LUCCHESI, Pietro
Nacque a Venezia nel novembre 1745 da Matteo, proto del Magistrato alle acque, del quale seguì la carriera. Fu assunto sedicenne al servizio dei Savi ed esecutori alle acque, dove la sua formazione professionale fu curata da T. Scalfarotto e T. Temanza, di entrambi i quali era nipote.
Già nell'agosto 1761, in qualità di ingegnere ai fiumi, assieme al pubblico matematico G.A. Rossi e al Temanza, ingegnere ai lidi, firmò un'ampia relazione sulla erezione di murazzi lungo il Piave, che nel 1749 aveva cambiato letto. L'obbiettivo era preservare la laguna, impedendo che vi arrivassero le acque delle piene del Piave dopo aver superato gli argini della riva destra ed essersi unite a quelle del Sile. La relazione fu molto critica sulla costruzione degli argini con materiali non idonei e senza "scarpa" in fronte o alle spalle, realizzati da operai mal pagati, troppo vicino al Piave o di altezza non proporzionata a quella massima delle piene. Dall'ottobre 1762 al marzo 1763 il L. partecipò, con altri dieci ingegneri e assistenti coordinati dallo Scalfarotto, ai rilevamenti per quella che fu l'ultima mappa della laguna disegnata dal Magistrato alle acque, ordinata dal Senato ed eseguita sotto la direzione dell'esecutore alle acque Angelo Emo, poi protagonista nel 1784-85 dell'ultima impresa militare della Marina veneziana. La relazione di Emo (23 marzo 1763) può essere considerata l'ultimo documento significativo della politica lagunare della Repubblica di Venezia. Essa documentò la pessima situazione della laguna superiore e denunciò i numerosi abusi commessi dai privati lungo tutti i suoi margini. In base ai rilevamenti eseguiti fu chiuso l'edificio che consentiva l'immissione in laguna delle acque del Sile, mediante il sostegno chiamato Businello.
Nell'agosto 1772 i Savi ed esecutori alle acque ordinarono al L. di dirigere, come già aveva fatto precedentemente, i lavori per lo scavo del fiume Tergola per impedire le inondazioni delle campagne di Mira, lungo il Brenta. Nell'agosto-settembre 1782, dopo un'ispezione del nobile B. Bembo, il L. presentò in qualità di vice-proto tre relazioni sul Tergola e il Muson e sui numerosi abusi commessi lungo il loro corso.
Nell'ambito del problema tradizionalmente più grave della Terraferma veneta, quello delle inondazioni dei fiumi, la questione del Brenta aveva avuto una svolta nel febbraio del 1776, quando il Senato veneziano, riconoscendo gli scarsi risultati ottenuti con la sola costruzione di argini, chiese al Magistrato alle acque uno studio sulle cause dei disordini del fiume Brenta e un progetto di regolazione sistematica. L'incarico fu dapprima affidato al colonnello A.M. Lorgna, noto matematico e docente nella scuola militare di Verona; nel marzo del 1777 egli presentò un piano che, visti gli scarsi risultati ottenuti con la costruzione di lunghissimi argini, assunse un carattere realmente innovativo, sistematico e radicale, prevedendo la chiusura delle bocche del Brentella, l'interruzione di un tratto del Brenta vecchio fino al canale Vandura, lo scavo di un canale da Limena fino al canale di Pontelongo. Sul progetto si scontrarono i pareri di tre illustri idraulici consultati dal Senato, S. Stratico e L. Ximenes da un lato, P. Frisi dall'altro; inoltre presentarono altri piani G. Coi, D. Munaretto e A. Belloni. Il risultato finale fu che nell'aprile 1779 il Senato respinse sia il progetto di Lorgna sia quello di Frisi; i sei progetti per il Brenta rimasero nell'archivio dei Savi ed esecutori alle acque.
Il problema del Brenta riemerse dieci anni dopo, a seguito dell'inondazione di quasi metà del territorio padovano. I Savi incaricarono l'avvocato fiscale del Magistrato alle acque, A. Artico, di presentare un nuovo progetto utilizzando i sei del 1777 (la sua relazione, datata 29 genn. 1786, è in Padova, Biblioteca universitaria, Mss., 87). Nel gennaio 1786 G.A. Giustinian, uno dei quattro aggiunti ai Fiumi che nel 1779, insieme con i Savi, avevano respinto il progetto del Lorgna, ne presentò uno suo (Pensieri di un cittadino sul fiume Brenta, Padova 1786).
