PAOLINI, Pietro
– Nacque a Lucca nel 1603, secondogenito di Tommaso di Michelangelo e di Ginevra di Domenico Raffaelli, entrambi di antiche e agiate famiglie lucchesi.
Aveva otto fratelli (Baroni, seconda metà sec. XVIII, cc. 208-227), il maggiore dei quali, Giovanni Domenico, nel 1618 divenne canonico lateranense della basilica di S. Frediano, con il nome di Carlo, lasciando le incombenze della primogenitura a Pietro che, con atto testamentario del 25 novembre 1624, fu nominato dal padre tutore dei fratelli più giovani (Giusti Maccari, 1987, p. 21 n. 21). Un altro dei fratelli, Paolino (1615-1638), fu pittore ed era Roma presso Angelo Caroselli quando morì a seguito delle ferite riportate in una rissa (M. Rossetti, Note sul soggiorno napoletano di Angelo Caroselli…, in L’Acropoli, 2010, n. 5, p. 559). Il 25 novembre 1651 sposò in S. Maria Forisportam Angela di Girolamo Massei, da cui ebbe due figli: Andrea, custode del Pubblico Archivio, e Giovanni Tommaso.
Sono scarsissimi i riferimenti cronologici e documentari su cui poggiare la ricostruzione della biografia e della lunga carriera artistica di Paolini, che rimane affidata alle notizie di Filippo Baldinucci (1681-1728), secondo il quale fu «pittore di gran bizzarria, e di nobile invenzione» (1728, p. 365), e a quelle dell’erudito lucchese Giacomo Sardini (1750-1811), pubblicate postume e senza variazioni sostanziali da Tommaso Trenta (1822).
Come tramandato da Baldinucci, la sua vicenda artistica prese avvio a Roma accanto ad Angelo Caroselli, «caravaggesco di educazione ma abilissimo a copiare e contraffare ogni stile» (Lanzi, 1795-1796, p. 237), non prima del 1623, quando Caroselli rientrò da Napoli dove si era trasferito stabilmente dal 1616 (Rossetti, Note…, cit., pp. 532 s., 558). La sfortunata sorte del fratello Paolino costituisce l’unica prova documentaria del rapporto duraturo che si stabilì tra i due pittori, attestato per il resto da un primo nucleo di opere fortemente marcate dall’influenza di Caroselli che non lasciano trapelare nulla degli antefatti lucchesi della sua educazione artistica: la Marta e Maddalena (Roma, Galleria Pallavicini), la Scena allegorica a due figure (San Francisco, de Young fine arts Museums), il Ritratto allegorico femminile (Milano, coll. Koelliker). Paolini pervenne a una piena autonomia espressiva nel Concerto (già Malibu, J. Paul Getty Museum), in cui la qualità tersa del lume caravaggesco e la grazia tagliente dei tipi femminili risalgono a esempi di marca gentileschiana a cui aveva attinto lo stesso Caroselli mentre il felice equilibrio del soggetto da stanza già s’inserisce in quel filone di gusto internazionale di cui è esito più maturo il Concerto bacchico (Dallas Museum of art), saturo di suggestioni «modernamente nordiche e francesi» (Ottani Cavina, 1965, p. 182).
