PAOLETTI, Pietro
– Nacque a Belluno il 24 settembre 1801 da Luigi, sarto, e da Vittoria Catellani. In seconde nozze il padre ebbe altri due figli dei quali, Giuseppe (1813-1872), divenne pittore.
Fu indirizzato alla carriera artistica grazie all’interessamento del conte Giuseppe Agosti. Nel 1819 si recò a Padova al seguito del bellunese Giovanni Demin, pittore neoclassico, alla cui scuola rimase per circa otto anni. Alla fine di dicembre del 1819, s’iscrisse, ma frequentò solo per un anno, all’Accademia di Venezia, guidata dal conte Leopoldo Cicognara. Ai primi di aprile del 1826 ricevette la prima commissione importante: fu da parte del nobile Giovanni Antonio de Manzoni che lo chiamò per decorare con scene tratte dall’Orlando furioso (Il ratto di Doralice e Duello di Ruggero e Rodomonte) la sala da pranzo estiva al primo piano della sua villa Crotta, ad Agordo, un lavoro che vide impegnato anche il fratello Giuseppe.
Nel 1827 giunse a Roma e, con la raccomandazione di Cicognara, fu introdotto presso il cardinale Placido Zurla, di famiglia veneta, che divenne suo mecenate. L’attività romana ebbe inizio con gli affreschi della facciata di palazzo Lucernari (perduti) e con quelli nella cappella di S. Antonio nella chiesa di S. Isidoro (S. Antonio che resuscita un morto e S. Antonio che vince la durezza di Ezzelino e delle sue schiere).
Inseritosi nel cenacolo di Horace Vernet, direttore dell’Accademia di Francia, conobbe Francesco Coghetti, Francesco Podesti e Giovanni Battista Caretti condividendone la polemica contro Jean-Auguste Dominique Ingres, nuovo direttore dell’Accademia dopo Vernet, che lo era stato fino al 1834. A Roma accolse anche Ippolito Caffi, cugino da parte materna, che era già stato suo ospite a Padova.
A partire dalla fine del terzo decennio, grazie al credito in continua ascesa, Paoletti ricevette numerose commissioni in ogni parte d’Italia, compresa la sua terra d’origine.
A Montecassino, nel 1828, iniziò a eseguire gli affreschi nella cupola della chiesa del cenobio con La morte di S. Benedetto e, nei pennacchi, le Virtù, andati distrutti durante i bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale. Negli stessi anni, a Rieti, lavorò nella cappella del Ss. Sacramento all’interno della cattedrale (affreschi con Sei festività della Vergine) e in alcune dimore private (palazzi Vincenti e Crispolti) tra le quali, in particolare, il palazzo della famiglia Ricci; per quest’ultima decorazione trasse ispirazione da una serie di temi (S. Benedetto, l’Italiade, la Georgica dei fiori, gli Idilli, le Conchiglie) desunti dai poemi di Angelo Maria Ricci (1776-1850), proprietario del palazzo e illustre letterato, che divenne suo amico e protettore. In tali opere la sua formazione neoclassica cominciò a stemperarsi verso esiti di maggior naturalezza filtrati attraverso Domenichino a sua volta memore della lezione di Raffaello. A Rieti conobbe Beatrice Quadri, che sposò nel 1829; dall’unione non nacquero figli.
Nel 1829, a Padova, eseguì un olio su tela, Laura che esce dal bagno, 1829 (Padova, Museo civico) per l’abate Antonio Meneghelli. Tornato a Montecassino, continuò a lavorare, fino al 1832, ai dipinti nella chiesa dell’abbazia.
Data cruciale per Paoletti fu il 1831, anno dell’elezione al soglio pontificio del frate bellunese Mauro Cappellari della Colomba (Gregorio XVI). In tale occasione fu incaricato dal Municipio di Belluno di realizzare un quadro che raffigurasse il Santo Padre nell’atto di ricevere la Deputazione della sua patria (Belluno, Seminario Gregoriano). Dell’opera, snaturata dal suo progetto originario, fu costretto a fare tre versioni perché fosse accettata dal papa e il dipinto giunse a Belluno soltanto nel 1835. Su commissione del cardinale Zurla realizzò, sempre in quegli anni, otto disegni a penna e a inchiostro contenuti in un volume offerto dall’Università degli Israeliti di Roma a Gregorio XVI e dallo stesso pontefice donato alla Biblioteca del Seminario di Belluno, dove è tuttora conservato. Si tratta di sette scene tratte dall’Antico Testamento e di un ritratto del papa stesso.
