MARONE, Pietro
– Nacque a Brescia, o nella vicina Manerbio, nel 1548 da una famiglia di origine iseana, proveniente da Marone, da cui il cognome.
Scarse sono le notizie biografiche sul M. che, con ogni probabilità, ricevette i primi rudimenti artistici dal padre Andrea (conosciuto anche come Andrea da Manerbio), pittore. Formatosi con gli Zambelli, Andrea era infatti titolare, insieme con il fratello fra’ Benedetto (al secolo Paolo) e poi con l’altro figlio Giovan Battista, di una fiorente bottega in Cittadella Vecchia. Benché il padre fosse seguace del Moretto (Alessandro Bonvicino), il M. fu maggiormente influenzato da Lattanzio Gambara e Francesco Ricchino, e riuscì ad armonizzare la pittura veneta con la tradizione bresciana. Già i suoi contemporanei lo consideravano «polito e leggiadro pittore de’ nostri tempi» (Rossi, 1620, p. 204), esponente di spicco del manierismo locale.
Improbabile sembrerebbe l’ipotesi, sostenuta dalla letteratura ottocentesca (Nicoli Cristiani), di un apprendistato presso Tiziano Vecellio o il Veronese (Paolo Caliari), sebbene nulla porti a escludere un suo giovanile soggiorno lagunare.
Anche la ricostruzione dell’inizio della sua carriera presenta non poche difficoltà e si affida inevitabilmente al riconoscimento stilistico-formale delle opere assegnategli. Baroncelli ha ipotizzato esordi vicentini basandosi sulla dubbia attribuzione del Martirio di s. Caterina nella chiesa di S. Rocco, oggi ricondotta a Ricchino. È possibile assegnare, invece, al M. alcune opere che testimoniano l’influenza del Moretto, mutuata attraverso la lezione degli allievi Luca Mombello e Ricchino: la Madonna con i ss. Faustino e Giovita (Sarezzo, municipio), forse la Madonna con i ss. Marco e Gregorio (Sovere, chiesa di S. Gregorio) e la Disputa con i dottori (Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo, dove però è attribuita a Ricchino). Tra le prime opere va infine segnalata a Manerbio la tela raffigurante la Circoncisione, dipinta per la chiesa del Gesù, ma oggi conservata nella parrocchiale. In essa tornano i toni quotidiani e i tipi somatici della pittura bresciana postmorettesca; mentre la figura del putto che regge il cero sembra preannunciare gli affreschi di palazzo Caprioli.
È solamente ipotizzabile la presenza del M. a cavallo degli anni Sessanta e Settanta nel cantiere pittorico di S. Cristo a Brescia, come garzone di fra’ Benedetto, lo zio gesuata, attivo nella chiesa e nel convento. Stando a questa congettura potrebbe essere sua l’Ultima Cena nel chiostro, affresco che incornicia la porta d’ingresso della sagrestia storica, e che sembra distanziarsi dal resto dei riquadri del ciclo riferito a Benedetto. La scena, ambientata in una sala a colonne e ad arcate aperte sull’esterno, è caratterizzata da un effetto di sotto in su che non permette di vedere gli oggetti sulla tavola, ma evidenzia il soffitto a cassettoni.
Il 2 febbr. 1575 il M. sposò Olimpia Barbisoni, da cui ebbe una figlia, Camilla; rimasto vedovo, nel gennaio del 1578 giunse a seconde nozze con Lucia Chionchini, donna sulla quale Rossi (1621, p. 213) spese giudizi non certo lusinghieri arrivando a dire al pittore in una lettera non datata: «Et mi raccomando con tutto l’animo, raccordandovi, che quella vostra mala femina, fù sempre una mala bestia: che dovete cercar liberarvi dalle sue avenenate arpie; perché le donne, come voglion farsi cattive, diventano pessime. Vivete felice».
Le prime opere documentate del M. sono da collocarsi tra il 1577 e il 1581 (Cremonesi, p. 57 n. 13), periodo in cui collaborò con Tommaso Bona alla decorazione per la distrutta cattedrale bresciana di S. Pietro de Dom: le quattro tele, due ovali e due rettangolari raffiguranti la Guarigione dello storpio, la Morte di Anania, la Visione di s. Pietro, la Caduta di Simon Mago, nate per il soffitto della chiesa furono concepite per essere viste dal basso. Oggi i dipinti sono divisi tra i depositi della Pinacoteca Tosio-Martinengo e il palazzo della Loggia di Brescia; non si ha notizia delle altre tre tele che completavano il complesso decorativo con le scene della Vocazione di s. Pietro, la Liberazione di s. Pietro dal carcere e la Trasfigurazione (Cremonesi, p. 49).
