NARDINI, Pietro (Antonio Pasquale)
– Nacque a Livorno il 12 aprile 1722 da Giovanni Battista e da Maria Teresa Borrani.
Il padre, fabbricante di ghiaccio, era originario di Fibbiana, frazione di Montelupo Fiorentino. Non si conosce l’anno esatto in cui la famiglia si stabilì a Livorno, forse nel periodo 1719-22 (Marri, 1996, p. 2).
Iniziò lo studio del violino da giovanissimo: è probabile che nella città natale ebbe modo di esibirsi nella cappella musicale della Collegiata, diretta tra il 1722 e il 1752 da Filippo Maria Toci, e non è da escludere che i primi fondamenti di violino e composizione gli siano stati impartiti da didatti attivi a Livorno, come i violinisti Antonio Del Bravo, Francesco Galeotti e Francesco Puccini o l’organista di S. Giovanni Battista, Leonardo Cini (ibid., p. 4). Probabilmente nel 1734 partì per Padova per formarsi alla scuola di Giuseppe Tartini, di cui fu poi allievo prediletto. Si hanno poche notizie circa l’effettiva durata di tale apprendistato, anche se i viaggi a Padova si ripeterono con frequenza, almeno fino al 1740 (Salvetti, 1986, p. 326). In quest’epoca la sua presenza è attestata più volte nella festa di S. Croce a Lucca: dapprima il 13-14 settembre 1735, poi nel 1736 e dal 1739 al 1744, sia come violinista di concertino, sia come capo degli strumenti (Marri, 1996, p. 4). Scarsa documentazione rimane per gli anni successivi. A Livorno, tra il 1744 e il 1746 ebbe per allievo Filippo Manfredi. Al 1760 risale un viaggio a Vienna, dove partecipò da violinista ai festeggiamenti nuziali per l’arciduca Giuseppe e Isabella di Borbone: partì da Firenze il 18 agosto, facendo tappa a Parma; nel viaggio di ritorno, nel maggio 1761, fece visita a Tartini. Nel 1762 raggiunse la corte ducale del Württemberg a Stoccarda; la data della partenza si ricava da una lettera di Filippo Maria Gherardeschi a padre Giambattista Martini, datata Livorno, 20 giugno 1762: vi si fa menzione della presenza in città del «Sig. Niccolò Iommelli [...] che è venuto a prendere il Nardini, per condurlo alla sua corte; sicché veniamo a perdere il miglior soggetto che abbia la musica in Livorno» (ibid., p. 4). Il soggiorno a Stoccarda, dove suonò nell’orchestra di corte diretta da Jommelli, durò dall’ottobre 1762 al marzo 1765 (Dellaborra, 2001, p. 638). Risale a questo periodo l’incontro con Leopold Mozart, il quale rimase affascinato dalla sua tecnica violinistica. Dopo un breve soggiorno alla corte di Brunswick, e probabili altri viaggi a Vienna e Dresda, nel dicembre 1767 ritornò a Livorno; la sua presenza come violinista è documentata in un concerto in S. Francesco (luglio 1768) e in casa Bertellet (31 luglio 1768). Negli anni 1765-67 la collaborazione con Filippo Manfredi (violino), Giuseppe Maria Cambini (viola) e Luigi Boccherini (violoncello) condusse alla formazione del primo quartetto d’archi professionistico, il Quartetto toscano, che si esibì in numerose occasioni alla festa di S. Croce in Lucca (Salvetti, 1986, p. 326). Da una lettera del 9 giugno 1769 di Tartini a padre Giambattista Martini si ricava che in quella data Nardini era a Padova (Petrobelli, 1964, pp. 258), ma non è documentato l’aneddoto secondo cui avrebbe assistito Tartini sul letto di morte.
