MANDRÉ, Pietro
Nacque a Roma il 9 ott. 1858 da Augusto e da Lucilla Andreucci.
Nella lettera divenuta prefazione alle Poesie di un proletario del M. (Roma 1892), Antonio Labriola lo diceva "nato nell'Umbria", e probabilmente uno o ambedue i genitori dovevano essere originari di quella regione. In uno dei Sonetti (Rimembranze di autunno), "pubblicati dagli amici" quando già il M. era ricoverato all'ospizio romano di S. Michele, in un opuscoletto dal titolo Sul limitare della vita (Roma s.d.), si legge fra l'altro: "Balsamico discende oggi nel cuore / il ricordo dei giorni miei passati / de l'Umbria verde in tutto lo splendore [(] / Ecco: Spoleto dai giocondi fatti / veggo". Una nota relativa a Spoleto, siglata "P.M.", avvertiva: "Piccola e graziosa città umbra ove trascorsi, in casa d'una zia, alcuni anni della fanciullezza".
La famiglia era certamente di condizioni economico-sociali molto modeste. Nella sopra citata lettera-prefazione del 1892, Labriola definiva il M. "povero proletario ignaro di scuola e di accademia"; ma, occorre aggiungere, appartenente a quella aristocrazia intellettuale del proletariato ottocentesco costituita dai tipografi (allora distinti nelle due categorie dei "compositori", dei quali faceva parte il M., e degli "impressori"). La dimestichezza con la lingua nazionale rendeva questi lavoratori mediamente più colti e politicamente più sensibili. L'impegno politico del M. deve essere stato precoce, se lo si ritrova già tra i collaboratori del quotidiano L'Eco dell'operaio, che uscì tra il 4 giugno e il 3 sett. 1882 e fu "uno dei primi giornali romani scritto da operai di tendenza socialista" (Majolo Molinari, p. 337). Il quotidiano ebbe però scarso successo di pubblico e le sopravvenute difficoltà economiche causarono una crisi, nella quale poté inserirsi un avventuriero e demagogo romano, vissuto a lungo all'estero, F. Coccapieller, quale sedicente cavaliere "in difesa degli sfruttati". Quando costui utilizzò il giornale per promuovere rumorosamente la propria candidatura alle elezioni politiche, ne fu allontanato con l'accusa di aver "tratto in inganno gli operai" (L'Eco dell'operaio, 8 luglio 1882). Il giornale fu poi continuato da un nuovo quotidiano, L'Operaio (col sottotitolo di "Organo dei sodalizi operai e dell'Unione generale operaia"), cui il M. collaborò, che visse però soltanto fino al 2 nov. 1882 (questo, almeno, l'ultimo numero della collezione più estesa conservatasi).
L'impegno politico del M. si fece più intenso alla fine degli anni Ottanta. Nel 1888 divenne segretario del comitato regionale di propaganda della Società tipografica romana, e aderì alla Federazione operaia socialista, un'organizzazione "promossa e ispirata" da A. Costa costituitasi nel gennaio 1888, "nella quale si cominciavano a guardare i problemi del movimento operaio con una visuale più aperta, contrastante con le vedute individualistiche degli anarchici" (Cafagna, p. 749). Nella Federazione, peraltro, come in tutte le associazioni originarie del movimento operaio, convivevano socialisti e anarchici, i più intransigenti dei quali finirono col provocarne la crisi (marzo 1889). Il M., che era stato tra quanti avevano tentato di opporsi allo scioglimento della Federazione, diede vita, insieme con il tipografo G. Veraldi, correttore presso il quotidiano La Capitale, al Circolo operaio romano di studi sociali. Questa associazione vide la compresenza di forze socialiste e repubblicane (oltre che di alcuni anarchici), e promosse una serie di iniziative d'intento educativo e "unitario": discussioni su grandi questioni di attualità, come la nascita della II Internazionale nel congresso di Parigi, trattazione di un progetto di "Camere operaie elettive, arbitre di decidere sui problemi sorgenti fra i capitalisti e i lavoratori", dibattito sulla partecipazione o meno degli operai alle competizioni elettorali (anzitutto le amministrative che si tennero a Roma nell'autunno 1889, con una nuova disciplina che, abbassando il censo, ampliava il numero degli elettori).
