Sede apostolica con nuovi incarichi. Nel corso di un nuovo viaggio verso Roma nella primavera del 1238, Pietro venne catturato da uomini fedeli all’imperatore Federico II e imprigionato insieme a suo figlio Giovanni, allora decano della Chiesa di Welles.
Il papa non esitò a intervenire esortando Federico II a liberare Pietro, proprio in quanto inviato presso la Sede apostolica del re d’Inghilterra. L’imperatore (pur mostrando disponibilità a proposito del figlio di Pietro, Giovanni, in effetti liberato abbastanza celermente) rispose al papa che Pietro era un detrattore della sua persona, fomentava l’odio tra lui e il re d’Inghilterra e che in nessun modo si poteva sostenere che operava come nunzio papale, come acclarato – a suo avviso – dal tenore delle lettere che egli aveva con sé al momento della cattura; sua intenzione era dunque di trattenerlo segregato e in prigionia. Seguirono complesse trattative che coinvolsero il papa e il re d’Inghilterra. Secondo Matteo Paris, Pietro stesso si offrì di pagare all’imperatore 10.000 sterline a titolo di riscatto; ma lo stesso cronista ricorda che Federico II si mostrò del tutto intransigente: e non a caso nel testo della scomunica comminatagli da Gregorio IX il 7 aprile 1239 tra le molte accuse si elenca anche il fatto aver imprigionato Pietro Saraceno e suo figlio. Non è noto quando avvenne la liberazione di Pietro, ma se si dà credito alla testimonianza degli annali di Dunstable, i quali indicano in un anno il periodo di detenzione, si può supporre che egli dovette riacquistare la libertà non molto tempo dopo la scomunica di Federico II.
Per gli anni successivi si hanno poche notizie su Pietro: l’età piuttosto avanzata probabilmente non gli permetteva più di viaggiare attraverso l’Europa con la facilità e la frequenza mostrata fino ad allora. Le fonti della cancelleria inglese continuano, comunque, a testimoniare i pagamenti della sua rendita annua di 40 libbre con una certa regolarità, dal 1240 al 1247, e dell’elargizione di qualche altro regalo. Sempre al 1247 risale, invece, la conferma da parte del pontefice Innocenzo IV della rendita annua assegnatagli quasi trent’anni prima dal vescovo di Durham.
Nel 1251 Pietro è ricordato come ormai defunto.
Qualche anno dopo la sua morte, il figlio Nicola le Sarazyn (come lo indicano le fonti inglesi quando tralasciano il latino) il 28 maggio 1253 si recava a Westminster per rendere omaggio di fedeltà al sovrano inglese, il quale gli confermava l’elargizione della rendita annua della quale aveva goduto suo padre. Più di dieci anni dopo la scomparsa di Pietro, il nipote Stefano rimasto in Inghilterra e in buoni rapporti con il re Enrico III, nonostante l’insistenza di quest’ultimo, intenzionato a ricorrere ai suoi servigi come aveva fatto con il nonno, decise di «rempatriare», ossia di fare definitivo ritorno alla città di origine della sua famiglia, Roma, a ribadire un legame mai di fatto venuto meno.
L’identità romana fu infatti ribadita costantemente con puntiglio – e forse anche con orgoglio – in quasi tutte le testimonianze che lo ricordano. Più di ogni altro cittadino romano del suo tempo, per Pietro si dispone di un cospicuo dossier documentario personale, nell’ambito dei complessi e contrastanti rapporti tra il papato, l’impero, la corona inglese e quella francese nel primo cinquantennio del Duecento.
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