Agli anni romani risalgono anche il Giovane violinista (Madison, Chazen Museum of art) e il Giovane suonatore di cornamusa (Bonhams, London, 4 July 2007, lot. 4), di un naturalismo rigoroso, ma declinato in chiave intimista ed emotiva, Le tre età della vita (Lucca, coll. Mazzarosa), opera vicina alla Scena allegorica di Caroselli (Christie’s, London, 8 July, 1994, lot. 222) per la qualità luminosa e la presenza del medesimo inserto di natura morta con la caraffa di fiori e una cetera che era di uso condiviso tra i due pittori e che Paolini utilizzò anche nei Concerti di Dallas e Malibu (Rossetti, 2012). Sono state concordemente riferite al periodo romano le tele (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi) commissionate dagli olivetani del monastero lucchese dei Ss. Ponziano e Bartolomeo: il più antico Martirio di s. Bartolomeo, accalcato sul primo piano e fitto di citazioni da Caravaggio, e la Condanna di s. Ponziano, le cui intenzioni classicheggianti richiamano le esperienze del naturalismo francese di fine secolo insieme a cadenze lanfranchiane. Vicini al S. Ponziano sono il S. Rocco (Lupinaia, chiesa della Madonna Addolorata) e un Santo guerriero di ubicazione ignota (Borea, 1972), che presuppongono ugualmente la conoscenza delle pale, opera di Valentin, Nicolas Poussin e Caroselli, collocate in S. Pietro tra il 1629 e il 1630; dovrebbero seguire di poco l’Adorazione del Ss. Sacramento (Gattaiola, S. Andrea), l’Allegoria del tatto e della vista (Londra, coll. privata; Giusti Maccari, 2005), il S. Girolamo (Bergamo, Accademia Carrara), l’Allegoria della morte (Madrid, Museo Cerralbo), opere dalla fluida tessitura luminosa e coerenti nell’intento naturalistico non ancora intaccato dalle istanze normalizzatrici dell’ambiente lucchese. Al tempo dell’impegno caravaggesco risalgono quadri dall’«eleganza romanzesca alla Tournier» (Brejon De Lavergnée, 1983) quali il Concerto a cinque figure (Parigi, Musée du Louvre), dipinto in due versioni una delle quali, firmata (Milano, coll. priv.), di provenienza Mansi (Isarlo, 1941), I bari (Londra, coll. priv.; Nicolson - Vertova, 1979, 1990, p. 153 n. 378), La buona ventura (Auckland Art Gallery), la Lezione di astronomia (coll. priv.; Nicolson, 1979) e l’Achille e le figlie di Licomede (Malibu, J. Paul Getty Museum), in cui si sfalda la compattezza smaltata delle superfici e «la scena di genere volge in teatrino barocco» (Ottani Cavina, 1965, p. 184). Legati ancora a modelli del caravaggismo d’Oltralpe sono il Giovane artista al lume di una lucerna (Boston, Museum of fine arts), di probabile provenienza Buonvisi (Giusti Maccari, 1987, p. 125), e la cosiddetta Allegoria della vita e della morte (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi).
Secondo Baldinucci Paolini rimase a Roma sette anni, tornò a Lucca a seguito della morte del padre ed era a Lucca quando scoppiò il «contagio» in cui morì la madre, notizie confermate dai pochi dati certi disponibili: della sua permanenza a Roma è emersa un’unica traccia documentaria risalente al 1628, quando Paolini è registrato negli Stati d’anime di S. Biagio della Fossa (Alla ricerca di ‘Ghiongrat’, 2011); il padre morì verosimilmente nel 1626 e Paolini è espressamente menzionato con i fratelli in un atto di sequestro del 1628 (Lucca, Biblioteca statale, ms. 1127, c. 216); è poi documentato a Lucca nel 1632 (doc. in Giusti Maccari, 1987, p. 191) e nel 1633 (Lucca, Biblioteca statale, ms. 1127, c. 226). È probabile dunque che il distacco da Roma sia avvenuto in modo progressivo, che Paolini abbia alternato rientri in patria, richiamato dalle urgenze degli affari familiari, a soggiorni che gli consentirono di aggiornarsi sui fatti artistici romani fino al 1629-1630, quando scoppiò l’epidemia di peste.
La commissione governativa di un’opera di chiaro significato votivo quale la Madonna del Rosario tra i ss. Domenico e Caterina (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi), «forse bella sopra ogni altra» (Baldinucci, 1681-1728, 1728, p. 365), va verosimilmente ricollegata alla fine del «contagio», il che ne suggerisce una datazione tra il 1631-32, coerente con i rigorosi convincimenti naturalistici che la improntano e che segnano ugualmente le due figure di santi in primo piano nella Madonna con Bambino e i Ss. Maria Maddalena, Domenico e Francesco (Roma, Galleria nazionale di Palazzo Barberini), firmata e datata 1633. Chiaramente segnato dal contatto diretto con la pittura veneziana è il Martirio di s. Andrea (Lucca, S. Michele in Foro), datato 1635, la prima delle opere che Paolini «adornò di vaghissime prospettive, ad imitazione del Veronese» (Baldinucci, 1681-1728, 1728, p. 365) dal cui esempio attinse anche la cromia rischiarata e luminosa; la figura di quinta dell’armigero col turbante dai lineamenti scomposti reca già i segni della conoscenza dell’opera di Pietro Della Vecchia (Ottani Cavina, 1963) che impronta fortemente lo straordinario Eccidio degli ufficiali del generale Wallenstein (Lucca, Palazzo Orsetti), commissionato insieme a una perduta Uccisione del generale Wallenstein (Baldinucci, 1728, p. 365) dai Diodati, precedenti proprietari del palazzo, a ridosso del complotto che il 5 febbraio 1634 portò all’uccisione di Albrecht von Wallenstein a cui aveva partecipato anche Giulio Diodati; Baldinucci ricorda come di proprietà di Lelio Orsetti anche un quadro raffigurante l’Ozio con «alcune femmine che suonano alcuni strumenti» (1728, p. 365). Una marcata carica espressiva e un cromatismo denso e lievitante caratterizzano ugualmente il Ritratto dell’abate Andrea Raffaelli (Firenze, coll. priv.; Giusti Maccari, 2008), zio materno di Paolini che fu abate generale dell’Ordine olivetano tra il 1637 e il 1639, la Cattura di Cristo (Borgo a Mozzano, S. Iacopo), un S. Gerolamo e un’Adorazione dei pastori entrambi di collezioni private lucchesi (Giusti Maccari, 1987, p. 118, e 1994, p. 235).
