RONDONI, Pietro
– Nacque a San Miniato (Pisa, ma allora in provincia di Firenze) il 2 ottobre 1882, da Giuseppe e da Enrichetta Maioli. Il padre, noto storico del Risorgimento e di San Miniato, era insegnante in un liceo fiorentino.
Rondoni si laureò con lode in medicina e chirurgia a Firenze nel 1906. Dopo la laurea ottenne un internato nel laboratorio di patologia generale della stessa Università, diretto da Alessandro Lustig, e vinse un concorso da assistente ospedaliero.
Conseguì nello stesso anno una borsa di studio di perfezionamento all’estero (1907-09): fu all’istituto neurologico e istituto di terapia sperimentale di Francoforte sul Meno, diretto da Paul Ehrlich, dove si perfezionò in immunologia con l’anatomopatologo Ludwig Edinger, e studiò con Hans Sachs la reazione emolitica e il meccanismo della reazione di Wassermann per la diagnosi della sifilide, spiegando la catena di eventi nota come fenomeno di Sachs-Rondoni (Beiträge zur theorie und praxis der Wassermann’schen Syphilisreaktion. Über den einfluss der extraktverdunnung auf die reaction, in Die Berliner Klinische Wochenschrift, 1908, n. 44, monografico; Über den ersatz der organextrakte bei der reaction, in Zeitschrift für Immunitätsforschung und experimentelle Therapie, 1908, vol. 1, n. 1, p. 132, entrambi in collaborazione con H. Sachs). Frequentò in seguito l’ospedale Cochin di Parigi e l’istituto anatomopatologico del Claybury Asylum a Londra, diretto dal neurologo e patologo Frederick Mott.
Tornato in Italia, nel 1910 divenne assistente presso l’istituto di patologia generale a Firenze e aiuto dal 1911 al 1920. Nel 1911 conseguì la libera docenza in patologia generale. Nel 1912 tornò brevemente in Germania, dove frequentò l’Istituto Koch di Berlino per lo studio delle malattie infettive. Nel 1913 conseguì la libera docenza in batteriologia, di cui fu docente dal 1913 al 1920 presso la facoltà di medicina di Firenze. Durante la prima guerra mondiale si dedicò, nell’istituto di patologia generale dove lavorava, alla preparazione di vaccini per l’esercito. Nel 1915 e 1919 ottenne, per i suoi studi, due premi di incoraggiamento dal Reale Istituto lombardo di scienze e lettere. Nel 1920 vinse il concorso per la cattedra di patologia generale presso la Regia Università di Sassari, dove rimase fino al 1922, quando fu chiamato a Napoli per succedere a Gino Galeotti. Nel luglio del 1924 conseguì l’ordinariato. Nel settembre del 1924 fu chiamato da Luigi Mangiagalli alla nuova facoltà di medicina e chirurgia dell’Università statale di Milano, per coprire la cattedra di patologia generale.
Dal 1928 al febbraio 1934 diresse la sezione biologica dell’Istituto Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura del cancro, appena inaugurato a Milano da Mangiagalli e diretto da Gaetano Fichera. Nell’agosto 1935 ne diventò direttore generale.
Accettando l’incarico, sottolineò come intendesse incoraggiare la concezione degli istituti del cancro come centri di ricerca biologica e sperimentale cui erano aggregati dei reparti clinici, e non come strutture clinico-assistenziali.
Su sua proposta, nel 1936 il consiglio di amministrazione dell’Istituto inoltrò domanda per cambiare la propria denominazione in Istituto nazionale Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura dei tumori, cosa che ottenne nel 1940 «pel fatto che la parola cancro [...] può essere motivo di allontanamento di ammalati» (delibera del consiglio di amministrazione, estate 1936).
Carattere pacato e metodico, Rondoni lasciò un’impronta profonda nell’Istituto che guidò per un ventennio, attraversando anche i difficili anni del secondo conflitto mondiale. Si racconta che mise personalmente in salvo il radio posseduto dall’Istituto, preso di mira verso la fine del 1944 dalle SS, grazie alla sua perfetta conoscenza del tedesco e portandolo, nascosto dentro una valigetta in un blocco di piombo, nei sotterranei della Banca del Monte di pietà.
Con il IV Congresso della Lega nazionale per la lotta contro i tumori, nell’ottobre del 1947, ne divenne presidente. Su sua iniziativa, a fine aprile 1948 si aprì una sezione milanese della Lega perché «l’unico modo per combattere efficacemente il cancro è riuscire a diagnosticarlo il più presto possibile. Per riuscirci, occorre prima di tutto parlarne e farne parlare, rompendo la crosta di silenzio, di disperato fatalismo, di vergogna, quasi fosse un “castigo divino”» (P. Rondoni, Relazione ai medici dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori, aprile 1948, in Milano contro cancro, 1948-2008, Milano 2008, p. 10).
