CENNINI, Pietro Paolo
Figlio di Giacomo e di Cecilia Bertolotti nacque a Roma il 6 luglio 1661 (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Maria in Trastevere, Liber bapt., 1643-1667, f. 296v). Questo pittore, sconosciuto a tutti i repertori artistici, dovette essere, ai suoi tempi, abbastanza celebre se N. Pio gli dedicò una delle sue vite, e anche molto elogiativa; è questa l'unica fonte di informazione che necessariamente va confrontata e completata con documenti d'archivio. Il padre del C. era pittore, per altro a noi sconosciuto, amico di Ciro Ferri al quale chiese di fare da padrino al figlio; verosimilmente il C. ricevette in casa laprima istruzione in pittura, ma secondo il Pio fu allievo di Nicola Stanchi.
Il C. visse, sempre a Roma, nel rione di Trastevere, poi nei dintorni di piazza del Popolo (Archivio, stor. del Vicariato, S. Dorotea e S. Maria del Popolo, Stati d'anime), salvo a credere al Pio, brevi viaggi di lavoro che mostrano l'estensione della sua fama: a Ravenna fu chiamato dai "Sig.ri Rasponi" per ornare una delle loro ville; a Napoli si unì a G. Del Po per dipingere una sala del palazzo del duca di Matalona. Ma lavorò per lo più a Roma e nei dintorni. Il C. ebbe rapporti di parentela o di amicizia con pittori minori: i suoi cognati Giuseppe Graziani, figlio del paesaggista Francesco (Ibid., S. Lorenzo in Lucina, Liber matrim., 1661-1687, f. 253v:matrimonio di G. Graziani con la sorella della moglie del C.), e Ferdinando Bonaventura De Paolis (Ibid., NotaioTommaso Ottaviani, Interrogationes, 1690, 16 giugno: matrimonio di Lucia Cennini col De Paolis) e il figurista Jakob Werner, conosciuto come Monsù Giacomo, del quale il C. tenne a battesimo il figlio Giuseppe (Ibid., S. Andrea delle Fratte, Liber baptiz., 1686-1697, f. 112v).
Il Pio, da parte sua, ricorda i rapporti del C. con gli artisti più importanti come Maratta, Trevisani, F. Lauri, Andrea Procaccini, Pannini, che gli chiedevano di dipingere fiori nei loro quadri. Egli fu insomma il successore di Mario dei Fiori, ma ebbe molti concorrenti, sicché è difficile fare attribuzioni in mancanza di documenti espliciti. Il suo successo dovette essere rapido dato che ben presto ebbe la protezione di personaggi importanti che fecero da padrini ai suoi figli (nel 1686 il marchese Nicola M. Pallavicini, nel 1694 il principe Giovanni Borghese, nel 1701 il duca Giuseppe Sertori e Caterina Giustiniani moglie del principe Giulio Savelli (Ibid., S. Maria del Popolo, Liber. baptiz., 1672-1688, f. 194v; 1688-1710, ff. 83r, 196r). Questi nomi sono altrettante indicazioni di lavori del C., non ancora reperiti, che sono da aggiungere a quelli elencati, spesso molto vagamente, dal Pio.
Il 9 ag. 1705 il C. fu ammesso nella Congregazione dei virtuosi al Pantheon (Roma, Arch. della Congregazione dei virtuosi al Pantheon, Congregationi, vol. V). Nel corso di una lite della Congregazione con l'Accademia di S. Luca il C. fu uno dei quattro delegati a trattare la pace (Roma, Arch. stor. dell'Accad. di S. Luca, vol. CLXVI, n. 11,22 ag. 1723).
Secondo il Pio il C. era "amato da tutti, e per la sua virtù e per li suoi ottimi costumi".
Morì il 12 apr. 1739 e fu sepolto a S. Maria del Popolo (Arch. stor. del Vicariato, S. Maria del Popolo, Liber mort.,1732-50, f. 68r). Nel Nationalmuseet di Stoccolma è conservato il suo ritratto disegnato da P. Zerman (A. M. Clark, The portraits of artists drawn for Nicola Pio, in Master Drawings, V[1967], p. 16 n. 107).
Delineare la carriera artistica del C. è particolarmente difficile anche per il genere di pittura in cui eccelleva che, a quanto è dato ricostruire dalle fonti, era unicamente decorativa, fatto che favorisce l'anonimato. Il Pio sottolinea la qualità delle sue opere "tanto a guazzo che a oglio", ma nonostante che il C. avesse ricevuto numerose commissioni, anche da paesi lontani come la Spagna e il Portogallo, non si conosce alcuna sua tela che possa servire a una analisi stilistica corretta da cui partire per altre attribuzioni.
