MANELFI, Pietro (noto anche come Pietro della Marca, Pietro d'Ancona, Pietro di Monte Albotto, Pietro da San Vito, Pietro del Monte di S. Marcello)
Nacque nel 1519 circa da Filippo di Ippolito a Monte San Vito di Senigallia, nelle Marche; s'ignora il nome della madre.
Ordinato sacerdote nella diocesi di Senigallia, all'inizio degli anni Quaranta il M. fu introdotto presso Bernardino Ochino ad Ancona dal cappuccino Girolamo Spinazzola (da identificare forse con fra Girolamo da Melfi). In questo frangente il M., in seguito alla meditazione sulla Sacra Scrittura, oltre che sulle annotazioni di Melantone sopra s. Matteo e su alcune opere di Lutero, tra cui il commento all'Epistola ai Galati di s. Paolo, si persuase che il papa fosse l'Anticristo e che "tutte le cerimonie et altre cose della Corte romana erano diaboliche" (I costituti, p. 32). Nel 1542 fu definitivamente convertito alla Riforma da un ex cappuccino, tale fra Giulio, inviato espressamente da Ochino da Ginevra, dove questi era rifugiato. Nel periodo immediatamente successivo il M. cessò quindi di adempiere alle funzioni sacerdotali e tentò di fare proseliti tra parenti e amici. Denunciato al legato pontificio nella Marca anconetana, il cardinale Rodolfo Pio da Carpi, il M. fuggì a Vicenza, dove visse per tre anni, e poi a Padova, frequentando sempre altri filoprotestanti. Gli venne allora conferito l'ufficio di ministro della parola e, per due anni circa, svolse un'intensa attività di proselitismo a Venezia, Treviso, Aquileia e in Istria, quindi a Rovigo, Badia Calavena, Ferrara, Consandolo, Ravenna, Bagnacavallo e Imola. Nello Stato estense il M. godeva certamente di influenti protettori, così come a Venezia e a Firenze. Trovandosi a Bagnacavallo, nello Stato estense, fu avvisato da un correligionario che il duca Ercole II d'Este voleva farlo arrestare e riuscì a fuggire a Ravenna, in casa del medico eterodosso Matteo Fabbri, che si trovava in stretti rapporti con la moglie del duca, Renata di Francia; da qui fu inviato a Venezia, in casa di un altro medico convertito alle idee della Riforma, Agostino Abioso.
Alla fine degli anni Quaranta il M. si recò a Firenze, a Pisa e infine a Lucca, e in seguito ritornò nella città lagunare, per poi recarsi ad Asolo, a Cittadella, a Verona e a Vicenza. A Firenze, verosimilmente all'inizio del 1550, si avvicinò a concezioni religiose più radicali, dopo aver conosciuto gli anabattisti Tiziano, Giuseppe di Giovan Maria Sartori di Asolo e il maestro di scuola Lorenzo Nicoluzzi da Modiana, anch'egli corrispondente di Renata di Francia. Trascorso un periodo di incertezza, il M. fu definitivamente convertito a Ferrara da un ex canonico regolare, Giuseppe da Vicenza, e aderì all'anabattismo, venendo ribattezzato da Tiziano. Si recò, quindi, a Vicenza con alcuni correligionari, tra i quali l'ex carmelitano Francesco da Lugo. In seguito ad accese dispute inerenti alla questione dell'umanità di Cristo, il M. e i suoi compagni sollecitarono l'indizione di un "concilio" anabattista che di lì a poco, nel settembre 1550, si tenne a Venezia. Il M., dopo aver raccolto denari a Vicenza, Padova, Treviso e Cittadella per sostenere le spese dell'assemblea, partecipò attivamente, per sua stessa ammissione, alle discussioni collegiali. Nessuno dei partecipanti, in seguito processati per eresia, ricorda però la presenza del M.: molti, anzi, concordano nel dire che egli si aggregò alle comunità degli anabattisti veneti solo nell'estate dell'anno successivo.
Durante il "concilio" il M. avrebbe asserito, a proposito della natura di Cristo, di accettare interamente l'Antico e il Nuovo Testamento, a eccezione del primo e del secondo capitolo del Vangelo di Matteo, e di quasi tutti i primi tre capitoli di Luca: "perché ne detti capi se dice Christo Signore nostro essere nato de Spirito santo, et noi volemo che sia nato de seme di Ioseph; la seconda perché quello solo è lo evangelio che si conforma con li propheti; terzo perché quei capitoli sarebbero aggiunte di s. Girolamo" (I costituti, p. 64). In seguito, nel corso della propria attività di apostolato, durante la celebrazione di una cena, affermò di "credere Christo esser nostro Signore et io essere suo membro, non tenendolo però per Dio" (ibid., p. 63). Per quanto concerne le inclinazioni dottrinali del M., sappiamo inoltre che l'ex agostiniano ed esule calvinista, Giulio Della Rovere (Giulio da Milano), in uno scritto contro gli anabattisti italiani, lo accostò esplicitamente al benedettino visionario Giorgio Rioli, detto il Siculo, affermando a proposito del M.: "questo tale ha mescolato il papesimo con l'anabatismo et ha cominciato a fare una terza setta" (Esortatione al martirio, [Poschiavo] 1552, p. 145, cit. in Prosperi, p. 209). Più specificamente, inoltre, un neofita anabattista affermò di avere appreso dal M. la dottrina del sonno delle anime; e tale Luca di Ferrero da Treviso ne riportò la frase: "semo come uno osello che morto el corpo, morta l'anima" (ibid., p. 197). Infine, tra le letture del M. vi erano anche scritti di Juan de Valdés come Le cento et dieci divine considerazioni, che egli trasmise manoscritte da Padova a Basilea, recapitandole a Pier Paolo Vergerio, presumibilmente alla fine del 1549.