Alla stessa epoca risalgono i contatti con la corte fiorentina: da metà 1769 è documentata la carica di primo violino e direttore della cappella di corte del granduca Leopoldo di Toscana (Dellaborra, 2003, p. 346 n. 2; in un documento non datato, ma probabilmente dei primi di luglio 1769, Nardini «supplica umilmente la benigna clemenza della Reale Altezza vostra a volersi degnare di conferirgli un posto nella sua capella e corte reale in qualità di professore di violino»). L’incarico, che mantenne per il resto della vita, venne ufficializzato con un atto del maggiordomo maggiore della corte, conte Francesco Orsini Rosenberg, il 14 luglio (Marri, 1996, p. 6).
Il suo compenso era tra i più alti tra quelli elargiti agli altri membri della cappella musicale fiorentina, privilegio che condivise con i soprani Giovanni Manzuoli e Tommaso Guarducci, ingaggiati nello stesso anno; facevano parte dell’orchestra di corte anche musicisti come Charles-Antoine Champion e il virtuoso di flauto Niccolò Dôthel, col quale Nardini si esibì in più occasioni a corte e in concerti promossi dalla nobiltà fiorentina. A tal proposito la Gazzetta Toscana riferisce di una «sontuosa accademia di suono e di canto» che si tenne il 24 agosto 1770 nel giardino del marchese Santini, precisando che nel corso della serata «si fecero distinguere [...] per il suono il Sig. Nardini, Dôthel e Domenichini». Attorno a metà febbraio 1770 partecipò a Livorno all’esecuzione di una cantata nuziale composta dal maestro di cappella della cattedrale, Orazio Mei. Prese parte in qualità di violinista a numerose riunioni, tra cui molte serate accademiche fiorentine: nel 1771, alla presenza dei granduchi, suonò per gli Accademici Ingegnosi; l’anno dopo si esibì di nuovo in tre ‘accademie’ patrocinate dal marchese Eugène de Ligneville.
Negli anni trascorsi a corte continuò a viaggiare, con spostamenti a Napoli e soprattutto a Roma, dov’è attestato in almeno tre occasioni. I primi due soggiorni romani avvennero negli anni 1775-78 e sono collegati alle celebrazioni per l’incoronazione in Arcadia di Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli): il 21 gennaio 1775 partecipò a un’‘accademia’ patrocinata dal principe Luigi Gonzaga, mecenate della poetessa; una seconda esibizione avvenne il 16 febbraio, durante la cerimonia ufficiale d’incoronazione. In quest’occasione Nardini viene indicato nei documenti col nome arcadico di Terpandro Lacedemone; lo stesso appellativo ricorre in un «Idillio» poetico firmato da Giuseppe Maria Pagnini e contenuto negli Atti della solenne coronazione fatta in Campidoglio della insigne poetessa D.na Maria Maddalena Morelli Fernandez … (1779, pp. 283, 288). L’affiliazione arcadica è confermata dalla presenza a una riunione accademica del 5 febbraio 1776. A metà maggio 1778 risale il terzo soggiorno romano: secondo una lettera di Luigi Antonio Sabbatini a padre Martini (Roma, 16 maggio 1778) prese parte a un’‘accademia’ in «casa Pittoni» (Marri, 1996, p. 13 n. 42). A Napoli si recò nel luglio 1780, esibendosi, alla presenza di Ferdinando III, a Posillipo due volte (prima del 22 e poi il 29). Di ritorno a Firenze, continuò a esibirsi in numerose circostanze legate a contesti accademici: il suo intervento è documentato nel 1781 al teatro di Corso dei Tintori, per l’Accademia degli Ingegnosi, e nel 1786 per gli Accademici Armonici. Frequente dopo il 1780 la sua presenza in serate patrocinate da Corilla Olimpica a Firenze: nel 1782 eseguì un concerto per l’ambasciatore di Francia a Napoli, conte Clermont d’Amboise nella casa fiorentina della poetessa, che l’anno dopo accompagnò al violino in un’esecuzione in onore delle nozze di Lorenzo Ginori con Francesca Lisci. Col passar degli anni le esibizioni concertistiche si fecero più rare. Nel 1792 il compenso della corte medicea fu ridotto da 2540 a 1400 lire annue; più tardi nello stesso anno, nonostante una lettera di supplica inviata a Ferdinando III di Lorena (successore di Leopoldo sul trono granducale), gli fu imposto il pensionamento con un compenso annuo di 1050 lire.