L'indicazione del Pio circa l'alunnato presso lo Stanchi permette di identificare il C. con il "Sig.re Pavolo allievo del Sig. Stanchi" presente tra i pittori che nel 1686 vanno a San Quirico d'Orcia al servizio sul card. Flavio Chigi (V. Golzio, Docc. art. del Seicento nell'arch. Chigi, Roma 1939, p. 234). Nonostante le distruzioni belliche, i soffitti del palazzo conservano un gran numero di composizioni mitologiche originali intersecate da una delicata decorazione floreale. D'altronde il C. si dimostrerà un vero continuatore dello Stanchi quale maestro nell'integrare gli specchi delle gallerie principesche con una fastosa decorazione vegetale. Uno dei suoi primi modelli potrebbe essere quella galleria della villa Borghese a Roma dove nel 1675 collaborarono Ciro Ferri e N. Stanchi, l'uno dipingendo i putti e l'altro i fiori (P. Della Pergola, Galleria Borghese, I dipinti, Roma 1959, II, pp. 222 s.).
Il Pio ricorda che il C. lavorò per il cardinale Ottoboni; infatti è documentato che su commissione di questo, il C. lavorò per ventitré giorni, tra il maggio e il giugno 1690, alle pitture per il teatro alla Cancelleria, purtroppo sparite con il teatro stesso (Bibl. Apost. Vaticana, Computisteria Ottoboni, vol. 15, filza 87: Conti del teatro alla Cancelleria); inoltre, nell'inventario posteriore alla morte del cardinale, G. P. Pannini, che valutò le varie opere d'arte, attribuisce al C. anche i festoni, i mazzi di fiori e gli uccelli che decoravano gli specchi della galleria e delle due sale contigue (Arch. di Stato di Roma, Notai del tribunale dell'A. C.,busta 1838, pp. 182, 192). Tali opere sono anteriori al 1693, annoin cui terminò il riassetto del palazzo, e sono quindi il primo esempio citato di lavori di questo genere, nel quale il C. più tardi si specializzerà.
Il cardinale Benedetto Pamphili, grande amatore di pittura di genere, lo prese al suo servizio; è documentato il soggiorno del C. ad Albano nel 1708 per ornare le porte e dipingere soprapporti su tela in una cornice a trompe-l'oeil, e l'anno seguente "per dare nobile decoro alla cappella". Nel 1712 il C. tornò ad Albano per lavorare nella galleria ornando pannelli, porte e finestre con festoni in chiaroscuro lumeggiati in oro, montre nel 1713 decorò l'anticamera del secondo appartamento del palazzo Doria Pamphili a Roma con intrecci di rami d'olivo, fiori e gigli araldici (Roma, Arch. Doria Pamphili, scaff. III, voll. XI, filze 4, 50; XIV, filza 88; XV, filza 21). Nell'inventario del 1725 dei beni del cardinale Benedetto Pamphili (Ibid., Inventario... 1725, ff. 125, 127, 131 s., 140, 145, 156 s., 164) sono elencate quattordici tele "a guazzo" nel casino d'Albano. Tutti i dipinti di Albano sono andati dispersi verosimilmente durante la seconda guerra mondiale. Le dettagliate descrizioni fornite dai documenti confermano l'elogio che il Pio faceva della varietà dei suoi soggetti, apparentandolo ai pittori di nature morte: "buon pittore ... tanto in fiori, e frutti, quanto in animali, vasi istoriati, bicchieri, bacili, grotteschi, architettura".
Èancor più da rimpiangere la perdita della lussureggiante decorazione che il C., insieme con O. Loth, aveva creato nel 1715 in una sala dell'"appartamento terreno" di palazzo Ruspoli (dove già aveva lavorato a giornata in altre stanze). Queste tempere sono svanite col tempo e sono scomparse definitivamente nel secolo scorso; la descrizione ci permette d'immaginare la "pergolata con agrumi e frutti" dipinta sulla volta, i festoni, i mazzi legati da "fettuccia torchina" e lumeggiati d'oro intorno agli specchi e sulla porta, e quel "vaso grande di color d'oro pieno di diversi fiori coloriti che empieno tutto il vaso" (G. e O. Michel, La décoration du palais Ruspoli ..., in Mélanges de l'Ecole Française de Rome, LXXXIX [1977], pp. 268, 314, 317, 328 e tabella fuori testo).
Tra i lavori citati dal Pio ve ne sono alcuni che sono sicuramente scomparsi senza lasciare nemmeno tracce documentarie come quelli della villa Patrizi a Roma, distrutta nel 1911, o quelli della villa Visconti o Belpoggio a Frascati, distrutta durante la seconda guerra mondiale (I. Belli Barsali, Ville di Roma, Milano 1970, I, p. 93 n. 54; Id.-M. G. Branchetti, Ville della campagna romana, ibid. 1975, pp. 268 s.). Altri sono di difficile identificazione, come il "bellissimo zoccolo all'uso grottesco" eseguito per il cardinale Alessandro Albani, i "due gabinetti" decorati per la principessa Laura Altieri e per il duca di Monterano, suo figlio, nel palazzo al Gesù o le "due antiporte di altro suo gabinetto" (quest'ultime due opere sono certamente anteriori al 1720, anno in cui morì la principessa). Non è nemmeno facile collocare l'ambiente decorato per ordine di "monsignor Lanti" (Pio).
