LIPPOMANO, Pietro
, Ultimo dei quattro figli maschi del patrizio Girolamo di Tommaso e di Paola Vendramin di Bartolomeo del doge Andrea, nacque a Venezia nel 1504. A quella data il padre stava faticosamente uscendo dal fallimento del suo banco, verificatosi cinque anni prima; era inviso a molti e non più giovanissimo, per cui le possibilità di ricostruirsi una vita puntando sulla carriera politica erano alquanto limitate: da qui la scelta di sfruttare le aderenze romane del fratello Nicolò, protonotaro nella Curia pontificia e futuro vescovo di Bergamo.
Era ancora un bambino, il L., quando - grazie alle pressioni paterne - ottenne la titolarità di un canonicato a Padova (21 febbr. 1509), seguita dal regresso dell'abbazia di Ossero (5 nov. 1515); e intanto si assicurò una solida cultura umanistica alla scuola del riminese Giovanni Aurelio Augurelli che, dal 1509 al 1515, gli fu maestro. Dal 1516 al 1519 il L. passò a studiare diritto canonico a Bologna, dove suo compagno di studi fu Vincenzo Contarini, fratello del più celebre Gasparo. Quest'ultimo manifestò al L. la sua amicizia in più occasioni: nell'autunno del 1517 gli affidò uno scritto sul discusso De immortalitate animae di Pietro Pomponazzi e qualche mese prima gli aveva dedicato il De officio episcopi, in occasione della nomina del L., allora tredicenne, a vescovo di Bergamo (1° luglio 1517).
Il trattato propugnava tematiche savonaroliane ed erasmiane e condannava il malcostume della latitanza dei vescovi dalla diocesi esortando alla carità verso i poveri, alla repressione del lusso femminile, allo zelo pastorale, all'amore per la cultura; sorprende tuttavia il contrasto tra gli auspici contariniani e le modalità della nomina del L., avvenuta proprio grazie a uno degli abusi più gravi della Chiesa, ossia la rinuncia di un beneficio in favore di un familiare. La diocesi bergamasca, infatti, era stata trasmessa al L., sino allora niente più che semplice chierico della Camera apostolica, dallo zio Nicolò. Inoltre egli era ancora ben lontano dal possedere il requisito dell'età canonica, pertanto dovette assumere un coadiutore, nella persona del bolognese Gabriele Castelli; per di più Nicolò aveva riservato a un altro nipote una pensione di 300 ducati sulla mensa episcopale. Si spiega forse, alla luce di questa situazione, la richiesta - peraltro respinta - avanzata dal L. al capitolo bergamasco del "sussidio caritativo", concesso di solito a neoeletti particolarmente indigenti.
L'ingresso a Bergamo ebbe luogo il 12 genn. 1520. Il nuovo vescovo si dimostrò attivo: riuscì a ottenere un giubileo per la città, in occasione della settimana santa, quindi diede inizio alla prima delle tre visite pastorali che avrebbe condotto nella diocesi, a partire dall'estremo lembo della pianura per giungere sino alle più inospitali parrocchie montane. Così il L. anticipava in qualche modo le istanze conciliari e non mancava di accumulare nuovi benefici: nel maggio 1521 ottenne in commenda la prepositura di Galgario.
Fu determinante per la carriera del L. l'influenza del padre, che si era stabilito a Roma; grazie alle sue amicizie curiali, alla fine del 1521 il L. era tra i possibili nuovi cardinali, ma la morte del papa Leone X vanificò il progetto. Il successore, Adriano VI, non era uomo da apprezzare più di tanto certe pratiche, per cui il L. preferì restarsene nella sua diocesi durante quel pontificato. L'elezione, avvenuta nell'autunno 1523, di un altro papa mediceo mutò la situazione: scrive Sanuto che dall'indomani dell'ascesa al pontificato, Clemente VII "ha tolto a star in palazzo domino Pietro Lippomano episcopo di Bergamo […], che lì a Roma lui e suo padre si ritrova" (XXXV, col. 223). Negli anni che seguirono, il L. rimase presso la S. Sede, occupato soprattutto ad accumulare benefici: il 3 ag. 1524 suo padre lo costrinse a rinunciare al vescovato di Verona, offertogli dal papa, perché meno remunerativo di quello bergamasco, ma nove giorni dopo gli ottenne l'abbazia bresciana dei Ss. Gervasio e Protasio, il 18 dic. 1525 il giuspatronato dell'abbazia di S. Cipriano a Murano e il 12 marzo 1526 la Signoria lo confermò nel beneficio di Asola, nel Bresciano.
Un anno dopo, il dramma consumatosi a Roma a opera dei lanzichenecchi comportò una svolta nella vita del L.; durante il sacco si rifugiò in Castel Sant'Angelo, mentre suo padre fu fatto prigioniero e di lì a poco morì. Il L. riuscì a cavarsi d'impaccio senza particolari danni e riparò a Venezia, dove gli scrisse il cugino Luigi, il 7 genn. 1528 da Orvieto, dandogli notizie sulla miseria di quella che forse era stata la più sfarzosa corte europea: "Li vescovi vanno a piedi con un capeleto in testa et mantellini frusti, et li cortesani biastemano Idio" (Sanuto, XLVI, col. 488).
