MONCADA, Pietro
– Nacque nella seconda metà del XIII secolo da Pietro (II), siniscalco di Catalogna e signore della baronia di Aitona, e da Elisenda de Pinós.
Suoi fratelli erano Ottone, erede della baronia paterna e dal 1313 maggiordomo del Regno di Valenza, Gastone, vescovo di Huesca (1324-28) e Gerona (1328-34), nonché cancelliere della Corona catalano-aragonese, e Guglielmo Raimondo (I), che si distinse in Sicilia quale fedele sostenitore del re di Sicilia Federico III d’Aragona; sue sorelle erano Elisenda, divenuta nel dicembre 1322 la quarta moglie del re d’Aragona Giacomo II, e Sibilla, che fu prioressa del convento trinitario di Vinganya.
Membro di una delle famiglie catalane di più antico lignaggio, il M. intraprese la carriera ecclesiastica: dal documento relativo alla sua elezione a vescovo di Siracusa, avvenuta il 10 genn. 1314, si apprende che egli era arcidiacono della Chiesa di Urgel, della quale il domenicano Guglielmo Moncada, probabilmente un fratello del padre Pietro, era stato vescovo dal 1295 al 1308.
L’elezione episcopale del M. fu alquanto controversa e giunse in una fase assai travagliata della vita del giovane Regno indipendente di Sicilia, nato nel gennaio 1296 con la promozione regia di Federico III, dal 1291 luogotenente e vicario generale nell’isola del fratello Giacomo II re d’Aragona, il quale aveva rinunciato alla Sicilia secondo i termini del trattato di Anagni del 1295 con il pontefice Bonifacio VIII. Dopo la morte dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo (agosto 1313) e la conseguente dissoluzione della coalizione ghibellina alla quale Federico III aveva preso parte con convinzione, il 6 genn. 1314 il re siciliano convocò a Eraclea o Terranova (oggi Gela) una assemblea generale dei nobili, dei prelati e dei rappresentanti delle universitates del Regno. Con tale iniziativa il re voleva giustificare la propria condotta politica e difendersi dall’accusa di avere violato gli accordi della pace di Caltabellotta, sottoscritta nel 1302 da parte siciliana e da parte angioina con l’avallo imprescindibile del pontefice Bonifacio VIII, che del «Regnum Siciliae» si considerava dominus feudale.
Il 10 genn. 1314, in coincidenza con la conclusione dei lavori parlamentari, una parte del capitolo della Chiesa di Siracusa, riunito anch’esso a Eraclea nella chiesa di S. Maria de Platea, decretò l’elezione episcopale del M., che ottenne il sostegno di cinque dei sette canonici votanti. Questi ultimi erano stati costretti a lasciare Siracusa dopo che gli altri membri del capitolo avevano eletto in cattedrale – quale successore del presule Filippo «Sanchii de Cisur» morto il 29 dic. 1313 – un uomo ritenuto indegno di guidare il governo spirituale e temporale della Chiesa siracusana: si trattava di Antonio Merenda, da identificare con ogni probabilità con l’omonimo tesoriere e canonico della Chiesa di Siracusa che sottoscrisse un documento capitolare del gennaio 1305. I canonici dissidenti chiesero pertanto ad Arnaldo de Rassaco, arcivescovo di Monreale e metropolita, di dichiarare nulla l’elezione di Merenda e di ratificare piuttosto quella celebrata a Eraclea secondo le regole canoniche.
Al termine dell’assemblea parlamentare il sovrano affidò al M., neoeletto vescovo di Siracusa, e al miles aretuseo Simone Salvaggio il compito di rendere noti alla Curia avignonese gli indirizzi politici stabiliti nel corso del parlamento di Eraclea, e inviò entrambi gli ambasciatori presso Giacomo II d’Aragona per discutere prima con lui il contenuto della lettera che dovevano consegnare al pontefice Clemente V da parte di Federico III.
È verosimile che l’elezione episcopale del M., avvenuta dunque nello stesso giorno in cui veniva redatto il documento finale del parlamento di Eraclea e in cui il vescovo neoeletto era designato per l’importante missione diplomatica ad Avignone, sia stata influenzata dalla volontà di Federico III di favorire l’esponente di una famiglia catalana che aveva messo da tempo solide basi in Sicilia e che si era dimostrata di sicura fedeltà alla Corona. Il fratello del M., Guglielmo Raimondo (I), infatti, era stato uno dei sostenitori della prima ora di Federico III e aveva combattuto al suo fianco nel 1299 nella battaglia navale di Capo d’Orlando contro la flotta di Giacomo II, all’epoca desideroso di dimostrare a Bonifacio VIII il proprio zelo circa il rispetto degli accordi di Anagni. La nomina del M. alla guida della diocesi siracusana rafforzava inoltre la posizione e il prestigio della famiglia nella Sicilia sudorientale, già notevoli per il ruolo egemonico esercitato da Guglielmo Raimondo (I) sull’importante centro di Lentini dopo il matrimonio con Luckina di Malta, erede dei vasti possedimenti in quell’area dell’antica famiglia dei Fimetta.
