RAMPONI, Pietro
RAMPONI, Pietro. – Figlio di Rodolfo e di Giovanna Ghisilieri, nacque a Bologna il 21 febbraio 1385.
Fonte principale sulla sua vita è un’opera autobiografica di notevole interesse, il Memoriale. La famiglia paterna è ben rappresentata fra i gruppi dirigenti bolognesi del Trecento. Nella prima metà del secolo, i Ramponi avevano stabilito solidi legami matrimoniali con l’élite economico-politica cittadina: Malavolta, Buvalelli, Pepoli, da Castello e Ghisilieri. Rodolfo e Giovanna Ghisilieri ebbero, oltre a Pietro, sette figli maschi e dieci femmine, nati fra il 1382 e il 1402. Dei fratelli e delle sorelle Ramponi annotò con diligenza, nel suo libro di famiglia, date di nascita e nomi dei padrini di battesimo e di cresima, il che ci consente di seguire la strategia che ispirava Rodolfo nel legarsi a casati della più antica aristocrazia (Lambertini, Rustigani, da Panico) e a famiglie del ceto mercantile e creditizio (Poeti, Rasuri, Tencarari, Ghisilardi), ma anche a facoltosi mercanti di Ferrara, Venezia, Firenze, Genova, Pisa e persino a dinastie signorili, gli Alidosi di Imola e i Guinigi di Lucca.
Destinato alla vita ecclesiastica, Ramponi ricevette già nel 1392 la prima tonsura, nel 1398 venne investito dal vescovo bolognese Bartolomeo Raimondi del canonicato di S. Maria di Pieve di Cento e nel 1404 il legato pontificio Baldassarre Costa gli conferì la pieve di S. Lorenzo in Collina. Questa prima fase della carriera ecclesiastica, cui è integralmente dedicata la parte iniziale del Memoriale, trova il suo coronamento nel 1412, quando Ramponi fu eletto fra i canonici della Chiesa di Bologna. L’importanza che la famiglia attribuiva al superamento di queste tappe è testimoniata dalle relative spese, ingenti e sempre fedelmente annotate, sostenute a quello scopo da Rodolfo e dopo la sua morte (1409) dallo stesso Ramponi, che registrò anche le prebende e gli altri vantaggi economici conferiti dai canonicati.
I primi incarichi sembravano destinarlo a futuri brillanti successi: nel 1412 condusse a termine, per conto del clero bolognese, una missione diplomatica presso la S. Sede e nell’aprile del 1413 fu promosso ai quattro ordini minori e successivamente al suddiaconato. Il corso tranquillo della carriera ecclesiastica subì una brusca e prolungata interruzione a seguito del coinvolgimento dei Ramponi nelle turbolenze della vita politica bolognese, caratterizzata in quegli anni dai contrasti fra il potere del legato pontificio e la famiglia Bentivoglio. Accusato di tramare ai danni di Baldassarre del Cossa, Ramponi fu arrestato il 4 agosto 1413 e detenuto fino all’aprile successivo, quando fu inviato al confino in Piemonte. Nella condizione di esule visse per quasi due anni (aprile 1414-gennaio 1416), non passivamente però: nel giugno del 1414 violò il confino, recandosi «in habitu dissimulato» (Memoriale, a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, 2003, p. 44) a Lucca, per incontrarvi l’autorevole capofazione bolognese Marco Canetoli, anch’egli in esilio, e organizzare con lui una comune strategia di rientro. Altre missioni politiche condusse in incognito ad Avignone, nel settembre del 1414, e fra Asti e Alessandria nel marzo del 1415; a Costanza, infine, dove «per ispirazione divina» (Memoriale, cit., p. 105) si recò nel luglio e di nuovo nel novembre del 1415, ebbe notizia degli esiti conciliari, che avrebbero condotto alla deposizione di Giovanni XXIII. Nel gennaio del 1416 una temporanea alleanza fra le famiglie rivali dei Bentivoglio e dei Canetoli portò alla caduta del governo pontificio di Bologna e consentì agli esuli, fra cui Pietro, di rientrare in città. Si aprì dunque un periodo nuovo nella vita e nella carriera di Ramponi. Nell’agosto dello stesso anno, il vescovo gli conferì il canonicato di S. Maria Maggiore, seguirono importanti incarichi diplomatici presso l’arcivescovo di Ravenna (marzo 1417) e il pontefice (febbraio 1418), affidatigli dalla Chiesa bolognese. Finalmente, nel settembre del 1418, fu ordinato sacerdote dal vescovo Nicolò Albergati, che un anno più tardi lo nominò vicario generale.
Anche questa fase promettente della sua vita pubblica fu piuttosto breve. Il riaccendersi dello scontro fra le fazioni cittadine e i nuovi violenti tumulti fra Canetoli e Bentivoglio, scoppiati nel gennaio del 1420, coinvolsero inevitabilmente anche i Ramponi. Legati ai Canetoli da solida e antica alleanza, furono condannati e banditi nel luglio del 1420 per la congiura ai danni di Antonio Bentivoglio; ma in quell’occasione a Ramponi giovò la protezione del vescovo Albergati, che gli valse l’assoluzione dalla scomunica papale. Negli anni successivi, anzi, parvero aprirsi per lui nuove e interessanti prospettive. Con orgoglio annota nel Memoriale, il 19 agosto 1423, di essere giunto a Roma al seguito di Albergati e di aver ottenuto, il 16 settembre 1425, la nomina a cappellano del pontefice Martino V e a chierico della Camera apostolica. Troppo profonde, tuttavia, erano le sue radici bolognesi e troppo forti i legami con la famiglia d’origine, perché potesse evitare pericolose implicazioni. Lo stesso Martino V, nell’agosto del 1428, punì con la scomunica un nuovo tumulto contro il governo pontificio di Bologna, coinvolgendo nella condanna Canetoli, Zambeccari e altre famiglie, fra le prime i Ramponi e fra loro Pietro.
