CAVINA, Pietro Maria
Nacque a Faenza con ogni probabilità nel 1637 dal notaio Sigismondo e da Elisabetta Donelli.
Esercitò la stessa professione del padre, che intraprese giovanissimo: i primi atti da lui rogati, conservati nell'Archivio notarile di Faenza, risalgono al 1657. Ricoprì cariche nell'amministrazione della sua città, la più importante delle quali fu. quella, attribuitagli nel 1677, di "segretario del pubblico". In questa veste dovette interessarsi degli approvvigionamenti od ebbe in proposito contatti col cardinal legato Lorenzo Raggi, col quale collaborò a più riprese anche per risolvere spinose controversie sull'uso delle acque della regione. Pure il successivo legato, il cardinal Domenico Maria Corsi, si servì del C., che nel 1689 ispezionò su suo incarico alcuni porti della Romagna. Lasua vita familiare fu gravata dal peso di una numerosa prole natagli da due matrimoni (la prima moglie morì nel 1673). La data di morte non dovrebbe essere di molto posteriore al 1690, anno in cui cessa la sua corrispondenza con Antonio Magliabechi (l'ultima lettera è del 13 ottobre) e viene a mancare la documentazione della sua attività notarile.
Il C. è noto come studioso di astronomia e storia locale, discipline che riuscì a conciliare grazie a un eclettico dilettantismo, rivelatosi in realtà molto pericoloso per la correttezza scientifica delle sue ricerche. Esordì con due operette di carattere cronologico, Cycli Paschalis Gregoriani assertio adversus anonymum quendam (Faventiae 1666) e De legitimo tempore Paschatis Hebraeorum et Christianorum (Venetiis 1667). Seguì un lavoro di maggior impegno, frutto di studi della volta celeste, le Congetture fisico-astronomiche della natura dell'universo sopra alcune osservationi celesti nelle fisse, havute in Faenza (Faenza 1669). In quest'opera il C. si rifiuta fermamente di ammettere i moti di rotazione e rivoluzione della Terra, attribuisce le variazioni della posizione delle stelle fisse all'azione del Sole dal quale non disterebbero molto, e ritiene infine che le stelle fisse, poste sulla superficie concava del loro cielo, siano composte di materia corruttibile dalla cui instabilità dipenderebbe la loro mutevole luminosità. Nel quadro generale invecchiato e inattendibile delle teorie del C. non manca tuttavia un coraggioso e deciso abbandono della teoria aristotelica dell'eternità e incorruttibilità dei cieli.
Il C. s'interessò successivamente alla meteora apparsa sul cielo d'Europa il 31 marzo 1676, imbarcandosi in una feroce polemica con due studiosi dell'università di Bologna, Geminiano Montanari e Domenico Guglielmini. Il C. descrisse il fenomeno nell'opuscolo Fax seu lampas volans, magnum meteoron visum post occasum solis diei 31 martii 1676. Epistolica dissertatio (Faventiae 1676), spiegandolo come effetto di un terremoto che avrebbe scosso qualche isola dell'Impero ottomano e provocato la fuoriuscita di esalazioni sotterranee successivamente condensatesi. Contro l'opuscolo si appuntarono le critiche del Montanari e del Guglielmini, il quale ultimo lo sfidò anche a un pubblico dibattito. Il C. rifiutò la proposta e rispose con altri due opuscoli (Facis seu lampadis volantis post diem 31 martii atmi 1676 conspectae iter, et causae ulterius inquisitae. Epistolica dissertatio secunda apologetica, adversus obiectiones et fundamenta mathematici Bononiensis ed Actathesium Bononiensium occasione celeberrimae controversiae super distantia et itinere facis seu lampadis volantis anni 1676 editarum, quibus... accedit appendix astronomica...),entrambi apparsi a Faenza nel 1677, in cui la disputa dimostra di essere scesa ormai dal livello di controversia scientifica a quello di bega personale. L'ultima opera di carattere astronomico del C., Cometa annorum 1680 et 1681 et in eundem astronomici conatus atque physicae meditationes (Faventiae 1681), non è neanche essa priva di errori di calcolo, a conferma delle gravi carenze della preparazione matematica dell'autore.