Dal 1935 alla morte diresse la rivista Tumori, importante pubblicazione scientifica dell’Istituto, e guidò dal 1952 il centro di oncologia sperimentale del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano. Fu socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia medico-fisica fiorentina, dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, accademico d’Italia, membro dell’Accademia pontificia delle scienze e di molte altre associazioni scientifiche italiane e straniere. Fu invitato quale relatore a rappresentare l’Italia a numerosi congressi internazionali in Europa e in America; organizzò a Roma nel 1939 il Congresso internazionale di patologia comparata e nel 1949 la Settimana di studi sul problema biologico del cancro presso l’Accademia pontificia delle scienze.
L’attività di ricercatore e studioso di Rondoni si svolse per cinquanta anni esatti, dalla prima pubblicazione sullo scapsulamento del rene (in Lo Sperimentale, 1907, vol. 61, n. 1-2), che fu argomento della sua tesi di laurea, all’ultimo scritto pubblicato postumo. Tutta la sua opera è raccolta in circa 360 pubblicazioni; tra i trattati, Elementi di biochimica (Torino 1925), tradotto poi in spagnolo e portoghese, e i volumi Il cancro (Milano 1946) e Le malattie ereditarie (Milano 1947).
I suoi interessi scientifici spaziarono, soprattutto nei primi anni, in molte direzioni. Indagò le alterazioni istologiche del sistema nervoso centrale e lo sviluppo della corteccia cerebrale in condizioni normali e patologiche; l’istologia della tubercolosi da reinfezione e della flogosi allergica (dimostrando sperimentalmente come l’acido urico e altri metaboliti fungano da cofattori di varie forme infiammatorie). Studiò la pellagra (1911-15) e fu tra i primi a concepirla come malattia da carenza complessa, soprattutto vitaminica (tra gli altri: Ricerche sul siero di sangue dei pellagrosi, in Lo Sperimentale, 1911, vol. 65, n. 3, p. 265, e Sulla ipersensibilità dei pellagrosi al mais, ibid., 1912, vol. 66, n. 5, p. 447). Nel 1924 osservò per primo il fenomeno (poi detto ‘di Rondoni-Schmidt’) di azione accelerante la crescita del Mycobacterium tubercolosis, posseduta da filtrati di vecchie culture dello stesso batterio (Influenza di organi e di sostanze bacillari sullo sviluppo colturale del bacillo tubercolare, ibid., 1924, vol. 78, n. 4-5, p. 509). Fu tra i primi (1919-27) a interessarsi di chemioterapia antitubercolare con impiego di sali di nickel, cobalto e oro, giungendo a risultati interessanti (tra gli altri: Ricerche sperimentali sulla chemioterapia della tubercolosi con particolare riguardo ad alcuni composti del nichelio, ibid., 1919, vol. 73, n. 3-4, p. 93).
L’iniziale interesse per la morfologia scemò a favore della biochimica e Rondoni si indirizzò sempre più verso la cancerologia sperimentale. Precisò il fenomeno della induzione della denaturazione termica da parte di una proteina già denaturata su un’altra genuina e intravide fin dal 1938 una legge generale della chimica fisica delle proteine, secondo la quale dei rimaneggiamenti molecolari (quali le denaturazioni) hanno la tendenza a propagarsi nei sistemi proteici poiché una molecola può imprimere la sua modificazione sulle altre.
Lo studio dei tumori, iniziato nel 1922, lo appassionò in maniera quasi esclusiva nell’ultimo ventennio della sua vita. A lui e alla sua scuola si devono importanti contributi nello studio delle diverse alterazioni biochimiche presenti nei tumori, nell’indagine sulle varie cause del cancro, nella definizione dei diversi aspetti morfologici e clinici della malattia e nei diversi tentativi di cura chirurgica, radiologica e radioterapica.
Negli anni in cui studiò la cancerogenesi, furono individuate un centinaio di sostanze che possono determinare il cancro, sostanze che si ritrovano nell’ambiente e negli alimenti.