Tra i molti allievi, ebbe Gaetano Brunetti, Giuseppe Maria Cambini, Bartolomeo Campagnoli, Filippo Manfredi. Charles Burney nel Viaggio musicale in Italia (1771) cita anche i violinisti Thomas Linley jr e Joseph Agus.
Morì a Firenze il 7 maggio 1793.
Fu sepolto nel chiostro detto di S. Antonino nella basilica di S. Marco a Firenze; nel 1969 la salma fu traslata in un ossario del cimitero fiorentino di Trespiano. Nel testamento, redatto il 3 luglio 1786 e di cui, secondo un codicillo del 3 maggio 1789, fu esecutore l’allievo Cesare Marchionni, aveva nominato erede universale Tommaso Nardini «suo amatissimo cugino»; inoltre aveva lasciato al parente Giuliano Nardini alcuni oggetti preziosi, assieme ai violini, e a Corilla Olimpica un astuccio d’oro.
Difficile accertare un ordine cronologico nella produzione musicale di Nardini, della quale una parte è pervenuta manoscritta e l’altra pubblicata perlopiù a Londra e Amsterdam in edizioni non datate. Il catalogo annovera sonate per violino, concerti per violino, sonate a tre, duetti, 6 quartetti d’archi, 2 ouvertures, sonate per cembalo; e in più una cospicua (e fino a poco tempo fa dimenticata) produzione per flauto: 2 sonate, 2 concerti con orchestra, 9 sonate per due flauti e basso, 2 duetti, e 5 sonate per flauto, violino e basso. Si possono tuttavia accorpare le opere in tre distinti periodi: le 12 sonate per violino e i 4 concerti manoscritti, con le Six Solos for the violin with a bass op. 5 e i Sei Concerti [...] con violino principale op. 1, furono probabilmente composti attorno al 1760; le ouvertures, le sonate per cembalo e le VII Sonates [...] avec les Adagios brodés verso il 1765-66; posteriori al 1770 le composizioni per flauto, i Sei Quartetti e i restanti lavori violinistici (Dellaborra, 2001, p. 638).
Considerato il continuatore e il massimo erede del violinismo tartiniano, fu all’epoca assai ammirato per la tecnica dell’arco, lo stile cantabile e l’invenzione melodica, un suono uniforme ed espressivo, apprezzato soprattutto nel modo d’eseguire i movimenti lenti; lo testimonia un giudizio di Burney, che lo ascoltò nel settembre 1770 a Firenze: «Il suo suono è dolce e uniforme, non molto forte ma chiaro e preciso, molto espressivo nei movimenti lenti e simile in questo al suo grande maestro Tartini. Quanto all’esecuzione, tende ad appagare e piacere piuttosto che a sorprendere: insomma, penso che sia il violinista più perfetto che esista in Italia» (1771; Fubini, 1979, pp. 221 s.). Queste parole riecheggiano quelle di Leopold Mozart che, ascoltato Nardini a Ludwigsburg, rimase colpito dalla «bellezza, purezza e levigatezza del suono» e dal suo «gusto per il cantabile» (lettera a Lorenz Hagenauer, 11 luglio 1763; in Careri, 1996, p. 25). Nella stessa direzione va la testimonianza di Christian Friedrich Daniel Schubart, che nelle sue Ideen zu einer Ästethik der Tonkunst (stilate nel 1784-85) lo chiama «il violinista dell’amore» e soggiunge: «indescrivibile la tenerezza del suo modo di suonare; ogni virgola è una dichiarazione d’amore. […] Si son visti algidi principi e gelide nobildonne sciogliersi in lacrime al suono d’un suo Adagio. […] La sua cavata era grave e solenne; ma anziché estirpare le note con tutte le radici, alla maniera di Tartini, le baciava sfiorandole. Staccava tempi lentissimi, e ogni nota pareva una goccia di sangue sgorgata dall’animo più sensibile» (1806, pp. 61 s.). Nella gran parte delle sue