Del 1585 è la tela con l’Incontro di Abramo con Melchisedec in S. Lorenzo a Brescia; mentre vengono fatte risalire alla seconda metà del nono decennio le due pale d’altare conservate in una sala della canonica di Pontoglio, raffiguranti rispettivamente La Vergine col Bambino in trono tra i ss. Michele Arcangelo e Rocco, proveniente dalla chiesa di S. Michele, in cui nel 1570 era stato trasferito l’altare di S. Rocco poiché la chiesetta omonima cadeva in rovina, e La Vergine in trono tra i ss. Fermo e Giovanni Evangelista.
Entrambi realizzati a olio su tela, con un’ampia collaborazione degli allievi evidente in special modo nel primo caso, i due dipinti sono caratterizzati da una sapiente cornice prospettica e da splendidi tendaggi lumeggiati d’oro, mentre la resa dei personaggi rimanda alle tipologie morettesche, non senza denunciare qua e là una sintassi di puro classicismo raffaellesco.
Nel 1588, anno in cui il M. presentò una polizza d’estimo in cui si dichiarava figlio di Andrea residente in contrada S. Benedetto, in Cittadella Vecchia a Brescia, d’anni quaranta (Cremonesi, p. 47), risultano pagamenti per alcune pale d’altare, per questo facilmente databili, realizzate per le parrocchiali del circondario bresciano. Si tratta della Madonna con i ss. Rocco e Sebastiano di Rezzato, del Martirio dei ss. Protasio e Gervasio di Cologne (firmato), dell’Assunzione di Ghedi, opera che ha fatto ipotizzare un suo apprendistato a Verona dove avrebbe visto l’Assunta di Tiziano, dalla quale sarebbero stati ripresi due degli apostoli posti sulla destra, e dove avrebbe potuto seguire le impostazioni scenografiche della pittura di Paolo Farinati. Plausibile è, d’altra parte, un suo viaggio a Venezia, dove avrebbe potuto conoscere ancor meglio la pittura di Tiziano e le soluzioni prospettiche del Veronese, evidenti in tutti e tre i dipinti citati.
Nello stesso torno di anni va collocata anche la Cena in casa del fariseo (Bagolino, parrocchiale), opera caratterizzata da un certo gusto lombardo per la pittura di genere particolarmente evidente nei pannelli laterali raffiguranti figure di servitori e suppellettili.
Il M. dimostrò anche buone capacità ritrattistiche inserendo i volti dei committenti nella Madonna col Bambino e s. Francesco (Gussago, santuario della Stella) e nella Madonna della Rotonda (Brescia, duomo vecchio).
Ancora nel 1588 il M. tornò a collaborare con Bona, stavolta per gli affreschi della sala del Consiglio nel palazzo della Loggia di Brescia, oggi perduti, dove aveva raffigurato la Caduta di Simon Mago; mentre l’anno successivo realizzò la Madonna con i ss. Faustino, Giovita e Apollonio, per la chiesa di S. Carlo nella stessa città, in cui i toni maggiormente raccolti rimandano ancora al Moretto. Quest’ultima tela e la Madonna con i ss. Tirso ed Emiliano (Villa, parrocchiale) sono opere che si segnalano per una maggiore eleganza compositivo-cromatica e un sostanziale avvicinamento a soluzioni figurative palmesche. Allo stesso scorcio del nono decennio vanno riferite le due tele raffiguranti il Compianto sul Cristo morto, che tanto sembrano riprendere dalla Pietà michelangiolesca, soprattutto nella versione riveduta e corretta dell’incisione di Giulio Bonasone, per la parrocchiale di S. Giovanni Battista a Rezzato e per la chiesa dei cappuccini a Barbarano di Salò (Cremonesi, p. 54).
Al 1590 risale il progetto per l’Arco delle legazioni eretto per l’ingresso a Brescia del vescovo Giovanni Francesco Morosini, apparato effimero al quale il M. collaborò con Bona e Pier Maria Bagnatore ai disegni, alle pitture e agli stucchi, dimostrandosi conoscitore delle soluzioni architettoniche mantovane.
Nel 1591 affrescò alcuni archi del palazzo vescovile di Brescia, mentre con una serie di tele arricchì le chiese del territorio bresciano e bergamasco. È il caso dell’Ultima Cena di Bassano Bresciano (1593), cui si avvicinano quelle con il medesimo soggetto per le parrocchiali di Caionvico e di Lovere; dell’Incoronazione della Vergine per la parrocchiale di Borgo di Terzo (1594); della Madonna del Rosario e i ss. Fermo e Rustico di Polpenazze; della Crocifissione con i ss. Maria Maddalena e Francesco per la chiesa dei cappuccini di Sovere; dei dipinti per S. Maria del Corlo a Lonato e della Madonna del Rosario tra i ss. Filippo e Giacomo, nonché dei Quindici misteri e l’Eterno Padre per il duomo di Salò, dedicato alla Ss. Annunziata (1596).