Nelle pale per le chiese lucchesi Paolini si rifà a esempi classici del Cinquecento veneziano su cui innesta modelli femminili di grazia statuina che danno qualche fondamento all’aneddoto riportato da Sardini (cc. 527 s.) di un incontro romano con Domenichino: la Madonna in trono col Bambino e santi (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi), già in S. Agostino, la Nascita del Battista (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi), già in S. Maria Corteorlandini e commissionata nel 1637 (Belli Barsali, 1970), le più tarde tele con S. Raimondo di Peñafort (Lucca, S. Romano) e la Trinità con Madonna e santi (Lucca, chiesa della Trinità), nelle quali si avvalse di ampi interventi di collaborazione; neocinquecentesco è anche lo Sposalizio mistico di s. Caterina (già Londra, coll. Northbrook) di cui è stata tramandata la data 1636 (Mazzarosa, 1841). Nel maggio 1641 gli venne commissionata da Rocco Bertola, un oste di Miasino residente a Lucca, una Trinità con i ss. Giovanni Battista e Rocco (Miasino, S. Rocco; Dell’Omo, 1994) che appare del tutto estranea ai consueti modelli di riferimento.
Nel 1652 terminò nel refettorio di S. Frediano la sua opera più impegnativa e ammirata, una Cena di s. Gregorio (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi) sciupatissima, ma che rivela ancora l’adesione al modello veronesiano; erano forse dello stesso gusto anche un grande «Convito del fariseo con la maddalena penitente» per Gregorio Barsotti e un «Convito del ricco Epulone» per Ruggero Orsetti che di Paolini possedeva anche un «Antonio e Cleopatra» (Baldinucci, 1681-1728, 1728, p. 365).
La data della Cena di s. Gregorio si ricava dalla lunga lettera (Bottari - Ticozzi, 1822, p. 197) che il poeta lucchese e residente veneziano Michelangelo Torcigliani inviò a Paolini per avere notizie di un proprio ritratto di cui attendeva il completamento e che fu poi celebrato in versi, contenente una lunga ekphrasis del dipinto; la lettera fa luce anche sui rapporti intrattenuti da Paolini a Venezia, dove dal 1632 risiedeva il fratello militare Andrea, con Lorenzo Dolfin che possedeva una sua «Marta e Maddalena» elencata in un inventario del 1655 (The Getty provenance index database, http://piprod.getty.edu/).
Paolini fu in stretto rapporto anche con la poetessa lucchese Isabetta Coreglia, che scrisse per lui ventuno poemi (Struhal, 2001), dedicati in parte a dipinti oggi perduti, tra cui un «ritratto di Francesco Poggi», il poeta lucchese che aveva a sua volta composto un «ingegnoso sonetto» per i due quadri del Wallenstein ricordato già da Baldinucci (1728, p. 365); i versi di Coreglia tradiscono una familiarità di lunga data con il pittore e la sua cerchia familiare e confermano la capacità di Paolini d’intrattenere il discorso poetico e la sua dimestichezza col concettismo dei colti interlocutori (Strual, p. 365). A una sua perduta «Penelope» celebrata da Coreglia dedicò un sonetto anche Stefano Coli, ritratto da Paolini con il padre in un dipinto (Torino, coll. Voena) databile tra la fine del quarto decennio e gli inizi del successivo; sono più antichi il Ritratto d’attore (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana) già accostato ai più alti esempi di Valentin, il Ritratto d’uomo (Milano, coll. Koelliker) e il Ritratto d’uomo con frontespizio della Piccola Passione di Dürer (Rochester, Memorial art Gallery of the University). Il Ritratto d’uomo che scrive alla lucerna (Lucca, coll. Mazzarosa) partecipa di quel clima di appartata, silenziosa intimità domestica che contraddistingue anche la serie di ritratti di liutai passati più volte sul mercato antiquario (Ottani Cavina, 1963) e ne suggerisce una datazione più addentro al tempo lucchese.
