MARCELLO, Pietro
Nacque a Venezia nel 1446 dal cavaliere Jacopo Antonio di Francesco e dalla sua seconda moglie Lucia Lion, figlia del nobile padovano Bartolomeo.
Il padre morì lasciando numerosi figli e prima che il M. raggiungesse la maggiore età, il che forse contribuisce a spiegare il tardo esordio di quest'ultimo nel mondo della politica. Infatti deve escludersi la presenza del M. in cariche minori, del tutto incongrue per un patrizio provvisto di largo censo, che pertanto furono probabilmente ricoperte da uno dei tre omonimi (rispettivamente figli di Filippo, di Giacomo, di Benedetto).
Solo nel 1480 il nome del M. compare con certezza accanto alla qualifica di sopracomito di una delle quattro galee inviate dal capitano generale da Mar nell'isola di Veglia, minacciata dagli Ungheresi che sostenevano le rivendicazioni antiveneziane dei loro feudatari Frangipane; cessò dal servizio il 18 maggio 1481, ricevendo una paga di 338 ducati.
Scoppiata di lì a poco la guerra di Ferrara, il 3 luglio 1482 il M., che evidentemente sul Quarnaro doveva aver dato tra i soldati buona prova di sé, fu eletto provveditore in campo in sostituzione di Alvise Loredan, caduto ammalato. Lasciata Venezia, il M. si portò a Balduina dove fece apprestare un ponte sull'Adige che consentisse il passaggio delle truppe di Galeazzo Sanseverino, comandante dell'esercito veneto. Riuscì in tal modo a conquistare Lendinara e Rovigo, che il 17 agosto sottoscrissero alla sua presenza il patto di dedizione alla Repubblica; il 1° settembre fu la volta di Badia, per cui tutto il Polesine al di qua del Po finì sotto il controllo della Serenissima. Il primo importante incarico affidato al M. non poteva sortire miglior esito; donde un aumento di prestigio e di considerazione da parte del Senato, che nella primavera del 1483 lo inviò provveditore a Martinengo, dove si era aperto un secondo fronte del conflitto in seguito all'alleanza di Ludovico il Moro con papa Sisto IV, Ercole I d'Este e Alfonso d'Aragona. Sappiamo che anche in questa circostanza dimostrò coraggio e determinazione, perché quando l'Aragonese mosse sul Bergamasco puntando su Martinengo, "cognoscendo dito loco non lo harìa auto a pati, come ha fato li altri castelli, lassò di andarvi" (Sanuto, Le vite dei dogi, II, p. 422). Più tardi espletò analoghe funzioni di provveditore ad Asola, nel Bresciano, e poi a Orzinuovi, ove fece il suo ingresso il 5 sett. 1485.
Rimpatriato, gli furono affidati incarichi di tutt'altra natura, secondo la prassi veneziana, e divenne console dei Mercanti; si dimise il 29 luglio 1487 per assumere il comando del convoglio navale di Alessandria; poi, all'inizio dell'anno successivo fu eletto provveditore "sopra gli uffici e le cose del regno di Cipro", dove regnava Caterina Corner, che di lì a poco avrebbe abdicato a favore della Serenissima; il successore del M. fu nominato nell'aprile 1489.
A Venezia entrò a far parte del Senato e il 18 maggio 1490 fu inviato a ispezionare il Polesine insieme con il collega Alvise Loredan; divenne quindi ufficiale sopra le Beccarie, ma lasciò anzitempo la carica, essendo stato eletto podestà a Vicenza il 17 febbr. 1491: di fatto assunse il rettorato nel mese di luglio, ma vi rimase a lungo, dal momento che solo il 12 ott. 1493 giunse a sostituirlo Giovanni Battista Foscarini.
Con la discesa in Italia di Carlo VIII si aprì per il M. una fase di intensa attività politica e militare, anche se non gli toccò di partecipare personalmente alla fase cruciale della lega antifrancese. Al comando di una piccola squadra navale, partita dall'isola di Lesina in Dalmazia, il 10 marzo 1496 ottenne la dedizione della rocca di Trani, concessa in pegno alla Repubblica insieme con altre località pugliesi, in cambio dell'aiuto fornito agli Aragonesi contro i Francesi e si preparò a difenderla. Due mesi dopo la situazione sul campo era mutata a favore di Venezia, per cui il M. poté procedere alla conquista di altre località e castelli del litorale pugliese, ma in ottobre dovette fronteggiare una rivolta popolare causata da discordie interne, che riuscì a piegare con pugno di ferro, ordinando numerose impiccagioni. Ciononostante, quando lesse la sua relazione al Senato, il 5 giugno 1498, affermò tranquillamente "come quelli populi adoravano il nome di San Marcho, et lui praecipue era molto amato" (Sanuto, I diarii, I, col. 982).