Tra il 1835 e il 1842 fu impegnato a Roma nella decorazione del casino Nobile della villa Torlonia sulla Nomentana, commissionatagli dal duca Alessandro. Al piano terra eseguì affreschi nel bagno, nella biblioteca, nella camera di Psiche, nelle camere dei Poeti e degli Artisti italiani, nel gabinetto Pompeiano; al piano nobile nella camera Gotica e nella camera da letto.
Tra i committenti privati, si ricorda il duca Alexander Hamilton, conosciuto a Napoli, per il quale – comeè noto dalla corrispondenza con A.M. Ricci – eseguì quattro disegni di soggetto biblico tratti dalla Storia di Ruth e un quadro ad olio ispirato allo stesso tema destinato alla residenza scozzese del committente (opere tuttora irreperibili).
Nel 1837 fu chiamato in Vaticano per affrescare la cappella di S. Pio V, per la quale dipinse quattro tondi con i Dottori della Chiesa d’Occidente (S. Gregorio Magno, S. Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio) al posto di quelli già affrescati da Demin e poi deterioratisi. Sempre nel 1837 riprese a lavorare per de Manzoni, che gli commissionò una serie di affreschi raffiguranti episodi tratti dalle Storie di Esopo in alcune delle stanze al piano terra (ala sud ovest) della sua villa ai Patt di Sedico.
In tali lavori, caratterizzati da un uso del colore più fluido rispetto alle opere precedenti, Paoletti in qualche modo si riuniva idealmente al suo maestro Demin che nello stesso edificio, nel 1836, aveva dipinto sempre al piano terra (ala sud est) l’affresco con La lotta delle Spartane.
Presente a Milano nei primi anni Quaranta, fu influenzato dalla visione delle opere di Andrea Appiani e di Francesco Hayez da cui derivò quella vena romantica che avrebbe informato alcune sue composizioni quali La morte dei primogeniti dell’Egitto (Milano, Pinacoteca di Brera) commissionatagli nel 1838 dal marchese Filippo Villani ed esposta a Brera nel 1840. In quell’occasione, nell’Album dell’Esposizione braidense fu riprodotta un’incisione del quadro accompagnata da una poesia dell’amico Ricci. Due anni dopo espose, sempre a Brera, L’inondazione del Po nel 1839 di cui si conserva solo una copia autografa nel Museo civico di Treviso (olio su tela, 1844-45), dove all’attualità del tema non corrisponde però, in pieno, un’innovazione nello stile che appare ancora legato alle istanze classiciste. Nelo stesso Museo di Treviso si conservano altri due oli su tela di Paoletti, il Ciociaro del 1835 e La Maddalena (ante 1847) donati dal conte Paolo Spineda nel 1881e un cospicuo gruppo di disegni d’ispirazione storica (Legato Giacomelli).
Nel 1842 realizzò a fresco, a fianco di Demin e di Caffi, otto quadri (rovinati da devastanti ridipinture) per la saletta Pompeiana del caffè Pedrocchi di Padova rappresentanti Le gare dei giochi ginnici e, nella volta, La premiazione.
Dopo tali lavori, sempre a Padova, su commissione del conte Andrea Cittadella Vigodarzere realizzò un affresco raffigurante Prometeo nel soffitto di uno dei saloni del suo palazzo padovano. Su indicazioni dell’architetto Giuseppe Jappelli, intervenne ancora a Padova nel teatro Verdi (oggi teatro Nuovo) dove eseguì un affresco, poi andato distrutto, raffigurante la La danza delle Ore.
Sul finire del 1843 dipinse la pala a fresco, di stampo neorinascimentale, con L’Assunta e i ss. Carlo e Francesco nella cappella di villa Trissino a Sandrigo (Vicenza); a Vicenza, per il conte Ercole Thiene, decorò, nello stesso anno, anche palazzo Vecchia (soffitto del salone al secondo piano) con episodi mitologici (Gli dei dell’Olimpo inviano le Arti sulla terra).
Nell’ultimo scorcio della vita, fino al settembre del 1846, eseguì affreschi nella chiesa di S. Maria Formosa a Venezia decorando due mezzelunette con Il Serpente di bronzo e La deposizione dalla Croce, distrutte entrambe da una bomba austriaca nel 1916.