musiche per violino Nardini esibisce un tasso contenuto di virtuosismo, a vantaggio d’una grande cantabilità e di un’abbondante invenzione melodica: un tratto, questo, rilevato già in una fonte settecentesca importante sulla sua vita e il suo stile, il Saggio sul gusto della musica col carattere de’ tre celebri sonatori di violino, i signori Nardini, Lolli, e Pugnani, scritto da Giovanni Battista Rangoni e pubblicato a Livorno nel 1790 (l’altra fonte importante è l’Elogio di Pietro Nardini scritto da Raimondo Leoni, 1793). In contrapposizione al «gusto illanguidito» delle sonate alla moda, Rangoni dice di quelle di Nardini: «lo stile è sostenuto, le idee son chiare, i motivi ben introdotti ed anche meglio trattati, le modulazioni sottomesse alle leggi più severe della composizione. Tutta la sua musica è legata all’arte dell’arco che egli possiede al supremo grado di perfezione; e colla magia di quest’arco egli cava de’ soni che non possono disegnarsi, né definirsi. Ecco perché le sue sonate più non producono il medesimo effetto, se non sono eseguite secondo il gusto della sua scuola» (pp. 39-41).
La fortuna critica di Nardini è stata fortemente condizionata dal legame stilistico con Tartini, di cui è stato talvolta considerato, a torto, un mero epigono, cosa che ha spesso nuociuto alla comprensione e valorizzazione della sua opera, osservata secondo categorie storico-estetiche che di volta in volta ne hanno evidenziato i tratti «antiquati» o, al contrario, «preclassici», senza inquadrarne correttamente la produzione nel repertorio violinistico coevo. Senz’altro l’apprendistato con Tartini ha lasciato tracce evidenti in alcune opere come le Sonate per violino e basso, i Fourteen new Italian Minuets for two violins and a bass (pubblicati a Londra nel 1750) e le Sonate per 2 violini edite nel 1765, in cui l’uso del basso continuo e l’articolazione in tre tempi (il primo lento e gli altri due veloci) lasciano trasparire il riferimento stilistico alle sonate di Tartini. Anche i Sei concerti per violino dell’op.1 ricalcano lo schema tartiniano: un lento introduttivo, un primo tempo rapido e cantabile e un finale in forma di rondò. Nondimeno la musica violinistica di Nardini – lo hanno sottolineato studi recenti – esibisce tratti peculiari che non sempre si lasciano ricondurre al modello tartiniano, nelle Sonate per violino e basso dell’op. 2 e nei Sei quartetti del 1782 chiaramente superato quanto alla natura dell’elaborazione tematica, alla scrittura violinistica, ai percorsi armonici e al trattamento del basso.
Sebbene meno numerose dei lavori per violino, le composizioni per flauto – rimaste tutte manoscritte salvo le Six Sonatas for two German flutes or two violins and a bass pubblicate a Londra da Bremner – mostrano tratti interessanti nella scrittura idiomatica per flauto e nella ricerca di una spiccata cantabilità negli Adagio. Questi elementi si ritrovano sia nei Trii per due flauti o due violini e basso, caratterizzati da una scrittura lineare indirizzata probabilmente agli amatori, sia nei ben più elaborati Duetti per due flauti che mostrano, invece, una maggior brillantezza e un virtuosismo assai esigente. Nell’insieme la produzione per flauto presenta tratti comuni con altri compositori attivi a Firenze, come i citati Champion e soprattutto Dôthel: ravvisiamo qui una vera e propria scuola flautistica fiorentina (Dellaborra, 2003, p. 362; e Delius, 1996, pp. 49-51).
