MONTI, Pietro
MONTI, Pietro. – Nacque il 1° febbraio 1794 a Brunate, nei pressi di Como, primo dei cinque figli di Antonio e di Domenica Pedraglio. La famiglia, di piccoli proprietari terrieri, godeva di una certa prosperità. Condotti gli studi ginnasiali e liceali a Como, passò nel locale Seminario diocesano, dove conseguì la laurea in teologia. Già dall’ottobre 1817 ricoprì, per un anno e mezzo, la cattedra di retorica nel collegio di Vimercate passando poi come supplente nel liceo ginnasio di Como. Nel novembre 1821 si trasferì a Milano, dove restò fino al 1824, avendo vinto il concorso per la cattedra provvisoria di filologia greca e letteratura latina presso il liceo di Porta Nuova.
Alla fine del 1824 ottenne l’incarico di istitutore di letteratura latina nel seminario di Como, che tenne fino al 1834, alternandolo, con gravi disagi, alle cure della parrocchia di Brunate, della quale era diventato dapprima vicecurato e poi, dal 1836, parroco.
Le incombenze ecclesiastiche, a cui, soprattutto nei primi anni, si dedicò con energia e attivismo (restaurando e ampliando la sede parrocchiale e riordinandone l’archivio e l’amministrazione), finirono ben presto per assorbirlo pienamente. A tal punto che, iniziando a considerare come un’opportunità la solitudine di Brunate (nella quale aveva agio di coltivare i suoi molteplici interessi), rifiutò dapprima la nomina in pianta stabile sulla sua vecchia cattedra nel liceo di Porta Nuova a Milano, poi quella a preside del liceo di Brescia.
Logorato dall’intensa pratica di attività diverse e sempre più sofferente per i dolori reumatici che si era procurato a causa delle disagevoli trasferte tra Como e Brunate nel decennio di insegnamento, trascorse gli ultimi tre anni di vita quasi del tutto immobilizzato e dovette riparare a Como, in casa del fratello Giovanni, dove morì la mattina del 7 giugno 1856.
Il primo, in ordine di tempo, degli interessi coltivati da Monti, quello per l’agronomia, è legato alle sue cure parrocchiali. Con l’intento di accrescere le magre rendite dei terreni della parrocchia e di migliorare l’arretrata economia agricola di Brunate, introdusse con dicreto successo piante esotiche (la madia sativa, la bamia americana, l’ossalide crenata, ecc.) e soprattutto coltivazioni nuove (particolari varietà di cetrioli, spinaci e cipolle). Come studioso, diede conto di tali iniziative in diversi articoli (raccolti nel volumetto postumo Scritti di agricoltura, a cura del nipote Antonio, Como 1863) e curò la pubblicazione dell’inedito trattatello Del governo delle api dell’abate Luigi Fontana (Milano 1847).
L’attenzione verso il proprio territorio è certo uno degli stimoli che lo spinsero alla realizzazione della sua opera più impegnativa e più nota, il Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como (ibid. 1845), anticipato l’anno precedente dalla pubblicazione di due estratti nel Politecnico di Carlo Cattaneo (VII [1844], pp. 44- 65 e 192-201, il primo dei quali poi ripreso come premessa del Vocabolario, pp. VXXVI). L’impresa, pur riallacciandosi al vocabolario milanese di Francesco Cherubini, si inseriva nella rinnovata corrente di interesse per lo studio dei dialetti, osservati in prospettiva comparativa con la lingua nazionale e soprattutto con l’obiettivo della ricostruzione dei sostrati e delle lingue di sostrato. In questo panorama (in cui operava tra gli altri Bernardino Biondelli), vanno inquadrate sia la ricca documentazione storica, sia le pletoriche, e spesso improbabili, ricostruzioni etimologiche con cui sono corredati i lemmi del vocabolario di Monti, con lo scopo dichiarato di recuperare reperti di quel substrato celtico considerato anche da lui come matrice di una pretesa antica lingua comune europea. Nonostante questi traballanti presupposti e pur tenendo conto delle incertezze e delle inadeguatezze della grafia adottata per la trascrizione dei termini dialettali («infedele anche alle sue stesse regole», Salvioni 1906), il Vocabolario ha ancora oggi interesse e utilità. Esso, infatti, è uno dei primi tentativi (Tagliavini, 1969, p. 12) di descrizione lessicografica della compagine dialettale di una vasta zona (peraltro delimitata non in base a considerazioni dialettologico- areali ma secondo i confini storici della diocesi comasca) e si segnala per la larghezza e lo scrupolo nella raccolta dei materiali lessicali, acquisiti, con tecniche che per molti versi anticipano quelle delle successive inchieste dialettologiche, direttamente da parlanti locali o mediante questionari sottoposti ai parroci dei centri più sperduti. Al Vocabolario Monti pensò di dare un’«appendice», il Saggio di vocabolario della Gallia Cisalpina e celtico, cui lavorò fino agli ultimi giorni della sua vita (fu pubblicato postumo dal fratello Maurizio, Milano 1856). Nel Saggio le premesse metodologiche del Vocabolario sono estremizzate e persino Biondelli definì «celtomania» la tendenza, ormai dominante nel lavoro linguistico di Monti, a ipotizzare, «raccozzando le più strane e forzate etimologie» (p. 296), l’origine celtica non solo di quasi tutti i vocaboli del dialetto di Como, ma in generale tutte le parlate dialettali della Gallia Cisalpina. Il volume è completato da una raccolta di note lessicali (la Proposta d’illustrazione di alcune voci della Divina Commedia, pp. 127- 132), risalenti perlopiù agli anni in cui Monti aveva collaborato (con circa 1500 voci) alla redazione del Vocabolario universale italiano Tramater (1829-1840).
