ROMANI, Pietro
– Nacque a Roma il 29 maggio 1791 da Gaetano e da Antonia Basile.
Come compositore d’opere esordì il 26 dicembre 1816 con Il qui pro quo, dramma buffo di Gaetano Gasbarri, al teatro Valle di Roma. A detta di Louis Spohr, testimone oculare insieme a Giacomo Meyerbeer, fu un «vero e proprio fiasco» (Tosti-Croce, 1998, p. 81), acuito dal confronto impietoso con la première della Cenerentola di Gioachino Rossini, andata in scena sullo stesso palcoscenico pochi giorni dopo; a essa Romani fornì un contributo importante: «si devono render molte grazie al lodato Signor Romani, che con un tratto di rara amicizia si trattenne appositamente in Roma per concertare con somma intelligenza e zelo questo Dramma, dando così maggior agio al Signor Rossini di scrivere» (Galleria teatrale, s.d., cit. in G. Rossini, La Cenerentola, a cura di A. Zedda, 1998, p. XXXI). Da allora in poi Romani si cimentò soprattutto nel meno remunerativo genere del ballo, scrivendo o assemblando le musiche per grandi coreografi come Giovanni Galzerani, Antonio Landini, Salvatore Taglioni. Fu invece ai massimi livelli, e pluridecennale, l’attività di ‘maestro al cembalo’, poi ‘maestro dell’opera’, ovvero preparatore e concertatore, con il compito, all’occorrenza, di adattare le musiche per gli esecutori. Come risulta dal Giornale del Dipartimento del Reno: parte Letteraria, e di amena lezione, 19 maggio 1812, n. 20, p. 77 (a proposito di un duetto da lui composto per Giovanni David e Luigi Zamboni in un allestimento fiorentino del Ser Marcantonio di Stefano Pavesi), tale attività doveva essere iniziata già nel 1812 al teatro della Pergola, a Firenze, sua città d’adozione. Nella stagione d’autunno del 1816 nel medesimo teatro ci fu l’episodio più rilevante nella biografia artistica di Romani, in occasione della seconda ripresa del Barbiere di Siviglia di Rossini. Romani compose l’aria Manca un foglio, e già suppongo (su parole ancora di Gasbarri) per rimpiazzare la corrispondente aria rossiniana A un dottor della mia sorte, evidentemente troppo ardua per il basso buffo Paolo Rosich. L’adattamento di una partitura alle esigenze dei cantanti era pratica corrente all’epoca; è però singolare che l’aria di Romani si sia radicata nella tradizione esecutiva del Barbiere di Siviglia e sia rimasta in uso fino a Novecento inoltrato, tanto da essere presente in moltissime copie manoscritte. Per questa ragione è stata accolta in appendice alle due recenti edizioni critiche del capolavoro rossiniano (a cura di P.B. Brauner, 2008; a cura di A. Zedda, 2009). L’aria di Romani, che in forme più dimesse ricalca i tratti dell’esorbitante modello rossiniano, si può ascoltare nelle incisioni del Barbiere dei primi del Novecento.
Romani divenne «soprintendente agli spettacoli del teatro della Pergola, quantunque non [sempre] figurasse come tale sui cartelloni e sui libretti fatti stampare dall’impresa; e pel favore che presto si acquistò presso la popolazione e presso i musicisti, divenne in certo modo l’autocrate di ogni spettacolo teatrale che si desse nella nostra città» (Casamorata, 1877, p. 245). Legò la sua attività, anche fuori Firenze, all’impresario Alessandro Lanari, di cui fu il più fidato collaboratore («Romani è tutta creatura di Lanari», scrisse Rossini a Nicola Ivanoff il 16 marzo 1840; in Gioacchino Rossini, 1993, p. 90). In occasione della prima ripresa assoluta di Giovanna d’Arco, Giuseppe Verdi scrisse a Romani una lettera importante sulle modalità esecutive della propria musica, precisando: «tu [...] sai bene interpretare da te; ma se ti fa piacere che te ne dica qualcosa eccomi a servirti» (28 marzo 1845, in G. Verdi, Giovanna d’Arco, a cura di A. Rizzuti, 2008, pp. 12 s.); indi, in vista della ‘prima’ del Macbeth, scrisse a Lanari: «Senza dubbio presto presto scriverò a Romani pregandolo anzi perché s’adopri per la mise en scène» (21 gennaio 1847; I copialettere..., 1913, p. 447). Lo stesso Romani dichiarò qualche anno dopo a Meyerbeer che le sue incombenze andavano oltre quelle strettamente musicali: «io qui [alla Pergola] sono Direttore della Musica, Direttore del vestiario, Direttore della scena degli attrezzi delle machine dei fuochi, insegno a gestire i cantanti coristi comparse infine tutto tutto tocca a fare a me solo» (28 dicembre 1852, a proposito del primo allestimento italiano del Profeta; in Giacomo Meyerbeer: Briefwechsel, V, 1999, p. 720); annotazione interessante, in quanto all’epoca era di solito il poeta teatrale a farsi carico della messinscena. Romani fu determinante nelle ‘prime’ italiane di altre importanti opere straniere, tutte alla Pergola: Roberto il diavolo (26 dicembre 1840) e Gli Ugonotti (26 dicembre 1841, con il titolo Gli Anglicani) dello stesso Meyerbeer, nonché Il Freyschütz [sic] di Carl Maria von Weber (2 febbraio 1843), per il quale il nipote Carlo Romani musicò i recitativi.