Non riscosse maggior successo il C. tra i contemporanei con i suoi studi di storia faentina, che si incentrano intorno alla Faventia antiquissima regio rediviva conatu historico-geographico, Faventiae 1670 (rist.nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, VII, 2, Lugduni Batavoruni 1722). Il libro si basa su di una originale teoria secondo la quale il nome latino Faventia avrebbe designato nell'antichità non soltanto la città di Faenza, ma l'intera Romagna. Faventia sarebbe infatti sinonimo di Flaminia, il nome della regione a sua volta derivato non da quello della via consolare, ma da quello dei sacerdoti fiamini. Questa affermazione è a sua volta giustificata con la particolare attitudine dei Faentini ai riti sacri e con il significato di faventia, che Festo spiega con bona ominatio. Segue una descrizione storico-geografica della Romagna abbondantemente accompagnata da citazioni di classici e trascrizioni di epigrafi. Com'è facile inunaginare, fuori di Faenza il libro del C. ricevette una pessima accoglienza. Già nel 1672 il C. fu costretto a pubblicare le Repliche... in diffesa della sua Faenza rediviva per rispondere agli attacchi del conterraneo F. M. Saletti, da lui ferocemente definito "lo scriba di Brisighella e Valdilamone". Le critiche più puntuali e fondate di B. Ricceputi (La verità rediviva a favore della città di Forlì..., Forlì 1673) non ricevettero invece replica. L'ultima fatica storica del C. è il completamento delle Historie di Faenza del faentino G. C. Tonduzzi, morto nel 1673. Su preciso incarico di. questo il C. proseguì la narrazione dal 1440 al 1600 e la corredò di indice e biografia dell'autore.
Il C. è autore anche di un opuscolo di carattere geoeconomico in cui tra l'altro si propone la costruzione di un canale tra Faenza e il mare (Commerzio di due mari Adriatico e Mediterraneo per la più breve ed espedita strada dell'Italia Occidentale, considerata nell'antichissinia strada per l'Apennino, e sopra il pensiero di un nuovo canale navigabile da Faenza all'Adriatico, Faenza 1682), nonché di una più che mediocre ode al cardinale Raggi in occasione della liberazione di Vienna dall'assedio turco (Per la importantissima vittoria dell'armi christiane di Germania, e Polonia contro li Turchi cacciati dall'assedio di Vienna..., Faenza 1683).
Il C. corrispose per vent'anni (1670-1690) con Antonio Magliabechi, di cui sfruttò largamente l'erudizione e la fama per chiedergli un gran numero di informazioni e qualche favore, soprattutto per la pubblicazione delle proprie opere. Dalle centoventi lettere al Magliabechi, conservate nel cod. II. IV. 549 della Biblioteca nazionale di Firenze, si ricavano dati altrimenti ignorati sulla biografia e gli interessi culturali del C., che, oltre al resto, si dilettò di numismatica e raccolse una piccola collezione di manoscritti.
Fonti e Bibl.: Giorn. de' lett. di Roma, 1669, pp. 53-55; 1671, pp. 57-60; 1676, pp. 118 s.; Acta erudit. ..., Lipsiae 1682, pp. 163-167; G. Lami, Memorabilia Italorum..., I,Florentiae 1742, pp. 314 s.; G. B. Mittarelli, De literatura Faventinorum..., Venetiis 1775, coll. 54-56; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, I, 2, Faenza 1883, pp. 89-91; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, pp. 593, 602 s.; P. Zama, Indice e cronol. dei notai del vecchio archivio notarile faentino (1367-1880), Faenza 1925, p. 11; L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, VII, p. 664.