LANTE, Pietro
Figlio di Michele, nacque a Pisa con tutta probabilità tra il 1330 e il 1335; scarse e non sempre verificabili sono le notizie intorno alla famiglia, per lo più ricavabili indirettamente da manoscritti perduti ma ricordati nelle Memorie istoriche di più uomini illustri pisani; il nome del casato appare talvolta accompagnato nelle fonti dall'appellativo "da Vico", verosimilmente in ricordo della provenienza dall'area dell'omonimo castello sito nel distretto pisano.
La famiglia aveva dato anziani al Comune di Pisa a partire dai primi decenni del Trecento, nelle persone di Michele del Lante (1320), Ceo del Lante (1338), Chelino di Ceo (1350), Giovanni di Ceo (1358). Il padre, notaio, aveva ricoperto in Pisa importanti cariche, dall'anzianato all'esercizio di uffici diplomatici fino al cancellierato della Repubblica, che aveva detenuto senza interruzione per una quindicina d'anni tra il 1330 e il 1344 circa; partigiano e fedele di Bonifazio Novello Della Gherardesca, proprio nella veste di cancelliere degli Anziani aveva rischiato la vita in una congiura ordita contro quest'ultimo nel 1335.
Non rimangono che notizie scarse della giovinezza del L. e in particolare della sua formazione di giurisperito; si addottorò comunque presso lo Studio pisano, probabilmente alla fine degli anni Cinquanta; il titolo di legum doctor gli è attribuito dai documenti a partire all'incirca dal settimo decennio del Trecento (è citato come "dominus" nel Breve vetus… all'atto della sua nomina ad anziano nel 1365).
Il primo incarico istituzionale è attestato da documenti in cui risulta che egli svolse a Lucca funzioni di castellano della fortezza cittadina dell'Augusta e capitano delle masnade a cavallo e a piedi, un incarico molto importante. In quella città, soggetta dal 1342 al dominio pisano, era stato inviato, tra il dicembre 1362 e il maggio 1363, con Andrea Scarsi e Conte Aiutamicristo, esponenti di famiglie di spicco all'interno del gruppo dirigente. È certo che quando ricoprì per la prima volta l'anzianato - nel 1365, nel corso del dogato di Giovanni Dell'Agnello, per il quartiere di Mezzo dove risiedeva - egli aveva almeno trent'anni, secondo la lettera delle disposizioni pisane in materia. All'epoca della signoria di Dell'Agnello il L. è nuovamente ricordato nelle carte lucchesi e a Lucca svolse nel 1366, stavolta con la qualifica esplicita di iuris professor, funzioni vicarie per conto di Gherardo Dell'Agnello, rettore di quella città.
A Pisa una provvisione degli Anziani databile al 1370 ricorda inoltre che egli fu chiamato "ad legendum et super legendo in civitate Pisana quibuscumque audire volentibus lecturam ordinariam Digesti Veteris" (Memorie istoriche, pp. 171 s.), con il salario di 100 fiorini d'oro; resta memoria anche di una sua funzione di consulente per l'interpretazione e il commento degli Statuti cittadini. Sarà eletto nuovamente anziano nel 1370 e nel 1375.
In quegli anni fu frequentemente membro di ambascerie o consulente nell'attività degli organi cittadini di governo; è probabile che cominciasse allora a godere dei favori della parte dei Gambacorta, che andavano consolidando la loro posizione in città. Ancora a Lucca, nel primo semestre del 1368, esercitò mansioni di rettore per conto del Comune di Pisa, insieme con Giovanni dei Benedetti e Pietro del Fornaio. In occasione dell'arrivo dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo a Lucca, nel settembre del 1368, il L. fu tra i cittadini pisani delegati a riceverlo e accompagnarlo nella residenza prescelta; in quella circostanza la delegazione gli chiese l'autorizzazione al rinnovo straordinario del Consiglio degli anziani. Ottenuto il permesso, gli ambasciatori tornarono in città, dove si mise mano alla riforma del Collegio (in seguito, nel giugno del 1369, al L. fu corrisposto il compenso per una missione, probabilmente quella appena ricordata, svolta a Lucca "ad Cesariam maiestatem", dove si era trattenuto per sei giorni).