Il Circolo di studi sociali organizzò anche cicli di conferenze, una delle quali fu quella tenuta il 20 giugno 1889 da A. Labriola, che fu presentato proprio dal Mandré. I rapporti del filosofo col M. si mantennero stretti anche negli anni immediatamente successivi: nell'aprile 1890 Labriola indirizzò una lettera pubblica (apparsa nel quotidiano romano La Capitale del 13-14 apr. 1890) al M., nella sua qualità di organizzatore di una manifestazione di operai disoccupati (Roma viveva una acuta crisi economica, dopo la "febbre edilizia" degli anni Ottanta), sulla questione del "diritto al lavoro"; lettera nella quale si affermava l'esigenza di un "partito operaio forte e organizzato" e si invitava a prendere a modello la "democrazia sociale di Germania". Pochi mesi dopo il M. fu tra i firmatari dell'"indirizzo di saluto" alla socialdemocrazia tedesca, risorta dopo la persecuzione bismarckiana e riunita nel congresso di Halle (ottobre 1890): indirizzo che fu redatto da A. Labriola col consenso di F. Turati. Alla seconda metà degli anni Ottanta risale anche la collaborazione del M. all'organo ufficiale dei compositori tipografi italiani, il settimanale Il Tipografo, sorto a Roma nel 1873, trasferitosi poi a Torino (febbraio 1883) e a Milano (settembre 1888); periodico che, a partire dal 1( maggio 1894, uscì col titolo Il Lavoratore del libro, al quale il M. continuò a inviare corrispondenze sulle condizioni di lavoro e sulle richieste di miglioramento dei tipografi.
La vocazione più intima del M., tuttavia, era probabilmente quella poetica e a essa si dedicò con ininterrotto esercizio. Una nuova raccolta di suoi componimenti (che ne comprendeva alcuni del 1892) apparve a Roma nel 1900 col titolo Poesie sociali e con un'altra breve prefazione di A. Labriola.
Il verseggiare del M. oscillava tra due tasti: uno politico-sociale che insisteva sui concetti di "giustizia" e "uguaglianza", e un altro privato che esprimeva la piena degli affetti rivissuti nel ricordo (raggiungeva gli esiti migliori cantando l'amore negato o passato). Vi prevaleva un tono pessimistico di evidente ascendenza leopardiana (in un verso si autoraffigurava "sempre triste, pensoso, sconfortato"), e anche la lingua era affollata di leopardismi ("fole", "vago", "speme"). Labriola osservava che "la nota ribelle" veniva "sopraffatta dalla malinconia", sicché il soggettivo lirismo non riusciva a esprimere "quello che agita i petti e gli animi di tutto il gran popolo dei proletarii"; gli riconosceva, con eccesso di benevolenza, una "lingua di popolo" che era in realtà tutta di derivazione letteraria.
L'esistenza del M. divenne sempre più penosa, a causa dell'indigenza e di una malattia agli occhi che lo condusse quasi alla cecità. Ciò non gli impedì di sostenere con vigore le sue idee in momenti cruciali della storia nazionale. Alla vigilia dell'ingresso in guerra dell'Italia dette alle stampe un componimento, Massacro (Roma 1915), che denunciava il "carnaio umano" nel quale erano precipitati "popoli fratelli". Nell'immediato dopoguerra collaborò a Il Bolscevico, un giornaletto in dialetto romanesco, del quale non risulta si siano conservate collezioni pubbliche. Nella premessa, datata "Roma, settembre 1922", a una nuova raccolta di poesie, Battaglie proletarie, affermava la sua positivistica fiducia nelle "inflessibili leggi del progresso" e nella "vittoria finale, ormai prossima" ("l'avvenire, ad onta di tutto, appartiene al Socialismo"). Gli amici lo aiutarono a pubblicare un'ultima raccolta di poesie, Rime di redenzione (Roma 1935).
Il M., che dal 1918 era ricoverato a Roma presso l'ospizio di S. Michele, vi morì il 6 genn. 1938.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Questura di Roma, f. Sovversivi, ad nomen; A. Labriola, Scritti politici, 1886-1904, a cura di V. Gerratana, Bari 1970, pp. 212, 279-281; A. Servadei, Memorie di un barbiere di Trastevere (1875-1948), a cura di R. Mordenti, Roma 1984, pp. 18 s., 36; A. Labriola, Carteggio, III, 1890-1895, a cura di S. Miccolis, Napoli 2003, pp. 30, 32; L. Cafagna, Anarchismo e socialismo a Roma negli anni della "febbre edilizia" e della crisi, 1882-1891, in Movimento operaio, n.s., IV (1952), pp. 751 s., 764, 779; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, pp. 74, 335-337, 934-936; M. Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), Roma 1979, pp. 267, 398; Operai tipografi a Roma, 1870-1970, a cura di D. Scacchi et al., Milano 1984, pp. 160 s.; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai fasci siciliani, Torino 1997, pp. 409, 452.