Datate 1720 su un'iscrizione sono le decorazioni della casina degli Specchi di Soriano nel Cimino, capolavoro tra le opere conservate del C., che collabora qui con un figurista e un decoratore sconosciuti. In una delle due sale sono dipinti su un fondo di specchi putti che si trastullano in ambiente campestre: uno suona il flauto per svegliare un altro, un terzo lancia una freccia, altri due rovesciano un paniere. I fiori, rose e campanule, si mescolano ai frutti, uva, cocomeri, melograni spaccati; un coniglio gioca con delle ciliegie. La natura morta non serve qui da semplice complemento ma ha un ruolo pari a quello delle figure nel suscitare un'impressione di gioia esuberante. La pittura - tecnicamente perfetta -, alleandosi ai giochi raffinati della luce negli specchi, crea una atmosfera preziosa. Nel monastero di Tor de' Specchi a Roma due sale sono elegantemente decorate da panieri fioriti confermando quindi l'indicazione del Pio. Nel palazzo De Cairolis, oggi Banco di Roma, è sparita la "stanza dei cristalli" con la "ghirlanda grande" dipinta dal C. "dove sono li putti dipinti da Giuseppe Chiari"; ma, sempre secondo il Pio, il C. aveva dipinto tutti i fiori nel palazzo e sono conservate quattro grandi tele dei soffitti dove i fiori sono elemento importante della composizione; meno rilevanti in quella di Sebastiano Conca che nelle altre tre: Gli Zeffiri che scacciano l'Inverno e la Primavera, di Giovanni Odazzi, e l'Aurora di Andrea Procaccini (che conferma l'associazione con questo pittore segnalata dal Pio). In queste allegorie mitologiche il cielo trasparente è animato da putti indaffarati intorno a mazzi di fiori; i loro giochi sono improntati a una grazia leggera; i capelli biondi e le carni madreperlacee dei putti si accordano ai toni teneri dei fiori. Questi lavori, ordinati da Livio De Cairolis, sono da datare tra il 1720 e il 1722 (A. Bocca, Il palazzo del Banco di Roma ..., Roma 1961, pp. 46 s.), Sono gli stessi anni in cui Pannini corre da un cantiere all'altro di Roma e in cui si devono collocare le decorazioni del C. ancora visibili: Clark fa risalire a prima del luglio 1720 la decorazione del palazzo Albani-Del Drago da lui riconosciuta. Un lungo cordone di campanule sottolinea le spartizioni della volta, dei mazzi di fiori riempiono i vasi dipinti in trompe-l'oeil; la galleria straborda di effetti decorativi nei quali gli ornamenti floreali vengono messi in rilievo dai colori più intensi.
Prima dell'ultima guerra (secondo una comunicazione orale di Ellis Waterhouse) in un grande salone quadrato del pal. Caetani di Cisterna era ancora possibile ammirare un soffitto ornato da una pergola, vicina nello stile alle ghirlande di pal. Albani-Del Drago.
Nel palazzo del Quirinale resta uno solo degli ambienti decorati nei "mezzanini novi dipinti di bell'architettura e prospettive da Gio. Paolo Pannini per servitio del Pontefice Innocenzo XIII"; i lavori terminarono il 18 apr. 1722, e la parte riservata al C. è chiaramente circoscritta nell'ambiente dove sono dipinti a tempera paesaggi abitualmente attribuiti al Pannini, anche se Clark preferisce vedervi la mano di Paolo Anesi. Su una balaustrata in trompe-l'oeil che contorna il soffitto poggiano dei grandi vasi da giardino riboccanti di fiori che ricordano quelli della galleria Albani-Del Drago. Su una parete, una fastosa ghirlanda colorata è appesa alla decorazione architettonica che inquadra il medaglione con l'Innocenza.
Da quello che conosciamo dello stile del C. possiamo dire che egli non aveva altra ambizione che la resa di una natura idealmente bella; la sua precisione è esattezza, non minuzia; la disposizione dei fiori è semplice e leggera, il colore unisce luminosità a raffinatezze senza preziosismi; la sua arte interpreta il gusto decorativo del suo tempo fastoso nel naturale, delicato senza leziosità.
Fonti e Bibl.: N. Pio, Le vite di pittori ... [1724], a cura di C. e R. Enggass, Città del Vaticano 1977, pp. 197 s., 231; L. Montalto, Un mecenate in Roma barocca, il Cardinale Benedetto Pamphili …,Firenze 1955, p. 39; A. M. Clark, State of Studies: Roman Eighteenth-Century art, in Eighteenth-Century Studies, IX(1975), pp. 106 s.