Nel 1369 un episodio concomitante all'ascesa al potere di Pietro Gambacorta dimostra quanto dovessero essersi fatti stretti i rapporti del L. con quest'ultimo e con la fazione dei bergolini. Il momento era assai delicato: nella notte fra il 3 e il 4 aprile il Gambacorta, coadiuvato da alcuni dei suoi sostenitori, aveva rovesciato il governo cittadino, costituito da esponenti della parte raspante, prendendo le redini di un potere personale destinato a tradursi rapidamente in signoria. Nell'intento di mitigare la reazione e soprattutto di placare la prevedibile ira di Carlo IV, che si trovava a Lucca, un'ambasceria di cittadini, tra i quali il L., fu incaricata di raggiungere l'imperatore, anche allo scopo di consegnargli i 12.000 fiorini da questo richiesti a Pietro Gambacorta nel marzo precedente per consentire il rientro suo e dei suoi consorti. I componenti dell'ambasceria furono imprigionati e comunque la legazione non trovò udienza presso Carlo IV.
Racconta un anonimo cronista pisano che "a dì IV d'Aprile, la mezedima dopo lo romore, messer Piero Gambacorta con quelli della sua parte mandònno all'imperadore ambasciadori, li quali e' fecie mettere in prigione; li quali cittadini funno questi, cioè messer Piero di messer Albizo giudice, messer Jacopo del Fornaio giudice, messer Piero dell'Ante [scil.: del Lante] giudice, messer Manfredi Buzaccarino cavalieri, messer Guido da Caprona cavalieri, lo conte Gualando da Castagneto, Piero del Fornaio mercante, Conte Ajutamicristo mercante, messer Francesco Griffo, ditto Bambacino, nobile, Toneo Grossulini mercante, Nieri da Santo Pietro mercante, ser Francesco di Geremia, notaio. Lo ditto imperadore non li volse intendere a nulla, e fecieli mettere in prigione con grandi minacci di farli tagliar la testa" (Cronica di Pisa, col. 1051). Il cronista Ranieri Sardo che, pur essendo contemporaneo ai fatti narrati, nella sua Cronaca di Pisa non ricorda il L. tra gli ambasciatori - restringendo in verità l'elenco a soli sette nomi -, sentenziò che "in breve, lo imperatore non volze mai ricievere nostra lettera né inbasciata" (p. 186).
L'imperatore Carlo IV, anzi, nei giorni successivi al 4 aprile inviò i propri soldati contro il territorio pisano e inoltre, ciò che più di tutto generò malcontento nei Pisani, dichiarò la città di Lucca libera dalla loro dominazione (8 apr. 1369). Gli ambasciatori, come risulta dai registri della Cancelleria pisana (che anticipa di qualche giorno il loro rientro rispetto alla tradizione cronistica pisana, pressoché unanime su questo punto), furono trattenuti per ben 47 giorni: l'ira di Carlo IV si tradusse nel loro imprigionamento e nel sequestro dei loro beni: cavalli, coltelli, speroni; non furono loro risparmiate neppure sofferenze fisiche, tanto che uno di essi sarebbe morto di lì a poco in conseguenza delle violenze subite.
Così l'anonimo cronista pisano racconta ancora del loro ritorno in Pisa: "… come furono alla porta al Parlascio, tutti si scalzònno e, cavatasi la berretta di capo e in gonnella, con lo capestro al collo e uno candelo di libra in mano, entrarono drento e tutti insieme prima se ne andarono in el detto modo alla chiesa di S. Maria del Ponte Nuovo, e lì offersero li detti candeli con grande riverenzia e posonno li capestri; e questo feceno, che si votònno, se ellino campassero, di andare alla ditta chiesa in quel modo" (Cronica di Pisa, col. 1055).