Fu anche apprezzato ritrattista; si ricordano, in particolare, le tele con i ritratti di G. Sperti, di G. Zuppani (1843 circa) e di A. Doglioni (1844 circa), conservate nel Museo civico di Belluno e quello di Gregorio XVI (1840) realizzato ad affresco nella sala Magna del Municipio della stessa città.
Altri ritratti, perduti, sono attestati dalla traduzione in litografia: si ricordano il ritratto di Angelo Maria Ricci (Messina, 1992; Apolloni, 1996) e di Giuseppe Jappelli (1842; Milano, Biblioteca Braidense, Fondo stampe). Di una eventuale attività incisoria di Paoletti non si hanno notizie, certo è che dalle sue opere furono tratte numerose stampe e litografie.
Morì a Belluno il 23 ottobre 1847 ospite nella casa dei conti Miari dove lasciò incompiuto il ritratto del conte Alessandro (perduto).
Apprezzato dalla critica dell’epoca a partire da Pietro Selvatico, venne elogiato più nell’ambiente romano (si rimanda alle molteplici recensioni sul giornale Il Tiberino) che in quello veneto, dove gli si rimproverava lo scarso senso del colore e la scarsa aderenza al gusto romantico (Zanotto, 1837; Il Gondoliere, 26 agosto 1840, n. 35). Nel secolo successivo fu lo studio di Cesare Verani (1973) a interrompere il silenzio su di lui, seguito da Flavio Vizzutti (1985-1986) e da Fernando Mazzocca (1989); quest’ultimo, in particolare, delineandone la figura critica lo vide quale accorto interprete di quel «riscatto figurativo della provincia» (p. 64) in cui il mecenatismo della borghesia arricchita, che riceveva le patenti di nobiltà ora dall’imperatore Francesco I d’Austria (i Manzoni) ora da Napoleone stesso (i Treves), consentiva ancora una vivace attività culturale. Notevoli, in particolare, sono considerati gli affreschi nella villa Crotta de Manzoni, «tra le più belle creazioni dell’Ottocento veneto» (M. Lucco, 1989, cit. in Dal Mas, 1999, p. 89).
Fonti e Bibl.: Belluno, Biblioteca civica, Mss., 741: Lettere di Pietro Paoletti Pittore Bellunese ad Antonio Tessari dal 1821 al 1846; Rieti, Biblioteca comunale Paroniana, Fondo Ricci, Carteggi, F.2.17/e: Per nozze - vignetta del Cav. Paoletti, F.2.17/g: L'equilibrio d'amore. Quadretto del Cav. Paoletti, F.2.13/30: Ritratto, F.2.13/31: Ritratto.
F. Zanotto, Storia della pittura veneziana, Venezia 1837, p. 424; Album d'Esposizione di belle arti, Milano ed altre città, in Strenna Canadelli, 1837-1851, XIII (1851); P. Selvatico, Arte e artisti, Padova 1863, passim; C. Verani, Sette dipinti di P. P. tratti dagli affreschi del Giudizio di Lorenzo e Bartolomeo Torresani, in Rieti. Rivista bimestrale di studi e documentazione, 1973, n. 1, pp. 3-36; F. d’Arcais - F. Zava Boccazzi - G. Pavanello, Gli affreschi nelle ville venete dal Seicento all’Ottocento, Venezia 1978, pp. 108-111, 124, 227, 237 s.; F. Vizzutti, P. P. pittore bellunese dell’Ottocento, in Archivio storico di Belluno Feltre e Cadore, LXVI (1985), 253, pp. 145-153; ibid., LVII (1986), 254-255, pp. 24-30, 68-75; Id., Breve storia della pittura bellunese dal secolo XV al XIX secolo, Belluno 1986, pp. 45-47, 64; F. Mazzocca, in Il Veneto e l’Austria. Vita e cultura artistica nelle città venete 1814-1866 (catal., Verona), a cura di S. Marinelli et al., Milano 1989, pp. 56-67, 161 s., 188-190; G. Dal Mas, P. P. (1801-1847), Belluno 1999 (con bibliografia); Id., Giovanni de Min (1786-1859). Il grande frescante dell’Ottocento, Belluno 2009, passim.