Nel periodo successivo il M. continuò a svolgere l'ufficio di ministro itinerante fino all'agosto 1551. Come tale, insieme con alcuni compagni, fra i quali Marc'Antonio da Asolo, Silvio da Vicenza e, verosimilmente, lo stesso Tiziano, predicò le nuove concezioni in vari luoghi (tra cui Vicenza, Padova, Venezia, Treviso e l'Istria) e si preoccupò di esaminare e confermare nella dottrina anabattista tutti gli aderenti, ribattezzandoli e amministrando loro la cena del Signore. In particolare a Venezia e a Rovigo egli, sfruttando le proprie protezioni e corrompendo i custodi, entrava nelle prigioni, con lo scopo di confortare e convertire i prigionieri. Durante questi mesi il M. continuò a raccogliere denaro per sostenere la propria causa. A Cosliaco, in Istria, conobbe il signore locale, Francesco Barbo, già incline alla Riforma, ma non riuscì a convertirlo all'anabattismo. Inoltre, in seguito a un invito da parte di Giovanni Patrizi di Cherso, si recò a predicare ad Albona, dove cadde ammalato. L'attività di proselitismo nel territorio veneziano, svolta nei confronti di medici e maestri così come di parroci e contadini, proseguì poi a Momarano e a Degnano.
Nei primi mesi del 1551 il M. era stato incaricato di visitare le comunità anabattiste di Ferrara, della Romagna e della Toscana e nell'estate successiva si era recato ancora presso le comunità di Ferrara, di Padova e di Vicenza. Nel medesimo periodo era stato chiamato a Verona da Bartolomeo Della Barba e, insieme con questo e con altri correligionari, cercò di catechizzare senza successo alcune persone "circa il battesmo et l'incarnatione di Christo" nei dintorni della città (I costituti, p. 72).
Mentre si trovava a Ravenna, il M. decise di autodenunciarsi al S. Uffizio, in modo da fruire dello sconto di pena che una bolla recentemente promulgata da Giulio III concedeva in cambio della rivelazione dei complici. Non è chiaro se la scelta di abbandonare la setta fosse determinata anche dal timore di essere punito per un furto precedentemente commesso. Poco dopo, il 17 ott. 1551, egli si presentò spontaneamente all'inquisitore di Bologna, il domenicano Leandro Alberti.
Nel primo costituto rilasciato nella città felsinea testimoniò la presenza di eretici a Piacenza, a Brescia, a Cremona, a Crema, a Bergamo, a Venezia, a Vicenza e nelle "ville" circostanti, in particolare a Leggieri e a Ospedaletto, e ancora a Verona, a Padova, a Treviso, a Udine, in varie località dell'Istria e della Dalmazia, e in generale in vari siti del territorio della Repubblica di Venezia. Per quanto concerneva l'Italia centrosettentrionale, egli ricordò Ferrara e alcuni centri limitrofi, come Argegna e Consandolo, Modena, Bologna e Castel Bolognese, Imola e, infine, in relazione alla Toscana, soprattutto Firenze, Pisa, Borgo a Baggiano e Monte Vettolini. Dopo l'esecuzione di un'abiura privata e l'imposizione di alcune penitenze, il M. fu inviato a Roma perché proseguisse le proprie confessioni di fronte al S. Uffizio. Giunto il 10 novembre, fu esaminato nel corso di tre lunghi interrogatori, rilasciati nei giorni 12-14 nov. 1551, prima davanti a Girolamo Muzzarelli, maestro del Sacro Palazzo, e poi ai cardinali inquisitori. Il M. rivelò l'identità di un gran numero di anabattisti e luterani sparsi in varie città italiane, indicando quasi sempre la loro professione, e fornì particolari sullo svolgimento e sulle determinazioni del concilio anabattista veneziano del 1550. Nel periodo immediatamente successivo queste delazioni offrirono al S. Uffizio un'arma decisiva per perseguire il dissenso religioso radicale e le altre concezioni di matrice protestante diffuse in Italia.
Il 4 maggio 1552 la congregazione assegnò al M. uno stipendio mensile di 5 ducati d'oro per i servizi resi; in seguito egli scomparve letteralmente dalla scena italiana, tanto che si ignorano anche il luogo e la data di morte.
Fonti e Bibl.: C. Ginzburg ha curato l'edizione critica de I costituti di don P. M., Firenze-Chicago 1970 (si tratta dei costituti superstiti, conservati nell'Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 9, integrati da altri due da lui rintracciati nell'Archivio della Curia arcivescovile di Udine); E. Comba, Un sinodo anabattista a Venezia, anno 1550, in La Rivista cristiana, XIII (1885), pp. 21-24, 83-87; Id., I nostri protestanti, II, Firenze 1897, pp. 487-517; P. Paschini, Venezia e l'Inquisizione romana da Giulio III a Pio IV, Padova 1959, p. 87; A. Stella, Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche, Padova 1967, pp. 78 s., 87-92; Id., Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche, Padova 1969, pp. 64-72; U. Gastaldi, Storia dell'anabattismo, II, Torino 1981, ad ind.; A. Prosperi, L'eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, ad indicem.