Le frequentazioni poetiche di Paolini e una sua singolare inclinazione del sentimento ne marcano in retrospettiva la distanza dall’allegorismo di Caroselli e danno ragione di quel livello di sottili significati sottesi alla figurazione che pure in assenza di esplicite valenze simboliche determina il carattere sottilmente allusivo dell’intera sua opera. Un gruppo di dipinti dell’età matura, carichi di significati oscuri, è siglato dalla presenza misteriosa di un pappagallo, già riscontrabile nella citata Adorazione dei Pastori: il Concerto campestre (http://fe.fondazionezeri.unibo. it, n. 55802), la Suonatrice di mandorla (Pisa, Fondazione Palazzo Blu), il Vulcano che fabbrica armature che era in casa Provenzali (Baldinucci, 1681-1728, 1728, p. 364) e il suo pendant, ricordato da Sardini (Archivio di Stato di Lucca, Sardini 124, c. 542) come «una femmina con una spinetta e molti strumenti» (http://fe.fondazionezeri. unibo.it, nn. 55811, 55810). In casa Provenzali Baldinucci ricordava altri tre dipinti di Paolini, dispersi come i due posseduti da Francesco Mansi. Improntate a un ermetismo bizzarro e divertito sono le due Allegorie (Prato, coll. Cassa di risparmi e depositi), la Scena allegorica con banchetto (Lucca, Fondazione Carilucca) e il Concerto (Lucca, coll. Bertocchini Dinucci). Baldinucci (1681-1728, 1728) tramanda inoltre che Paolini dipingeva «a maraviglia certi capricci ed invenzioni di villani che suonano pifferi; ed altre azioni contadinesche, con figure ed arie di teste proprissiime» (p. 366) di cui è da ravvisare un rarissimo esempio nel citato Concerto campestre, allestito in toni sostenuti anche se scherzosi e allusivi, con il pastore che porge allo sguardo dello spettatore la bizzarra conformazione del proprio cranio calvo, identico a quello dell’inquietante Suonatore di liuto firmato Pietro P. (Puerto Rico, Museo de arte de Ponce).
La tesi che Paolini sia stato pittore di natura morta perché maestro di un generista di primissimo piano come Simone del Tintore (M. Gregori, Linee della natura morta fiorentina, in Il Seicento fiorentino. Pittura. I (catal.), Firenze 1986, p. 45) non trova risconto né in Baldinucci né in Sardini, la cui fonte, per il tramite di Antonio Franchi, fu probabilmente proprio Simone del Tintore (Nannelli, 1977, pp. 318 n. 3, 350 n. 50); i soli dipinti di genere in cui la sua mano è ben riconoscibile, il Giovane con vassoio e cacciagione (già coll. Mansuardi) e la Fanciulla con canestra di frutta (Firenze, coll. Caprotti; Giffi, 1987), contraddicono tale ipotesi in quanto Paolini limitò chiaramente il suo intervento alle parti di figura. Risultano ugualmente problematiche le attribuzioni, riscontrate su inventari ottocenteschi (P. Giusti Maccari, in Naturaliter ..., a cura di G. Bocchi, Casalmaggiore 1998, p. 481), di quadri con ‘villani’ quali il Venditore di caldarroste, il Pollaiolo e il Pastore che suona il flauto (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi), distanti dalla sua produzione certa sia per tenuta qualitativa sia per il tenore modesto della figurazione. Il problema di una vasta e discontinua produzione di quadri da stanza riferita a Paolini era già presente a Lanzi (1795-1796): «Che anzi vedendosi quadri paolineschi men belli, si ascrivon talora alla mediocrità di Cassiano [del Tintore] o di simile scolare; e talvolta alla vecchiezza del Paolini, quando dipingeva alla prima e facea bozze piuttosto che dipinture» (pp. 262 s.).
Morì a Lucca il 12 aprile 1681.
Secondo la testimonianza lasciata da Antonio Franchi nella propria autobiografia (seconda metà sec. XVII - ante 1709, in Nannelli, 1977, pp. 321-24, n. 6), Paolini avviò in casa un’«accademia del nudo» nel 1652, l’anno in cui egli vi fu ammesso; vi si disegnava «dai gessi, dal nudo, e copiando buone pitture» (pp. 334 s.). Possedeva una raccolta di monete e di gessi tratti da modelli antichi (Lucca, Biblioteca statale, ms. 1127, cc. 197-227; Archivio di Stato di Lucca, Sardini 124, V, 2, cc. 1-20) e una collezione di armi antiche e moderne legata alla sua passione di spadaccino animato da un «vero e sincero spirito di grande ostilità e fierezza» (Baldinucci, 1728, p. 366). Sono ricordati come suoi allievi Francesco, Cassiano e Simone del Tintore, Girolamo Scaglia (Lanzi, 1795-1796, pp. 267, 239), Giovanni Coli e Filippo Gherardi. È controversa la tramandata attribuzione a Paolini di una manoscritta Nota de’ quadri più cospicui che son nelle chiese delle città di Lucca (Rivoletti, 2009).