Nonostante questi contrasti, Ramponi mise in luce nell’ultima fase della sua vita doti politiche e diplomatiche di rilievo, apprezzate sia a Bologna sia a Roma. Già nel 1429 iniziò a trattare per conto della città un accordo con Martino V, giungendo dopo ripetute ambascerie a un compromesso, che risparmiò ai cittadini le minacce dell’esercito pontificio e a lui le conseguenze di una nuova scomunica. Altre importanti missioni condusse nel 1430 presso il legato pontificio e nel 1431-32 a Roma per trovare un più stabile accordo con il nuovo papa Eugenio IV. Quest’ultimo apprezzò evidentemente le sue doti, tanto da chiamarlo al suo servizio per affidargli incarichi di rilievo, coronati nel 1433 dalla nomina a protonotario apostolico. Una fiducia notevole nelle sue capacità politiche il pontefice gli dimostrò nel maggio del 1432, inviandolo a governare la città di Rieti, centro di rilevanza strategica seriamente minacciato dall’avanzata degli eserciti viscontei. Retta la città per due anni, Ramponi dovette infine abbandonarla precipitosamente nel giugno del 1434 «per la furia de le genti d’arme del ducha de Millano che lo opressavano» (Memoriale, p. 56). Raggiunse Eugenio IV a Firenze e riprese da qui a tessere una fitta trattativa diplomatica, ora per conto del pontefice, con la città natale, in cui nel frattempo si era affermato il potere di Nicolò Piccinino, di ispirazione viscontea. Inviato nuovamente a Rieti nel 1435, Ramponi dovette rinunciare negli anni seguenti a rientrare in patria, per l’ostilità dei regimi, bentivoleschi e filoviscontei, che si alternarono al governo di Bologna.
Morì a Viterbo il 23 dicembre 1443.
È autore di due opere storiografiche, un Memoriale in lingua latina, a parte le ultime pagine in volgare, e una Cronaca di Bologna in volgare, che si offrono a interessanti considerazioni critiche, in particolare in merito al metodo compositivo. Alla scrittura del Memoriale egli iniziò a dedicarsi nel 1417, con l’intento manifesto di documentare con precisione la propria carriera ecclesiastica. La narrazione inizia infatti dal 1392, con la prima tonsura, e procede fino al 1422, registrando uno dopo l’altro i benefici e le diverse fasi delle loro acquisizioni, ma soprattutto documentando il racconto con puntualissimi riferimenti alla relativa documentazione notarile. Al 1422 si interrompe la prima parte del testo, o meglio la narrazione a quel punto arretra, con un improvviso flashback, al XII secolo, aprendosi all’influenza di generi letterari diversi, come i libri di famiglia e le cronache cittadine. Ramponi recupera così le origini presunte della propria famiglia e ne distende il racconto fino al matrimonio fra il padre Rodolfo e la madre Giovanna. La terza parte del Memoriale è finalizzata a celebrare il prestigio dei Ramponi della sua generazione, mentre nella quarta e ultima parte l’autore ripercorre la propria biografia, questa volta inquadrandola nella più vasta scena della storia familiare e politica. La narrazione si interrompe al 1434, probabilmente per le vicende che tennero negli ultimi anni Ramponi lontano dalla città e dalla casa e quindi dalle fonti principali della sua opera, conservate appunto nell’archivio di famiglia.
L’interesse maggiore della produzione di Ramponi, del Memoriale così come della Cronaca, dedicata alla puntuale descrizione di due soli anni della storia cittadina (1431-32), risiede nella trama fittissima di fonti che fa da supporto al racconto: fonti documentarie, come gli atti notarili dell’archivio familiare, in parte tuttora consultabili, e fonti narrative, come la cronaca trecentesca dei Villola e quelle quattrocentesche di Bartolomeo della Pugliola e di Matteo Griffoni. A tali opere Ramponi aveva a Bologna agevole accesso, per i rapporti che lo legavano ad autori e detentori dei manoscritti, e ne approfittò per studiarle intensamente, trovandovi talvolta conferme dell’antico prestigio del suo casato, in altri casi invece creandole per mezzo di surrettizi interventi testuali (Antonelli, 2003, pp. XXVI-XXX).
Memoriale e Cronaca (1385-1443) sono editi a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, Bologna 2003.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Famiglia Malvezzi-Campeggi, Malvezzi Bonfioli, 45/848; Miscellanea, 49/917; Notarile, Rinaldo Formaglini, prott. 2 (1393); 4 (1414-20); Filippo Formaglini, prot. 29 (1427); Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1456 (Cronaca Villola); 3843 (B. della Pugliola, Cronaca); Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.1250 (M. Griffoni, Cronaca); A. Antonelli, Introduzione, in P. Ramponi, Memoriale e Cronaca, Bologna 2003, pp. IX-XLVII.