Un ulteriore progetto, presentato dai proti Scalfarotto, P. Battaglioli e dal L., contemplava alcuni elementi di quello del Lorgna (eliminazione delle bocche di Limena, chiusura del tratto del Brenta vecchio da Limena fino al canale Vandura, scavo di un canale nella zona ovest di Padova da Limena a Pontelongo) e altri dei progetti di Ximenes, Stratico, Munaretto e Belloni (Parere sopra la regolazione del fiume Brenta, esteso per comando del Magistrato eccellentissimo alle acque dalli tre proto ingegneri di detto eccellentissimo magistrato Tommaso Scalfurotto, Pietro Lucchesi e Pietro Battaglioli, col quale viene anche accompagnato il disegno della pianura per cui scorre esso fiume; 10 genn. 1786, in Padova, Biblioteca universitaria, Mss., 358; una mappa raffigurante gli interventi proposti negli otto progetti è in Padova, Biblioteca del Museo civico, Mss., B.P.1946/4). Data la gravità della questione, questo fu certamente il progetto più impegnativo al quale il L. collaborò. Artico dovette quindi presentare una seconda relazione, nella quale sostanzialmente mise il progetto dei tre ingegneri sullo stesso piano di quello del Lorgna. Nella relazione, datata 23 luglio 1787, criticò ampiamente gli otto progetti precedenti ma accettò alcuni suggerimenti dei tre ingegneri; anche il suo, tuttavia, non fu realizzato.
Dal 1783 il L. visse in casa dello Scalfarotto, erede della biblioteca del Temanza, del quale egli utilizzò più volte i manoscritti. Nel giugno del 1796 ebbe ordine da Giacomo Nani, provveditore alle Lagune e lidi, data la situazione politico-militare, di verificare l'autonomia della città quanto all'acqua potabile in caso di esaurimento dei pozzi cittadini o di interruzione del trasporto dell'acqua mediante imbarcazioni dall'acquedotto della Seriola o dai fiumi lagunari. Il L., anche avvalendosi degli scritti del Temanza, presentò una relazione che in seguito pubblicò (Memorie sopra le cisterne, o pozzi di Venezia, Venezia 1805). Partecipò anche all'elaborazione del piano di difesa della città dall'esercito francese. Nei giorni confusi seguiti alla caduta della Repubblica fu incaricato dal comitato di sanità della Municipalità di risolvere i problemi di approvvigionamento di acqua della città (estate 1797) e, malgrado il cambiamento di regime, continuò nella sua professione.
Nel 1800 fu incaricato da M. Molin, del Tribunale della sanità, di elaborare un piano per approvvigionare Venezia di acqua potabile in caso di blocco militare. Egli realizzò, con successo, lo scavo di quattro vasche per l'acqua dolce in località Quattro Cantoni di S. Maria Elisabetta del Lido. Nel 1811, in occasione del crollo della volta che copriva il rio di S. Domenico (trasformato nella strada Eugenina), pubblicò uno scritto del Temanza (Degli archi e delle volte e Regole generali dell'architettura civile. Opera e studio dell'architetto ed ingegnere Tommaso Temanza 1733, Venezia).