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio storico delle gallerie fiorentine, ms. 354: A. Franchi, Vita di me Antonio Franchi (seconda metà sec. XVII - ante 1709), in F. Nannelli, Antonio Franchi e la sua “vita” scritta da Francesco Saverio Baldinucci, in Paradigma, I (1977), pp. 317-369; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno (1681-1728), VI, Firenze 1728, pp. 364 ss.; Lucca, Biblioteca statale, ms. 1127: G.V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (seconda metà sec. XVIII), cc. 197-227; Archivio di Stato di Lucca, Sardini 124, V, 2: G. Sardini, Notizie di Pietro Paulini pittore (fine sec. XVIII - inizio sec. XIX), cc. 1-20; V. Marchiò, Il Forestiere informato delle cose di Lucca, Lucca 1721, pp. 282 s.; P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 323; L.A. Lanzi, Storia pittorica della Italia, I, Bassano 1795-1796, pp. 237 s., 262 s.; T. Trenta, Notizie di pittori, scultori e architetti lucchesi…, in Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, pp. 136-143; G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere…, VII, Milano 1822, pp. 194-201; Opere del marchese Antonio Mazzarosa, I, Lucca 1841, p. 169; G. Isarlo, Caravage et le caravagisme européen, II, Catalogue, Aix-en-Provence 1941, pp. 191 s.; A. Marabottini, Il “Naturalismo” di P. P., in Scritti di storia dell’arte in onore di Mario Salmi, III, Roma 1963, pp. 307-24; A. Ottani Cavina, Per un caravaggesco toscano: P. P. (1603 - 1681), in Arte antica e moderna, 1963, n. 21, pp. 19-35; Ead., Integrazioni al catalogo del P., ibid., 1965, n. 30, pp. 181-187; I. Belli Barsali, Guida di Lucca, Lucca 1970, p. 181; E. Borea, Considerazioni sulla mostra “Caravaggio e i suoi seguaci” a Cleveland, in Bollettino d’arte, s. 5, LVII (1972), p. 161; B. Nicolson, Caravaggism in Europe (1979), a cura di L. Vertova, I, Torino 1990, pp. 153-155; A. Brejon De Lavergnée, in Nouvelles acquisitions... (1980-1982), Paris 1983, p. 95; E. Giffi, Per il tempo romano di P. P. e gli inizi di Angelo Caroselli, in Prospettiva, 1986, n. 46, pp. 22-30; P. Giusti Maccari, P. P. pittore lucchese 1603-1681, Lucca 1987; R. Contini, P. P., in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 836: M. Dell’Omo, in L.A. Cotta, Museo novarese, Torino 1994, p. 106 n. 3; P. Giusti Maccari, in La pittura a Lucca nel primo Seicento (catal.), Lucca 1994, pp. 225-237; E. Struhal, Pittura e poesia a Lucca nel Seicento…, in Lucca città d’arte e i suoi archivi, a cura di M. Seidel - R. Silva, Venezia 2001, pp. 389-404; P. Giusti Maccari, in Caravaggio e l’Europa (catal.), Milano 2005, p. 501; La schola del Caravaggio. Dipinti della collezione Koelliker (catal.), a cura di G. Papi, Milano 2006, pp. 160-64; P. Giusti Maccari, in Viaggio nell’arte a Lucca (catal.), a cura di M.T. Filieri, Lucca 2008, pp. 29 s.; D. Rivoletti, in Descrivere Lucca, a cura di E. Pellegrini, Pisa 2009, pp. 198-203; P. Giusti Maccari, “Lucca pittrice nelle sue chiese”: dalla sua scrittura al presente, ibid., pp. 328-452; Alla ricerca di “Ghiongrat”, a cura di R. Vodret, Roma 2011, p. 474; M. Rossetti, Strumenti musicali…, in La musica al tempo di Caravaggio. Atti del Convegno, Milano... 2010, a cura di S. Macioce - E. De Pascale, Roma 2012, pp. 204 s.