Nel frattempo aveva iniziato un’intensa attività di traduttore, dapprima dal francese, poi, soprattutto, dallo spagnolo. Nel 1835, pubblicò a Como una fortunata raccolta di Saggi in verso e in prosa di letteratura spagnuola […] con aggiunta di poesie volgarizzate da altre lingue, in cui offriva una panoramica dell’intero arco della letteratura in lingua castigliana. Una certa preferenza, oltre che ai romanzi, era accordata ai testi teatrali esaltati (sulla scorta di August Wilhelm Schlegel) come la forma espressiva di «più diretta e […] più grande efficacia sulla nazione», quella in cui «come in proprio campo si spiegano le più forti passioni» (Saggi, p. 4). E a tale concezione egli rimase sempre fedele nelle sue versioni: quattro volumi (Milano 1838-55), ristampati con aggiunte e con il titolo complessivo di Teatro scelto di Pietro Calderόn della Barca con opere teatrali di altri illustri poeti castigliani (ibid. 1855).
Grande fortuna ebbero anche le traduzioni dalla poesia romanceril: il Romancero del Cid (ibid. 1838), versione in austeri endecasillabi sciolti, in un registro qua e là eccessivamente aulico ma preferito (a cominciare da Cattaneo) a quello della contemporanea versione di Giovanni Berchet (1837); e Romanze storiche e moresche (ibid. 1850).
Curò, infine, la revisione della Grammatica della lingua spagnuola di Francesco Marin (ibid. 1837; nuova ed., 1853), cui affiancò la raccolta didattica Pezzi scelti di celebri scrittori spagnuoli (ibid. 1853) con traduzione letterale a fronte e annotazioni grammaticali.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Monti è andato quasi completamente perduto: due lettere sono pubblicate nella monografia di I. Carmignani, P. M. e la letteratura spagnola, Pisa 1986, pp. 83-89; e uno dei carteggi è stato edito da R. Martinoni, Implicazioni dialettologiche preascoliane. Il carteggio tra Vincenzo d’Alberti e P. M. (1844-46), in Lombardia elvetica. Studi offerti a V. Gilardoni, Bellinzona 1987, pp. 49-88. Il nucleo più cospicuo della sua biblioteca, la sezione di ispanistica, fu donato dagli eredi alla Biblioteca civica di Como (il catalogo è in Carmignani, P. M., cit., pp. 92- 102). Per la biografia, v. le Notizie biografiche in appendice al Saggio di vocabolario della Gallia Cisalpina e celtico, cit., pp. 135-139; S. Pedraglio, Biografia di P. M., in Almanacco-Manuale della Provincia di Como, 1857, pp. 77-87; G. Brambilla, Commemorazione, in Il Politecnico, XIX (1863), pp. 122-128; Note biografiche in Carmignani, P. M., cit., pp. 13-18. Sull’opera linguistica di Monti, oltre alle recensioni del Vocabolario a opera di F. Cherubini (in Rivista europea, IX [1846], pp. 658- 672) e del Saggio da parte di C. Tenca (in Il Crepuscolo, 27 luglio 1856, pp. 484-487), B. Biondelli, in Atti dell’I.R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, I (1858), pp. 295-298; C. Salvioni, Saggiuoli bibliografici, Bellinzona 1900, pp. 15 s.; Id., Il dialetto di Poschiavo, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, s. 2, XXXIX (1906), p. 481; C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna 1969, pp. 11 s., 134; M. Cortelazzo, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, I, Problemi e metodi, Pisa 1969, p. 95; D. Santamaria, Orientamenti della linguistica italiana del primo Ottocento, in The History of linguistics in Italy, a cura di P. Ramat - H.-J. Niederehe - E.F.K. Koerner, Amsterdam 1986, pp. 201 s.; P. Benincà, Linguistica e dialettologia italiana, in Storia della linguistica, a cura di G.C. Lepschy, III, Bologna 1994, pp. 563, 577; G. Bignamini, La letteratura comasca da Volta all’Unità, in Storia di Como, V, 2, Como 2004, pp. 56 s. Sull’attività di ispanista: M. S[artorio], Romancero del Cid, in Rivista europea, I (1838), pp. 313-322; C. Cattaneo, Il Romancero del Cid, in Il Politecnico, I (1839), pp. 559-577; V. Cian, Italia e Spagna nel secolo XVIII: G.B. Conti, Torino 1896, p. 267; E. Mele, Las poesías latinas de Garcilaso y su permanencia in Italia, in Bulletin hispanique, XXVI (1924), 1, p. 42; A. Croce, Relazioni della letteratura italiana con la letteratura spagnuola, in Letterature comparate, a cura di A. Momigliano, Milano 1948, pp. 125 s., 132; A.M. Gallina, Traduzioni ottocentesche italiane del «Romancero», in Quaderni ibero-americani, 1962, n. 28, pp. 210-217; R. Reyes, P. M., hispanista italiano del siglo XIX, in Filología moderna, XV-XVI (1964), pp. 309-320; F. Rosselli, Nota sobre los «Saggi» de P. M., in Proemio, I (1970), pp. 439- 444; I. Carmignani, L’ispanofilia di P. M., in Id., P. M., cit., pp. 31-75; Á. Arce, P. M. i y su versión de la Egloga I de Garcilaso, in Encuentros Complutenses en torno a la traducción…1988, a cura di M. Raders – J. Conesa, II, Madrid 1990, pp. 291-295.