Quell'inverno fu ovunque durissimo e a Venezia accorsero torme di derelitti sospinti dalla carestia; in quella temperie cominciò l'opera di Girolamo Miani, che il L. conobbe insieme con Gaetano Thiene e Gian Pietro Carafa nella sede della Confraternita di S. Nicola da Tolentino, dove forse il L. vagheggiò il proposito di un rinnovato impegno pastorale. Il progetto avrebbe preso corpo soltanto due anni dopo, allorché (29 giugno 1530) il L. raggiunse l'età prevista per essere consacrato vescovo; qualche mese dopo, il 15 ottobre, era ospite di Gian Matteo Giberti, a Verona, insieme con il cardinale Giovanni Salviati; di lì i tre prelati raggiunsero Venezia, dove furono ospitati nel monastero della Trinità, retto da un fratello del L., Andrea.
Queste amicizie e queste conversazioni avrebbero dato vita alla più celebrata realizzazione dell'attività pastorale del L.: nella primavera 1532 scrisse da Bergamo a Carafa, chiedendogli aiuto per attivare alcune opere di carità nella diocesi. Carafa gli inviò Miani, che nell'ospedale di S. Maria Maddalena raccolse orfani, malati, vedove, meretrici, fornendo loro istruzione e lavoro; con le pastorali del 12 luglio 1533 e 1° sett. 1535 il L. offrì riconoscimento canonico alla Congregazione e la aiutò a organizzare la sede di Somasca, nell'estremo lembo della diocesi.
Nel 1536 il L. diede inizio alla seconda visita pastorale, che non condusse di persona, ma affidò al vicario Marco Antonio Regino; nello stesso anno ottenne un canonicato a Sebenico, in Dalmazia. Nel 1537, probabilmente dietro informazioni di Regino, il L. pose in atto una dura repressione contro i luterani, culminata nel processo all'avvocato Giorgio Medolago e al libraio Pasino da Brescia; nello stesso tempo organizzava processioni, enfatizzava scenografie liturgiche, convocava celebri predicatori domenicani: era, in fondo, la prassi tanto cara ai gesuiti, dei quali il fratello del L., Andrea, era un acceso sostenitore. Inoltre vi era nell'aria il concilio, che nel maggio 1538 si aprì, benché per brevissimo tempo, a Vicenza; il 23 settembre il L. ottenne come coadiutore il cugino Luigi, vescovo titolare di Modone, e nella primavera del 1540 iniziò la terza e ultima visita pastorale, mentre il papa Paolo III approvava la Congregazione dei somaschi.
Il 18 febbr. 1544 il L. fu traslato a Verona, ma la sua attività pastorale appare conclusa con l'esperienza bergamasca, evidentemente frutto di circostanze eccezionali: trasferitosi a Roma, non prese parte ai lavori del concilio Tridentino (delegò il cugino coadiutore), né ebbe cura della diocesi, la cui amministrazione affidò al fratello Giovanni, come lamentava il cardinale Marcello Cervini (futuro papa Marcello II) in data 19 genn. 1547: "intendo che la detta chiesa di Verona maxime circa lo spiritual non è punto bene administrata. Il che procede, come io penso, non dal vescovo, quale ho per prelato de bona conscientia, ma più presto da ms. Giovanni suo fratello, a chi havendone S.S. rev.ma lassato totalmente il governo, egli attende più a cavarne frutto che altro" (Buschbell, p. 228).
Forse anche per togliere questo scandalo da una diocesi che stava proprio sotto gli occhi dei padri conciliari, Paolo III pensò di allontanare il L. nominandolo nunzio in Scozia. La morte del sovrano inglese Enrico VIII (28 genn. 1547), seguita di lì a poco da quella del re francese Francesco I, aveva infatti aperto nuove prospettive di riconciliazione tra il Papato e l'Inghilterra. La partita, però, si giocava nella cattolica Scozia, dove già nel 1543-44 era stato nunzio un altro influente veneziano, Marco Grimani. Il L. partì da Roma nel dicembre 1547 e giunse alla corte del re di Francia Enrico II verso la metà di gennaio del 1548. Vi si trattenne quattro mesi, nell'intento di favorire il matrimonio di Maria Stuarda con il delfino di Francia. Contestualmente a queste manovre politico-diplomatiche, la S. Sede fornì aiuti militari e finanziari agli Scozzesi, che avevano subito ripetuti rovesci a opera degli Inglesi.
Se il L. non poteva contare su precedenti esperienze diplomatiche, non mancava però di appoggi e conoscenze in quei paesi; era zio, infatti, di Francesco Bernardo, figlio di Benedetto e di una sorella del L., Morosina. I Bernardo erano mercanti e banchieri ricchissimi, assai influenti in Inghilterra, e proprio a Francesco il defunto Enrico VIII aveva affidato la trattativa di pace con Francesco I, conclusa il 7 giugno 1546, e successivamente il compito di tenere i contatti con il nunzio in Francia, Girolamo Dandini. Pertanto il L. poteva disporre di cospicue aderenze finanziarie e politiche, al di qua e al di là della Manica.
Partito da Brest il 26 maggio 1548, qualche giorno dopo era a Edimburgo; quando giunse alla corte scozzese, però, era gravemente ammalato: nei dispacci degli ambasciatori pontifici e veneti nei mesi di giugno-luglio si coglie un'ansia crescente per le sue condizioni di salute. La loro corrispondenza non riporta però la data di morte del L., benché la maggior parte delle fonti indichi il 9 ag. 1548; né si sa dove fu sepolto, a causa delle molte devastazioni di chiese e monasteri operate dai protestanti. È possibile che la sua tomba fosse collocata nella cappella reale di Holyrood, a Edimburgo, o nelle vicine chiese di St. Giles o dei Greyfriars.
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