Durante il primo decennio del suo lungo episcopato (1314-36), il M. fu impegnato assiduamente nell’opera di amministrazione della diocesi siracusana. Nel 1317 fece riparare il tetto della cattedrale e ricevette dal pontefice Giovanni XXII un cospicuo stanziamento per le vetrate del duomo. Negli anni successivi istituì due prebende canonicali a Lentini e a Ragusa, fece trasferire in città le monache benedettine che abitavano un cenobio extra moenia ormai danneggiato dai terremoti e dalle incursioni nemiche. La posizione di prestigio conquistata rapidamente dal M. nell’ambito dell’episcopato siciliano è testimoniata dal provvedimento pontificio del 1318 con il quale Giovanni XXII incaricò il vescovo di Siracusa e gli arcivescovi di Palermo (Francesco di Antiochia) e Messina (Guidotto «de Habiate») di provvedere al recupero e alla restituzione all’Ordine dell’Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme dei beni che erano stati alienati illecitamente, nonché, in seguito, dal suo inserimento fra i giudici conservatori dell’Ordine carmelitano (26 apr. 1319), dell’Ordine degli ospedalieri (9 ott. 1319) e del cenobio basiliano del S. Salvatore di Messina (11 nov. 1319). Nel 1323, coadiuvato dai milites Niccolò Lancia e Pietro «de Mohac» e da Nicolosio Ventimiglia, curò su mandato regio la fortificazione e la difesa di Siracusa contro gli attacchi angioini, ripresi con vigore dopo che nel luglio 1320 Federico III ebbe violato la tregua siglata tre anni prima con i nemici.
Nel 1324, con il consenso di Giacomo II, il M. venne eletto dal capitolo di Lérida vescovo della diocesi catalana. Dopo complesse trattative diplomatiche, che interessarono anche le sedi vescovili aragonesi di Huesca e Tarazona, a Lérida si impose infine il candidato pontificio Raimondo da Avignone, mentre a Huesca fu destinato Gastone Moncada, fratello del M. e all’epoca arcidiacono di Barcellona e cappellano del pontefice Giovanni XXII.
Nel 1326 Gastone Moncada, insieme con Berengario di San Vincenzo, fu inviato da Giacomo II d’Aragona ad Avignone, in Sicilia e a Napoli nell’ambito dei negoziati di pace fra Giovanni XXII, Federico III e Roberto I d’Angiò. In tale contesto – secondo quanto si apprende da una lettera dell’ottobre 1326 indirizzata da Federico III al fratello re d’Aragona (Pirro, sub anno 1313) – i tre fratelli Moncada, Pietro, Gastone e Guglielmo Raimondo, discussero con il re siciliano l’ipotesi di un matrimonio tra la figlia di quest’ultimo, Isabella, e Ottone, loro fratello maggiore. Il progetto, però, non si realizzò.
Le notizie sugli ultimi anni di vita del M. rimandano al suo impegno per la cura temporale e spirituale della diocesi siracusana. Nel febbraio 1330, infatti, egli ottenne dal giustiziere della Val di Noto il riconoscimento dei diritti di censo sui terreni occupati abusivamente da numerosi enfiteuti della Chiesa siracusana.
Nel 1331, con il vescovo di Agrigento, il domenicano Filippo «Hombaldi», intraprese, mediante l’interrogazione di testimoni, la verifica dei miracoli attribuiti a Gerlando da Caltagirone, cavaliere dell’Ordine degli ospedalieri fiorito intorno alla metà del XIII secolo.
Istruì inoltre il processo di canonizzazione del nobile siracusano Federico Campisano, morto in fama di santità il 2 ag. 1335, ne autorizzò la sepoltura in cattedrale e guidò la processione che condusse in città il corpo del defunto dal ritiro extra moenia di S. Maria Maddalena, dove questi aveva condotto vita eremitica. L’indagine sulla vita e i miracoli di Campisano fu svolta dal M. con diligenza e celerità, e gli atti relativi, sottoscritti da testimoni sotto giuramento, furono inviati al pontefice. Secondo la tradizione, la nave che trasportava tale relazione avrebbe subito un naufragio, e la morte del M., sopraggiunta poco tempo più tardi, avrebbe definitivamente pregiudicato la canonizzazione di Campisano.
Il 29 marzo 1334 il M. presenziò a Catania alla redazione del testamento del re di Sicilia Federico III. Fu nominato in tale occasione, insieme con la regina Eleonora d’Angiò, il conte Francesco Ventimiglia, il miles e cancelliere Pietro di Antiochia e i nobili Raimondo Peralta e Blasco Alagona, maestro giustiziere del Regno, quale esecutore delle volontà testamentarie del sovrano.
Oltre a rappresentare il ramo siciliano della famiglia Moncada dopo la morte del fratello Guglielmo Raimondo, l’inclusione del M. nel gruppo dei più stretti familiari e collaboratori di Federico III si spiega anche con la volontà espressa dal sovrano di essere tumulato – in attesa della sepoltura definitiva a Barcellona nella chiesa di S. Francesco, dove erano sepolti anche la madre Costanza e il fratello Alfonso III d’Aragona – presso la cattedrale di Siracusa, alla quale destinava un lascito di 100 once d’oro per l’antica devozione che lo legava a Lucia, santa patrona della città.
Il M., che il 25 febbr. 1327 aveva ottenuto da Giovanni XXII la facultas testandi e il 28 sett. 1331 la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria in articulo mortis, morì sul finire del 1336: il 4 settembre secondo Pirro, il 4 novembre secondo Gaetani (Vitae).
Egli pertanto non poté assolvere alla funzione di esecutore delle ultime disposizioni del suo re: Federico III morì infatti il 25 giugno 1337 e il figlio ed erede Pietro II ne dispose la sepoltura presso la cattedrale di Catania.
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