PORFIRI, Pietro
– Sacerdote, compositore e maestro di cappella, fu attivo tra il 1650 circa e il 1714 (ignoti i nomi dei genitori).
Dato per veneziano dai continuatori della Drammaturgia di Leone Allacci (1755), per Giuseppe Radiciotti (Dizionario bio-bibliografico, 1888-1893) fu invece marchigiano, originario di Mondolfo, nel Pesarese, come indicato in documenti dell’archivio capitolare del duomo di Pesaro e dell’archivio di S. Nicolò di Fabriano (Liber Capitolorum II, c. 38r, 22 giugno 1690). In registri della cattedrale di Jesi (cfr. Dizionario bio-bibliografico, 1888-1893) il compositore è detto di Montalboddo (l’odierna Ostra, nell’Anconetano): ma dev’essere un riferimento al luogo della precedente attività piuttosto che a quello di nascita.Il suo nome figura dapprima nelle carte concernenti il concorso quale organista al duomo di Pesaro (Registri capitolari, libro C, c. 67, 15 dicembre 1676), cui Porfiri partecipò senza successo.
L’estro compositivo di Porfiri si manifestò in primis nella musica teatrale e vocale da camera; non sono note sue musiche da chiesa, nonostante i diversi incarichi di maestro di cappella ricoperti nell’arco di circa 25 anni. L’esordio operistico viene fatto risalire al novembre 1686, quando il teatro di S. Moisè a Venezia allestì il dramma per musica Zenocrate ambasciatore a’ Macedoni, parole di Marc’Antonio Gasparini; le recite ripresero in tempo di carnevale (Selfridge-Field, 2007). Non recando il libretto il nome del musicista, l’attribuzione si deve ai cronografi coevi dell’opera veneziana. Lo stesso poeta fornì a Porfiri il testo del suo secondo dramma per musica, Lo schiavo fortunato in Algeri, dato nel piccolo teatro di S. Margherita in Treviso nel 1688: stavolta il nome del compositore, «che in molte altre occasioni s’è fatto conoscere», figura nel libretto.
Tornato nelle Marche, dopo un periodo passato probabilmente a Montalboddo, fu eletto maestro di cappella nella cattedrale di Jesi; tuttavia optò per il pari incarico conferitogli dalla nobile collegiata di S. Nicolò di Fabriano, assunto il 22 giugno 1690 con un compenso di 25 scudi e altri emolumenti. Nel 1692 dedicò a Giuseppe Vallemani, segretario della Sacra Congregazione dei Riti e maggiordomo di Clemente XI, fratello del priore della collegiata fabrianese, le sue sette Cantate da camera a voce sola op. 1, stampate a Bologna da Pier Maria Monti, il continuatore d’una ditta editoriale che da anni teneva in catalogo numerose raccolte di cantate, di autori illustri come Giovanni Bononcini, Giovanni Battista Bassani e Domenico Gabrielli.
Durante il suo magistero, nel giugno 1692, venne inaugurato il «novissimo teatro» di Fabriano con il Vespasiano di Giulio Cesare Corradi (creato a Venezia nel 1678), in un allestimento derivante da quello del teatro ducale di Parma (1689): la partitura di Carlo Pallavicino fu arricchita per l’occasione da musiche di Porfiri per le arie aggiunte di Aurelio Aureli, all’epoca poeta alla corte dei Farnese. La compagnia di canto – tutti uomini, in parte venuti da Parma – annoverò stelle di prima sfera come il contralto Francesco Antonio Pistocchi e fu festeggiata con un apposito foglio volante (Lindgren-Schmidt, 1980).
Il 24 agosto dello stesso anno Porfiri si dimise dall’incarico per questioni economiche; si trasferì in seguito a Rocca Contrada (l’odierna Arcevia), dove rimase quale maestro di cappella dal 1693 al 1695, rifiutando il rinnovo del mandato. Il 14 settembre 1696 ottenne la nomina al duomo di Pesaro, con un compenso di 40 scudi annui. Non per questo rinunciò a proporsi come operista: già nel febbraio 1696 aveva aggiunto sue arie a La forza del sangue overo Gl’equivoci gelosi (dramma di Giovanni Andrea Lorenzani, musica di Flavio Lanciani) rappresentata per gli Accademici Inquieti nel teatro della vicina Mondolfo. Nel carnevale 1697 Porfiri presentò al teatro del Sole di Pesaro un’«opera musicale» nuova, Isifile amazone di Lenno, spettacolo promosso dall’Accademia degli Ansiosi. Sotto il profilo teatrale, il libretto di Aurelio Aureli imbandì una carnevalesca ensalada del Giasone di Giacinto Andrea Cicognini, ma a parti rovesciate: l’argonauta vi compare incrollabilmente innamorato di Isifile, ma infine la maga Medea, non senza vari travestimenti, riesce a catturarlo e a impalmarlo (cfr. Antonucci-Bianconi, 2013). Nel 1697 Porfiri compose la Santa Irene, adespoto «dramma spirituale», il primo rappresentato in quel teatro; nel 1699 vi replicò infine Lo schiavo fortunato in Algeri dato a Treviso undici anni prima.
Da documenti del duomo pesarese risulta che nel maggio 1699 il compositore aveva lasciato l’incarico «perché provvisto di un medesimo mandato nella città di Noventa, in Veneto» (Registri capitolari, lib. D, c. 6r). La genericità dell’indicazione non consente l’individuazione certa del luogo, ma potrebbe trattarsi di Noventa di Piave, sede che almeno da metà Seicento ebbe lustro grazie ad altri musicisti di una certa fama, come un altro marchigiano, Carlo Milanuzzi; di fatto non risultano ragguagli circa l’attività del compositore per i successivi nove anni.