In altri casi i dipinti vennero commissionati per le chiese bresciane: la Strage degli innocenti per S. Maria del Carmine, che segna un ulteriore avvicinamento all’arte romana; la Presentazione al tempio per S. Gaetano, poi spostata in S. Maria della Pace; l’Assunzione della Vergine per il coro di S. Maria dei Miracoli (1596) dal cromatismo cremonese e dall’impianto morettesco, dipinto particolarmente apprezzato tra i quattro raffiguranti «li quattro principali Misteri della Gloriosa Vergine Madre di Iddio» (Rossi, 1620), commissionati per l’occasione anche a Bona, Bagnatore e Grazio Cossali.
L’influenza della pittura romana sul M. è corroborata dall’invio da parte del biografo Ottavio Rossi di alcuni disegni di un giovane – di cui non cita il nome – riproducenti gli affreschi di Raffaello alla Farnesina. Tale notizia si evince dalla già citata lettera in cui, inoltre, Rossi consiglia al M. di recarsi a Roma per ammirare non solo Raffaello, ma anche i contemporanei Caravaggio, Annibale Carracci e Giuseppe Cesari (il Cavalier d’Arpino), segno forse di una committenza che voleva aggiornare il proprio gusto anche in base alle novità della pittura dell’Italia centrale (Rossi, 1621, pp. 212 s.).
Sempre negli anni Novanta, che possono essere considerati nella carriera del M. il momento della grande maniera monumentale, egli è attivo anche come frescante: nel 1591 affrescò la facciata di palazzo Caprioli a Brescia, nel 1593 lavorò alla decorazione, parzialmente ridipinta, di S. Agata a Brescia, dove nella cappella del Ss. Sacramento realizzò il Banchetto pasquale degli ebrei, e della Rotonda presso il santuario di Valverde a Rezzato; nel 1599 affrescò la galleria al primo piano del convento dell’abbazia di S. Niccolò a Rodengo, in cui recupera la lezione di Gambara e ripropone paesaggi di chiara ispirazione veronesiana in un’ampia scena allegorica e illusionistica.
Del 1601 sono gli affreschi con Storie di Cleopatra con complesse quadrature che decorano la volta del salone di villa Calini del Cedro a Calino, mentre dell’anno seguente è il ciclo, firmato ma in parte perduto, del coro della pieve o chiesa Vecchia di S. Maria Assunta di Palazzolo (oggi auditorium S. Fedele), con Storie della Vergine nella cupola, Sibille nei pennacchi e una teoria di Santi alle pareti, in cui i personaggi sono inseriti in una complessa struttura architettonica e ornamentale, una soluzione che non rimarrà solitaria nel successivo sviluppo del quadraturismo bresciano.
Pur se la tradizione locale lo dice esclusivamente maestro del pittore Francesco Giugno, l’ampia attività del M. lascia supporre una bottega piuttosto nutrita.
Il M. morì nel 1603, data che si evince dalle ricerche (Pansera) che hanno permesso di fugare i dubbi su una leggendaria morte avvenuta nel 1625 per avvelenamento da parte della moglie Lucia.
Fonti e Bibl.: O. Rossi, Elogi historici di Bresciani illustri…, Brescia 1620, pp. 204 s.; Id., Lettere…, a cura di B. Fontana, Brescia 1621, pp. 211-213; B. Zamboni, Memorie intorno alle pubbliche fabbriche più insigni della città di Brescia, Brescia 1778, p. 91 n. 20; F. Nicoli Cristiani, Della vita e delle pitture di Lattanzio Gambara. Memorie storiche… intorno a’ più celebri ed eccellenti pittori bresciani, Brescia 1807, p. 169; S. Fenaroli, Diz. degli artisti bresciani, Bologna 1877, pp. 175-177, 296 s.; C. Boselli - G. Panazza, Pitture in Brescia dal Duecento all’Ottocento, Brescia 1946, pp. 144-148; V. Baroncelli, Due tele cinquecentesche bresciane in S. Rocco a Vicenza, in Commentari dell’Ateneo di Brescia, 1946, pp. 141-148; P.V. Begni Redona, La pittura manierista, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 574-579; L. Anelli - E.M. Guzzo, Le chiese di Pontoglio, Brescia 1982, pp. 43-45; Le chiese di Manerbio, Brescia 1983, pp. 124-126; M. Olivari, Presenze venete e bresciane, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, IV, 2, Bergamo 1984, pp. 182-184, 186; M. Gregori, Pittura del Cinquecento a Brescia, Milano 1986, pp. 211-214, 253 s.; A. Pansera, Botteghe affollate d’artisti nella piazzetta di S. Benedetto, in AB (Atlante bresciano), 1988, n. 17, pp. 85-88; La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, ad ind.; II, pp. 803 s.; M. Cremonesi, Qualche appunto per P. M., in Civiltà bresciana, IX (2000), 1, pp. 46-65; Brescia nell’età della maniera (catal., Brescia), a cura di E. Lucchesi - R. Stradiotti, Cinisello Balsamo 2007, ad indicem.