PANCRAZI, Pietro
Critico letterario, nato a Cortona il 19 febbraio 1893. Ha fatto gli studî classici, e seguito i corsi di legge, a Roma, a Venezia, a Padova. Ufficiale di fanteria durante la guerra mondiale; ferito. Cominciò a scrivere nel 1913, nell'Adriatico e nella Gazzetta di Venezia; continuò nel Resto del Carlino, nel Secolo e nel Corriere della sera, del quale è tuttora assiduo collaboratore. Dal 1929 al 1933 fu segretario di redazione della rivista Pègaso diretta da U. Ojetti. Il meglio dei suoi scritti critici, dedicati per la massima parte alla letteratura italiana contemporanea, è raccolto nei volumi: Ragguagli di Parnaso (Firenze 1920); Venti uomini, un satiro e un burattino (ivi 1923); Scrittori italiani del Novecento (Bari 1934); Scrittori italiani dal Carducci al D'Annunzio (ivi 1937). Ha compilato un'antologia di Poeti d'oggi (in collaborazione con G. Papini, Firenze 1920; 2ª ed. accresciuta, ivi 1925), e una dei Toscani dell'Ottocento (ivi 1924); ha curato un'edizione critica dei Ricordi politici e civili del Guicciardini (ivi 1929). Ha scritto inoltre: Ca' Pesaro ed altro (Venezia 1913); L'Esopo moderno, favole (Firenze 1930 [Milano 1932]); Donne e buoi de' paesi tuoi, fogli di via (Firenze, 1934).
Succhi carducciani e crociani si mescolano proficuamente nel P., la cui sensibilità alacre e delicata è sorretta da una sicura preparazione umanistica, ma anche scaltrita da un'assidua esperienza delle letterature moderne e del decadentismo europeo. Buon lettore di poesia, più che critico e storico in senso stretto di essa, egli non tanto mira a ricostruire, dell'artista, il mondo estetico e morale, né a disegnarne lo svolgimento nel contemporaneo moto della cultura, quanto a coglierne con immediatezza certi aspetti, certe movenze stilistiche, il gusto, gli umori, e quindi a suggerirne o abbozzarne la figura: senza peraltro cedere ai pericoli dell'estetismo o dell'impressionismo e frammentismo alla Serra (nel cui alone si è tuttavia formato), ché, come quel suo procedere conversevole, evasivo, sobriamente immaginoso, non esclude una discriminazione, spesso severa, della poesia dalla non poesia, così questa discriminazione non prescinde a sua volta da una visione, sia pure scarsamente prospettica, dell'insieme. Critica che ha per ideale misura l'articolo di giornale nel cui ambito appunto rinnova, contaminandoli con quelli della critica estetica, i modi di certo bozzettismo critico dell'Ottocento (per es., del Panzacchi), e che alla finezza e felicità dello stile (venutesi via via accrescendo, sino a rasentare talvolta il lezioso) deve non poco del proprio pregio. E le qualità di codesta critica: senso della misura, fastidio delle cose difficili, amore dello schietto e del plastico, garbata ironia, parola toscanamente rilevata, si ritrovano anche, in più aperta funzione lirica, nelle "favole moderne" e nelle " prose di viaggio" del P.: fra le più belle, queste, che l'odierna letteratura italiana conti in tale genere.
Bibl.: U. Ojetti, in Corr. d. sera, 15 febbraio 1930; G. De Robertis, in Pègaso, 1930, n. 2; A. Bocelli, in Nuova Antol., 16 giugno 1934; G. Marzot, in La Nuova Italia, luglio 1934, e in Scuola e cultura, 1937, nn. 5-6.