Romani ebbe inoltre vasta fama come insegnante. Meyerbeer e Rossini indussero giovani loro protetti a «studiare l’arte del bel canto da quello che solo oggidì ne possiede ancora la traditione, [...] Pietro Romani a Firenze» (Meyerbeer a Romani, 11 ottobre 1861, in Giacomo Meyerbeer: Briefwechsel, VIII, 2006, p. 281), ovvero a «prendere alcune Lezioni di Stile Italiano da Romani» (Rossini all’impresario Luigi Ronzi, 26 giugno 1858, in Fabbri, 2001, p. 178). Ernesta Werther, una delle allieve raccomandate da Meyerbeer, lo qualificò come «l’ultimo dei grandi maestri della vecchia scuola italiana»; il suo, disse, «consiste principalmente nella buona ed esatta respirazione, accompagnata da una ginnastica tutta speciale, per ottenere l’intento desiderato» (Werther, s.d., p. 4). E ancora: «le sue lezioni [...] riuscirono utilissime per formare nel discente il buon gusto nel fraseggiare, nel colorire, nel declamare; [...] le sue rifioriture solevano essere di elettissimo gusto, e non se le permise giammai nei canti del genere spianato, ed in quei canti sillabici che oggi dicono declamati» (Casamorata, 1877, pp. 261 s.).
Morì a Firenze l’11 gennaio 1877. Dalla citata lettera a Meyerbeer del 28 dicembre 1852 si ha notizia di una figlia amante della musica e cultrice della lingua tedesca.
Fonti e Bibl.: L.F. Casamorata, L’opera e la mente di P. R., in Gazzetta musicale di Milano, XXXII (1877), pp. 237-239, 245 s., 253 s., 261 s. (l’autore, amico e collega di Romani, dichiarò di aver scritto «quasi sotto la sua dettatura», p. 237); E. Werther, Sul metodo di canto italiano classico secondo P. R., Essen s.d.; I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di C. Cesari - A. Luzio, Milano 1913, ad ind.; M. De Angelis, La musica del Granduca. Vita musicale e correnti critiche a Firenze 1800-1855, Firenze 1978, ad ind.; Id., Le carte dell’impresario. Melodramma e costume teatrale nell’Otto-cento, Firenze 1982, ad ind.; Gioacchino Rossini: lettere agli amici. Motivi di biografia ed arte nella raccolta autografa rossiniana del Fondo Piancastelli, a cura di C. Carlini, Forlì 1993, ad ind.; G. Rossini, La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo, a cura di A. Zedda, Pesaro 1998, p. XXXI; M. Tosti-Croce, Rossini nelle “Lebenserinnerungen” di Spohr, in Bollettino del Centro rossiniano di studi, XXXVIII (1998), p. 81; Giacomo Meyerbeer: Briefwechsel und Tagebücher, V, a cura di S. Henze-Döhring - H. Moeller, Berlin 1999; VIII, a cura di S. Henze-Döhring, Berlin 2006, ad ind.; P. Fabbri, Rossini nelle raccolte Piancastelli di Forlì, Lucca 2001, ad ind.; G. Rossini, Il barbiere di Siviglia, a cura di P.B. Brauner, Kassel 2008, pp. XXVIII, XLVIII, 536-552; G. Verdi, Giovanna d’Arco, a cura di A. Rizzuti, Chicago-Milano 2008, pp. 12 s.; G. Rossini, Il barbiere di Siviglia, a cura di A. Zedda, Milano-Pesaro 2009, pp. XXXIV s., 917-953.