Si interessò, dopo le scoperte della scuola inglese, al meccanismo d’azione degli idrocarburi cancerogeni sintetici dimostrando, tra l’altro, che interferiscono con alcune importanti azioni enzimatiche, in particolare con la catalasi (L’azione cancerogena di idrocarburi policiclici sintetici, in La chimica e l’industria, XVII (1935), p. 148). Secondo Rondoni non si poteva tuttavia parlare di un’unica misteriosa causa, ma di molteplici agenti, in parte noti. A questo concetto fondamentale diede ampia illustrazione nel volume Il cancro. Studiò il metabolismo glucidico, lipidico e proteico della cellula neoplastica, la sua struttura e l’attività enzimatica, valorizzando la concezione aerobica dell’accrescimento tumorale. Considerò pertanto la cancerizzazione espressione di un alterato processo di sintesi proteica che in certi sistemi proteici porterebbe alla costituzione di un nuovo ‘modello’ più semplice, che dominerebbe gli ulteriori processi sintetici e si perpetuerebbe nella discendenza cellulare. Già nel 1946, nel volume Il cancro, fece riferimento all’attività angiogenica del tumore, ovvero alla capacità delle cellule neoplastiche di indurre la neoformazione dei vasi sanguigni a partire dai vasi preesistenti che circondano la neoplasia. Si occupò anche del problema dei virus e degli ormoni in campo oncologico.
Descritto dai suoi allievi come una mente dotata di potere sintetico e di analisi critica, lavorò e insegnò a lavorare pacatamente, con metodo e scrupolo, senza inseguire a ogni costo il desiderio di scoperta, come lui stesso diceva di aver appreso dal suo maestro Alessandro Lustig. Di aspetto severo, non alto, massiccio, amava molto il ballo e lo praticava nei pochi momenti liberi, non disdegnando nemmeno le balere della zona in cui abitava.
Rondoni, grazie alla sua giovanile formazione umanistica, considerava anche gli aspetti filosofici che il problema della vita poneva agli studiosi, e aderì a una concezione non materialistica della vita, considerando la scienza strumento per l’elevazione spirituale e non fredda legge meccanica, come testimoniò in diverse pubblicazioni (tra le altre: Scienza e umiltà, Milano 1951; Il finalismo nei processi della vita, in Il valore del fine nel mondo, Firenze 1955, pp. 7-38).
Uomo generoso, come presidente della Lega per la lotta contro i tumori si dedicò ad alleviare il dolore e la sofferenza degli ammalati. Profondamente credente, insisteva sulla possibile coesistenza della fede con la scienza. Fu attivo nell’Associazione milanese dei medici cattolici. Nei suoi ultimi anni fu condirettore con padre Agostino Gemelli, cui lo legava una lunga vicinanza, della rivista Medicina e morale, rassegna trimestrale milanese. Pur quasi cieco e sofferente, non smise di studiare, produrre articoli, interessarsi alla conduzione dell’Istituto tumori, di cui accettò di rimanere alla guida oltre il raggiungimento dei limiti di età proprio per preparare la successione.
Morì, in seguito all’aggravarsi di disturbi cardiaci, a Milano il 4 novembre 1956.
Fonti e Bibl.: R. Deotto, P. R., in Tumori, 1956, vol. 42, n. 6, pp. 805-809; A. Gemelli, In morte del professor P. R., in Medicina e morale, VI (1956), n. 4, pp. 147-149; P. Bucalossi, Commemorazione di P. R., San Miniato 1957; L. Califano, P. R. 1882-1956, in La ricerca scientifica, 1957, vol. 27, n. 8, pp. 2341-2345; F. Perussia, Commemorazione del professor P. R., in Rassegna internazionale di clinica e terapia, 1957, vol. 31, n. 22, pp. 666 s.; P. Verga, In memoria di P. R., in Riforma medica, 1957, vol. 71, n. 49, pp. 1423 s.; A. Gemelli, P. R., Commemorazione tenuta nella Pontificia Accademia delle Scienze il 20 maggio 1957, in Acta, XVI (1959), n. 15, pp. 139-142; E.V. Cowdry, An appraisal of professor P. R., in Tumori, 1967, vol. 53, n. 1, pp. 3 s.; E. Ciaranfi, Commemorazione di P. R. nel centenario della nascita, Milano 1983; G. Cosmacini, P. R. e l’incontro tra oncologia e genetica, in Argomenti di oncologia, 1991, n. 12, pp. 339-341; P. Placucci, Dal male oscuro alla malattia curabile, Roma-Bari 1995, pp. 61-102; M. Presta, P. R.: un pioniere dello studio dell’angiogenesi tumorale, in Il Notiziario della Società italiana di patologia, 2001, vol. 1, n. 1, pp. 13 s.