Nell'ottobre 1808 G. Paradisi, direttore generale delle Acque e strade e dei porti marittimi del Regno Italico, su sollecitazione dei proprietari terrieri del comprensorio tra Sile e Piave incaricò A.L. De Romanò, direttore, dopo la Restaurazione, delle fabbriche e dei lavori idraulici della Imperial Regia Marina, di riaprire il Businello, un emissario del Sile, e di riportarne le acque in laguna. L'operazione contrastava con il principio fondamentale della politica idraulica di Venezia, la diversione di tutti i fiumi dalla laguna. Nel 1815 il De Romanò, in un Prospetto delle conseguenze derivate alle lagune di Venezia ai porti, ed alle limitrofe provincie dopo la diversione de' fiumi (Venezia 1815), attaccò le operazioni di diversione dei fiumi suggerite già in antico dal tecnico idraulico Cristoforo Sabbadino, e quindi tutta la storia idraulica veneziana. Inoltre dichiarò di aver rilevato moltissimi errori nella mappa della laguna del 1762-63, in base alla quale era stato chiuso l'accesso del Sile alla laguna mediante il sostegno del Businello. L'attacco colpiva sia l'allontanamento dei fiumi dalla laguna, il principio fondante la tradizione idraulica di cui il L. era sostanzialmente l'erede e il difensore, sia la sua professionalità. L'anno successivo egli rispose duramente all'attacco con un Prospetto di verità dei fatti (in Gazzetta privilegiata di Venezia, 1816, n. 129), a cui accluse due scritti del Temanza sui tagli fatti dai Padovani al Brenta nel 1143, letti nell'Ateneo veneto nel 1813 e 1814. Accusò apertamente il critico anche di avere millantato relazioni con Giacomo Nani. La polemica continuò con una replica del De Romanò (Confutazioni al signor ingegnere L. al di lui opuscolo intitolato Prospetto di verità, Venezia 1816), una controreplica del L. (Riflessi di verità, in Gazzetta privilegiata di Venezia, 1816, n. 159) e, ancora da parte sua, con una integrazione ai documenti presentati nel Prospetto, intitolata Seconda parte dei documenti che più provano le ree conseguenze derivate e che sarebbero per derivare( per la commistione delle acque dolci con le salse di Pietro Lucchesi ingegnere( con la dissertazione sopra l'antichissimo territorio di S. Ilario nel 1761 dall'ingegnere alle acque Temanza (Venezia 1817).
Allo scontro parteciparono numerosi e autorevoli studiosi veneti, fra i quali Pietro Paleocapa. Dopo i proprietari terrieri trevigiani, intervennero pubblicamente nel 1816 quelli padovani, rappresentati dal conte Carlo Leoni, chiedendo l'immissione nella laguna anche del Brenta (N. Leoni, Voti per la restituzione de' fiumi Brenta e Bacchiglione ed altri minori nell'antico corso ed in laguna, Padova 1816). Ormai il principio della diversione dei fiumi dalla laguna, per secoli indiscusso, era destinato a crollare, ma non così la tradizione dottrinaria e professionale degli idraulici della Repubblica, così coerentemente difesa ed esaltata dal L. e da altri idraulici veneziani quali Artico e Paleocapa (il cui intervento sulla questione fu l'Esame delle opinioni di Benedetto Castelli e di Alfonso Borrelli sulle lagune di Venezia, aggiuntavi un'appendice sulla riapertura del Businello, Venezia 1819). Come ultimo atto in coerenza con quella tradizione il L. pubblicò a Venezia nel 1818 due scritti: Ragionamenti tenuti da Sabbadino ingegnere dell'Uffizio delle acque ed un filosofo intorno alle lagune di Venezia ed ai fiumi che fluviano in essa e Il Businello del Sile e i suoi effetti. Lettera di Pietro Lucchesi al professor A. Z.
Il L. morì a Venezia il 13 dic. 1823.
Materiali della sua attività rimangono nell'Archivio di Stato di Venezia (una mappa del litorale di Chioggia in Misc. mappe, 79, n. 103; una Idrografia dei canali tra i porti di Malamocco e S. Nicolò, 1803, ibid., n. 279; diverse relazioni degli anni 1790-92 sono nel fondo Savi e esecutori alle acque).
Fonti e Bibl.: G. Festari, Giornale di viaggio nella Svizzera fatto da Angelo Querini senatore veneziano nel 1777 descritto dal dottore Girolamo Festari di Valdagno, Venezia 1835, pp. XXVI s.; C. Vacani, Della laguna di Venezia e dei fiumi nelle attigue provincie, Firenze 1867, pp. 200, 253; L. Miliani, Le piene dei fiumi veneti e i provvedimenti di difesa. L'Agno, Guà, Frassine, Fratta, Gorzone, il Bacchiglione ed il Brenta, Firenze 1939, p. 205; R. Cessi, Evoluzione storica del problema lagunare, in Atti del Convegno per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia,( 1960, Venezia 1960, pp. 23-64; M. Brusatin, Venezia nel Settecento. Stato, architettura, territorio, Torino 1980, pp. 128 s.; Il territorio della Brenta, a cura di M. Zunica, Padova 1981, p. 54; Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Ingegneria e politica nell'Italia dell'Ottocento: Pietro Paleocapa. Atti del Convegno di studi,( 1988, Venezia 1990, pp. 120, 128; S. Ciriacono, Acque e agricoltura. Venezia, l'Olanda e la bonifica europea in età moderna, Milano 1999, pp. 201 s. e n.; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, II, pp. 281-283 (E. Cicogna).