Un mese dopo fu nominato provveditore in campo nella guerra che la Repubblica sosteneva a favore di Pisa contro i Fiorentini. È ancora M. Sanuto (i cui Diarii costituiscono d'ora in avanti la principale e più sicura fonte sulle imprese del M., grazie anche alle numerose sue lettere pubblicate integralmente) a fornire la spiegazione di questa designazione: il M., scrive, è "homo exercitato proveditor in diverse imprese di la Signoria nostra, et molto amato dai soldati" (ibid., col. 1030).
Lasciò Venezia il 12 ag. 1498 per recarsi a Urbino da Guidubaldo Della Rovere, nominato comandante delle truppe della Serenissima; l'incontro avvenne a Rimini, ma benché il M. avesse affrettato il viaggio, il duca lo persuase "dovesse indusiar a intrar fino a dì 18, per esser combustion di luna et mal hora, sequendo lo astrologo che sequiva il padre et il barba domino Octaviano, videlicet maistro Paulo todesco" (ibid., col. 1052). Nonostante queste precauzioni, la campagna non sortì buon esito: nei mesi che seguirono Guidubaldo Della Rovere e il M., unitisi a Bartolomeo d'Alviano, operarono tra Marradi e Bibbiena, nell'Appennino tosco-emiliano, e poi in Casentino; superato un duro inverno, nella primavera del 1499 la mancanza di viveri li costrinse a ripiegare e il 30 aprile il M. era a Monselice, in attesa del rimpatrio.
Due giorni prima era stato eletto consigliere a Cipro, ma rifiutò la carica per assumere quella di avogador di Comun; il 2 maggio riferì in Senato sul proprio operato in Toscana. Il 2 ottobre fu eletto provveditore in Friuli, dove i Turchi - allora in guerra con la Repubblica - avevano compiuto pesanti scorrerie ai danni della popolazione. Fu una breve missione, per cui il 28 genn. 1500 era eletto savio di Terraferma e l'8 febbraio provveditore generale in Lombardia, insieme con Cristoforo Moro.
Stavolta Venezia era alleata con Luigi XII contro Ludovico il Moro e l'imperatore Massimiliano; il fulcro delle operazioni era a Novara, mentre il settore orientale affidato alla Repubblica appariva secondario, anche se più prossimo a Milano. Il 13 marzo il M. passò l'Adda, poi ripiegò su Treviglio, mentre il collega otteneva la resa di Lodi; un mese dopo il re di Francia si apprestò a entrare in Milano e il M. ricevette l'ordine di portarsi in Friuli, dove giunse con alcuni reparti di stradiotti (la cavalleria albanese) agli inizi di giugno. I Turchi infatti minacciavano nuove incursioni dalla Bosnia e bisognava provvedere alla difese sull'Isonzo; pare accertato che all'inizio della primavera del 1500 Leonardo da Vinci abbia visitato e disegnato il fiume con i luoghi finitimi, sicché non si può escludere una collaborazione - ancorché indiretta - con il M. (che giunse in Friuli dalla Lombardia, così come in precedenza aveva fatto Leonardo); di sicuro, i suggerimenti e le misure proposte dal M. furono molto apprezzati dal Senato, ove lesse la relazione il 16 dicembre.
Donde il susseguirsi di varie elezioni alle principali cariche dello Stato, alcune accettate altre rifiutate: nominato savio di Terraferma il 4 genn. 1501, l'8 marzo optava per l'avogaria di Comun; il 20 giugno rifiutava la luogotenenza di Cipro e, sul finire dell'estate, si recava a ispezionare le truppe a Isola della Scala, nel Veronese; il 30 settembre era nel novero dei quarantuno elettori del doge Leonardo Loredan; il 23 ottobre, infine, accettava la nomina a capitano di Bergamo, dove entrò il 23 giugno 1502. Rimase colà poco più di un anno, senza dover affrontare particolari problemi; tornato a Venezia, fu savio di Terraferma dall'ottobre 1503 sino al marzo 1504, quindi, il 18 maggio, venne inviato a Faenza in qualità di provveditore. Giunse in Romagna, però, solo il 20 luglio e vi si fermò quasi cinque mesi; nella relazione, letta in Senato il 15 dicembre, riferì sullo stato delle città e fortezze della regione, da poco annesse ai dominii della Serenissima dopo l'effimera avventura di Cesare Borgia, ma rivendicate con fermezza dalla S. Sede.