Di nuovo nelle Marche, nel giugno 1709, mentre era canonico a Urbino, compose il dramma La Leucippe, allestito da una compagnia di cantanti marchigiani e umbri tutti maschi per la riapertura del restaurato teatro Comunale di Senigallia, in concomitanza con la tradizionale fiera estiva. Il libretto, adespoto, si rifà alla Leucippe Phestia di Nicolò Minato (Vienna 1678). Nel giugno 1714 Porfiri venne richiamato al Duomo di Pesaro, in sostituzione di Fabio Guerra, con un compenso di 36 scudi annui; tuttavia pochi mesi più tardi non figurava già più nel ruolo, ricoperto l’8 settembre dal veneziano Alvise Tavelli.
Ignoti il luogo e la data della morte.
La musica teatrale di Porfiri è perduta, mentre si conservano i relativi libretti; andrà accertato se non siano sue alcune delle arie anonime del Vespasiano contenute in raccolte manoscritte nella Biblioteca Estense di Modena (Mus. F.1547, G.296, G.298) e nella Biblioteca Corsinana a Roma (Mus. M15/2) o della Leucippe in manoscritti alla British Library (Add. 14231). Incuriosisce pertanto il parere espresso in un ‘abbozzo’ di storia della musica italiana apparso in Germania nel primo Ottocento, in cui a Porfiri, nominato per lo Zenocrate tra i compositori di scuola veneziana, viene riconosciuta l’arte di una melodia dotta ed espressiva («eine gelehrte und ausdrucksvolle Melodie»; Orlov, 1824).
L’identità musicale di Porfiri è oggi confinata nelle Cantate dell’opera 1, tre per soprano e quattro per contralto, in cui l’autore mostra un estro particolare nella mutevole scelta dell’assetto formale delle composizioni. Alcune derogano dallo schema consueto, recitativo-aria-recitativo-aria, per articolarsi in una rapida concatenazioni di brevi recitativi che sfociano in sezioni più melodiose, alla stregua di «arie cavate», non prive di passi melismatici; frequenti anche nelle arie i cambiamenti di tempo e metro, mentre bizzarre appaiono talune scelte di tonalità e percorsi melodici segnati da imprevedibili, ardui intervalli. In linea con la produzione bolognese coeva, un particolare risalto viene assegnato al violoncello, non solo nei frequenti passi imitativi ma segnatamente in una lunga aria della cantata quinta (È gran pena amar chi teme), dove lo strumento è ‘obbligato’ per la Sinfonia introduttiva e i ritornelli. Il ricorrente carattere pastorale dei testi, tutti adespoti, trova una declinazione topica nella terza cantata, Lungi dal bel Metauro (con riferimento al fiume che scorre tra Urbania e Fano).
Fonti e Bibl.: Macerata, Biblioteca Mozzi Borgetti: G. Radiciotti - G. Spadoni, Dizionario bio-bibliografico dei musicisti marchigiani, 1888-1893, ms. 1017-30: 1025, cc. 3180-3187; L. Allacci, Drammaturgia accresciuta e continuata fino all’anno MDCCLV, Venezia 1755, coll. 833 s.; G.V. Orlov, Entwurf einer Geschichte der italienischen Musik, von den ältesten Zeiten bis auf die gegenwärtige, Leipzig 1824, p. 292; G. Radiciotti, Teatro, musica e musicisti in Senigallia, Milano 1893, p. 43; C. Cinelli, Memorie cronistoriche del teatro di Pesaro dall’anno 1637 al 1897, Pesaro 1898, p. 41; G. Radiciotti, La cappella musicale del Duomo di Pesaro (sec. XVII-XVIII), in La cronaca musicale, XVIII (1914), 4, p. 69; L.E. Lindgren - C.B. Schmidt, A collection of 137 broadsides concerning theatre in late seventeenth-century Italy, in Harvard Library Bulletin, XXVIII (1980), p. 218; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo 1990-1994, nn. 10847, 13770, 14189, 20928, 21235, 24727, 25366; P. Giorgini, La cappella musicale del duomo di Pesaro, tesi di laurea, Università di Urbino, a.a. 1996-97; M. Salvarani, «Le ariose vaghezze». Note su fonti e autori della musica vocale profana, in Il Seicento nelle Marche, profilo di una civiltà, a cura di C. Costanzi - M. Massa, [Ancona 1994], pp. 290 s.; S. Campolucci, La cappella musicale di S. Venanzo a Fabriano (1578-1728), Roma 1995, pp. 19 s., 97 s., 135 s.; The New Grove of music and musicians, London-New York 2001, XX, p. 168; E. Selfridge-Field, A new chronology of Venetian opera and related genres, 1660-1760, Stanford, Ca., 2007, p. 177; R. Emans, A tale of two cities: cantata publication in Bologna and Venice, c.1650-1700, in Aspects of the secular cantata in late baroque Italy, a cura di M. Talbot, Farnham 2009, pp. 92, 100; F. Antonucci - L. Bianconi, Miti, tramiti e trame: Cicognini, Cavalli e l’argonauta, in G.A. Cicognini - F. Cavalli et al., Il novello Giasone, a cura di N. Usula, Milano 2013, p. XXXVIII n. 70; M. Vanscheeuwijck, note di accompagnamento a P. P., Cantate da camera a voce sola, CD Tactus TC651601, 2015; G. Giovani, Col suggello delle pubbliche stampe. Storia editoriale della cantata da camera, Roma 2017, pp. 137 s.