Fonti e Bibl.:Livorno, Archivio comunale, Registri dei battesimi della Collegiata, 1722-1725, c. 19; Archivio di stato di Firenze, Imperiale e corte lorenese, n.3540; Ibid., Archivio mediceo lorenese, Filza 19 del maggiordomo maggiore, n. 10/11, 1769; Ibid., Affari del Dipartimento del maggiordomo maggiore della real corte dal luglio a tutto dicembre 1769; Ibid., Imperiale e regia corte, n.3552; Ibid., Archivio notarile, prot. 4, n. 11 (notaio Sebastiano Boni); Gazzetta Toscana, 11 luglio 1767, p. 118; 19 dicembre 1767, pp. 209 s.; 21 dicembre 1767, pp. 215 s.; 10 luglio 1768, p. 127; 22 luglio 1780, p.117; 8 maggio 1793, p. 75; C. Burney, The present state of music in France and Italy, London 1771 (trad. it. di E. Fubini, Viaggio musicale in Italia, Torino 1979, pp. 221 s.); G.B. Rangoni, Saggio sul gusto della musica col carattere de’ tre celebri sonatori di violino i signori N., Lolli, e Pugnani, Livorno 1790, pp. 39-41; R. Leoni, Elogio di P. N., Firenze 1793; C.F.D. Schubart, Ideen zu einer Ästhetik der Tonkunst, Wien 1806, pp. 61 s.; J. Sittard, Zur Geschichte der Musik und des Theaters am Württembergischen Hofe, II, Stuttgart 1891, pp. 55 s., 73; A. Bonaventura, Musicisti livornesi, Livorno 1930, pp. 5-7; C. Pfäfflin, P. N.: seine Werke und sein Leben. Ein Beitrag zur Erforschung vorklassischer Instrumentalmusik, Wolfenbüttel 1936; C. Sartori, P. N., violinista dell’amore, in Musicisti toscani, II, in Chigiana, XII (1955), pp. 60-63; Mozart. Briefe und Aufzeichnungen, a cura di O.E. Deutsch, I, Kassel 1962, pp. 74-78, 330-332, 337 s.; P. Petrobelli, P. N., in Enciclopedia della musica Ricordi, III, Milano 1964, pp. 257 s.; A. Colacresi, P. N. violinista compositore e didatta del XVII secolo, tesi di laurea, Università di Firenze, a.a. 1969-70; G. Salvetti, P. N., in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti. Le biografie, V, Torino 1986, p. 326; M. Graziadei, Niccolò Dôthel, virtuoso di flauto traversiere: la sua vita ed i suoi concerti per flauto ed orchestra, tesi di laurea, Università degli studi di Pisa, a.a. 1987-88, passim; M. Dellaborra, P. N., violinista e compositore del ’700, in Comune notizie, 1992, n. 4, pp. 39-50; R.L. Weaver - N.W. Weaver, A chronology of music in the Florentine theater, 1751-1800, Warren 1993, ad ind.; P. N., violinista e compositore. Atti del convegno … 1994, a cura di F. Marri, Livorno 1996; F. Marri, Questioni biografiche nardiniane, ibid., pp. 1-13; E. Careri, Preclassico o antiquato? Note sulla fortuna critica di P. N. (1722-1793), ibid., pp. 15-33; N. Delius, I duetti per flauto di N. e la «scuola flautistica» a Firenze, ibid., pp. 35-51; M.T. Dellaborra, in The new Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XVII, pp. 638 s.; Id., P. N.: l’opera per flauto. Un sorprendente itinerario nel repertorio del «violinista dell’amore», in Nuova Rivista musicale italiana, VII (2003), pp. 345-379; C. Siegert, N., P., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XII, Kassel 2004, coll. 912-914.