Rifiutato il saviato di Terraferma il 29 genn. 1506, entrò a far parte del Consiglio dei dieci, donde si dimise il 23 maggio essendo stato eletto capitano a Candia. Si trovava certamente qui il 20 febbr. 1507, data in cui, congiuntamente al collega Girolamo Donà, informava il Senato di un fortunale che aveva infierito sul porto della capitale.
Né fu questa l'unica calamità di cui il M. fu testimone nel corso della sua permanenza nell'Egeo: il 29 maggio 1508 un devastante terremoto si abbatté su Candia, come il M. riferiva ai fratelli in una sua lettera di tre giorni dopo, riportata dal Sanuto: "Il palazzo mio è tutto aperto et minaza ruina. Io mi atrovava haver cenato et […] mi ridussi in corte, ch'è streta, con le fabriche alte atorno, dove aspetava da qual canto che 'l me vegnisse adosso […] che una horra mille anni mi pare a ussir di questi travagli et oscurità" (I diarii, VII, coll. 570-572).
Tornò a Venezia nel luglio 1509, appena dopo la sconfitta di Agnadello: gli vennero risparmiate le sofferenze del primo impatto con il cruciale evento, ma non le sue conseguenze, che videro la Repubblica impegnata in lunghi anni di guerra per riconquistare i domini perduti. Il 4 agosto fu eletto provveditore in campo a Treviso, dove fece ampliare il fossato che circondava la città e ristabilì la disciplina fra i soldati con punizioni esemplari: il 29 agosto gli furono consegnati tre disertori, "e menati al palazo li parse farli apichar, et per non haver boja, donò la vita al terzo apichasse li do" (ibid., IX, col. 105). Seguirono mesi convulsi: il 15 settembre era a Padova da poco riconquistata, dove la casa che vi possedeva andò bruciata nelle emergenze della difesa dal primo dei numerosi contrattacchi nemici che si susseguirono in una manciata di anni; poi fu a Mestre alla testa di un contingente di stradiotti; prese parte alla conquista di Camposampiero (8 ottobre), a quella di Vicenza (14 novembre) e di Soave (17 novembre), mentre fallì quella di Verona, difesa dai tedeschi (21-25 novembre).
Trascorse l'inverno fra Lonigo e Montagnana e il 18 maggio 1510 non seppe difendere Vicenza dall'assalto degli Imperiali; l'insuccesso gli valse un rimprovero ufficiale del provveditore generale Andrea Gritti (ma forse, dietro a ciò, stava anche una diversità di opinioni tra i due: Gritti, infatti, caldeggiava la nomina di Lucio Malvezzi a comandante in capo dell'esercito veneziano, laddove il M. propendeva per Bernardino Fortebracci). Di fatto, il M. e il collega Gian Paolo Gradenigo furono convocati a Venezia, dove a fine mese cercarono di discolparsi di fronte a un Collegio a sua volta in difficoltà: il 26 maggio 1510, riporta Sanuto, "fo gran contrasto, tamen ditti do provedadori da tutta la terra è calonniati" (ibid., X, col. 429). Il M. fu sollevato dall'incarico, ma proprio Gritti ne propose il reintegro, che venne prontamente accettato perché a Venezia, in quei frangenti, non si poteva andar troppo per il sottile.
Tuttavia, per qualche tempo, non gli vennero affidate nuove incombenze militari; il 4 dic. 1510 entrava a far parte della zonta del Consiglio dei dieci; il 2 ott. 1511 divenne membro dei provveditori sopra Danari; nonostante quest'ultima magistratura fosse di natura fiscale, il 17 dic. 1512 il suo nome compare fra i debitori dello Stato. La conseguenza fu un'ulteriore latitanza da incarichi di responsabilità non solo militare, ma anche civile; incarichi peraltro non sollecitati dal M. che anzi, quando nell'aprile 1512 fu nominato provveditore sopra le Pompe, "intrò, ma non va a l'officio né vol andar in Pregadi" (ibid., XIV, col. 200). Aveva altro per la testa: il nemico aveva invaso il Polesine, dove si trovavano due suoi fratelli; di fatto, nell'agosto successivo uno di essi, Valerio, fu catturato e portato a Ferrara, mentre un altro, Marco, vide la casa di Rovigo saccheggiata e bruciata.
Il 5 dic. 1512 fu nuovamente eletto consigliere ducale per il sestiere di Dorsoduro, mentre era contemporaneamente membro del Consiglio dei dieci sin dall'ottobre; tanta repentina benevolenza del Senato nei suoi confronti si può spiegare, almeno in parte, con la posizione filoromana del M. (un altro suo fratello, Lorenzo, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica) e in considerazione del fatto che ora la Serenissima si trovava alleata con la S. Sede.
Nell'ultima, ma non meno impegnativa, fase del conflitto, il 15 luglio 1514 il M. fu nominato ancora una volta provveditore in campo in Friuli, dove le truppe dell'imperatore Massimiliano avevano inflitto una grave sconfitta al provveditore Giovanni Vitturi. Trovò la situazione compromessa, con le truppe demoralizzate e incattivite per il mancato pagamento del soldo; liberato dalla prigionia, l'11 agosto Vitturi giunse a Udine e "li stratioti li andono contra, a i qual ne l'intrar in Udene fonno insieme a gran parole, imo esso sier Zuan Vituri branchò la barba di uno capo, adeo si lui provedador Marzelo non si ritrovava lì, sarìa seguiti grandissimi inconvenienti" (ibid., XVIII, col. 430). Le operazioni, però, andavano ristagnando per esaurimento di risorse da entrambe le parti, con i Veneziani stanziati a Udine e gli Imperiali a Gradisca e Gorizia, sicché il 14 ottobre il M. ottenne il permesso di deporre la carica.
Il 22 maggio 1515 entrò ancora una volta nel Consiglio dei dieci fino a settembre, poi fu consigliere ducale, quindi (12 ott. 1516) fece l'ingresso a Brescia in qualità di capitano e provveditore, alla qual carica era stato eletto sin dal 24 giugno, benché - precisa Sanuto - fosse nell'elenco di quei patrizi che "non volseno imprestar", rinnovando così il rifiuto a contribuire finanziariamente alla difesa dello Stato. Sorprende, pertanto, l'accusa che mosse ai Bresciani nella relazione di fine mandato, letta in Senato il 3 nov. 1517: "si pol dir Brexa sia richa come mai, e che brexani spendeno largamente nel viver loro, ma in dar fuora danari ni a la Signoria ni in altro per bisogno di la terra sono molto duri" (ibid., XXV, col. 63).
Nonostante l'età ormai avanzata, il 3 marzo 1518 fu eletto provveditore a Cipro, ma rifiutò; accettò invece di entrare, il 1° giugno, ancora una volta consigliere ducale di Dorsoduro, ma non concluse il mandato per essergli stato affidato (16 ag. 1518) un altro rettorato, quello di capitano a Verona.
Il M. prese possesso della sede a fine anno e vi rimase sino all'agosto 1520; la città scaligera era stata l'ultima a rientrare a far parte dello Stato marciano e molti erano i problemi ancora aperti dopo la lunga parentesi del dominio imperiale; nell'estate del 1519, inoltre, il M. ospitò Odet de Foix, visconte di Lautrec, ufficialmente a Verona per cure termali, ma con il quale, scriveva, "è bon andar cauti" (ibid., XXVII, col. 248).
Rimpatriato, nell'ottobre 1520 entrò nella zonta del Senato, quindi, il 28 luglio 1521, fu eletto podestà di Padova, dove si recò a novembre e dove fece edificare porta Codalonga; tuttavia anche questo rettorato del M. non fu esente da critiche, poiché il suo conestabile venne accusato di estorsioni e egli stesso di eccessiva severità. Quando stava per lasciare la carica, il 6 marzo 1523 Sanuto annota: "È da saper, esso podestà di Padoa ha una pessima e dolorosa fama, ha fato morir alcuno per inditia" (ibid., XXXIV, col. 20).
Una volta a Venezia mancò diverse elezioni, a cominciare da quella di procuratore di S. Marco, scontando in tal modo la taccia di avarizia e crudeltà; eppure un personaggio del valore di Leonardo Emo un anno dopo, il 12 apr. 1524, lo lodava in Senato come "homo integerrimo" (ibid., XXXVI, col. 200). È possibile che a inasprirne il carattere siano stati i molti anni passati sui campi di battaglia, gli enormi danni inferti nel Padovano ai beni familiari nel corso di tante guerre e, ma soprattutto, la mancanza di eredi: sappiamo che si era sposato, ma è ignoto il nome della moglie da cui ebbe una figlia, a sua volta sposata a un Antonio Marcello, e un maschio, Girolamo, scomparso in giovane età.
Morì a Venezia il 10 genn. 1530. Fu sepolto accanto al padre, nella chiesa di S. Cristoforo, nell'isola omonima.
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