All'epoca del dominio di Pietro Gambacorta il L. fu chiamato molto frequentemente a partecipare a commissioni di sapienti consultati su varie materie: dalle ambascerie inviate al pontefice, ai rapporti con Firenze (di questa attività rimane, nella frammentaria documentazione pisana, ampia attestazione soprattutto per l'anno 1376); il L. era dunque nel novero di coloro che erano realmente deputati all'attività decisionale nel governo cittadino. Il 24 ag. 1370, insieme con Bonifazio dei Sismondi, Buonaccorso di Francesco Gambacorta, Andrea di Pietro Gambacorta e Benegrande dei Rossi, fece parte di un'ambasceria inviata a papa Urbano V, che era in procinto di passare per il territorio pisano "non sine magno misterio et legitimis causis" (Arch. di Stato di Pisa, Comune, A.79, c. 12; il papa, in viaggio verso Avignone, effettivamente sarebbe giunto al Porto Pisano l'8 settembre successivo). Nel 1377 fu chiamato a deliberare sulla delicata situazione che si era venuta a creare in seguito alla scomunica comminata da Gregorio XI ai Pisani, in quanto alleati dei Fiorentini, in seguito alla guerra degli Otto santi; già all'indomani dell'ingresso in Roma del papa (17 genn. 1377), comunque, il L. era stato lì inviato per trattare di una lega fra le città di Toscana e di Lombardia.
L'incrinarsi delle fortune del dominio del Gambacorta non dovette essere estraneo alla decisione del L. di allontanarsi da Pisa per trasferirsi, nel corso del 1377, a Roma, dove doveva aver già stretto rapporti con la corte papale. Nel 1378 fu avvocato concistoriale; risale quindi al 1380 la prima notizia della sua designazione alla prestigiosa carica di senatore di Roma (che avrebbe ricoperto ancora una volta negli anni successivi), conferitagli da Urbano VI; in quella veste egli pronunciò, il 1° dic. 1380 e ancora il 2 sett. 1381, una sentenza di conferma degli Statuti dei mercanti della città di Roma; è verosimile che avesse conservato il titolo di senatore fino alla morte di Urbano VI, nel 1389. Dall'epigrafe sepolcrale si evince che egli fu anche nominato, quasi certamente in epoca successiva alla cessazione del mandato di senatore, "mareschalcus summi pontificis". L'assunzione al soglio pontificio di Bonifacio IX non comportò per il L. la fine delle buone relazioni con la Curia; fu infatti inviato dal nuovo papa all'imperatore Venceslao (non è noto l'argomento di quella missione) e proprio da questo - probabilmente in occasione di quell'ambasceria - il 14 ott. 1399 venne uno dei più alti riconoscimenti alla carriera del L.: con un diploma, diretto "nobili viro Petro Lantis de Pisis, legum doctori, Apostolicae Sedis nuncio […], nostro in Romana Curia advocato fideli dilecto" (ricordato in Memorie istoriche, pp. 183 s.), l'imperatore gli concesse l'investitura della signoria di Massa Lunense, con le ville di San Vitale e di Colle, dichiarando nobili lui e i suoi successori e attribuendo il privilegio di aggiungere al collo delle tre aquile comprese nello stemma gentilizio una corona reale.
Non si hanno attestazioni relative ai possessi immobiliari del L.; ancora negli anni 1427-28, tuttavia, i suoi diretti discendenti detenevano proprietà in varie zone del contado pisano, tra cui Vico; proprietà non estese, pare, ma quantitativamente abbastanza numerose. Insieme con il fratello Francesco aveva fondato nella chiesa cattedrale, in epoca non nota ma comunque precedente al trasferimento a Roma, una cappella intitolata ai Ss. Simone e Giuda. Aveva sposato in Pisa Margherita Gualandi, da cui ebbe tre figli, Luca, Agostino e Bartolomeo.
Morì a Roma nel 1403 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Aracoeli; la sua immagine, ritratta in bassorilievo in abito di senatore e corredata dello stemma gentilizio e dello stemma del Senato romano, è accompagnata da un'epigrafe che ne ricorda il doppio mandato senatoriale e quello di maresciallo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Curia de' rettori, nn. 27, pp. 119 s.; 29, p. 1; 30, p. 1; Arch. di Stato di Pisa, Comune, A, nn. 37, c. 479; 65, cc. 29v, 30v, 43; 66, c. 39v; 67, cc. 2-4, 6-8, 10, 13v-17, 19, 21-25, 27, 38; 142, cc. 33v, 35; 145, cc. 26v, 31v, 34, 60; Firenze, Biblioteca nazionale, Manoscritti palatini, 837, cc. 72-73; Cronica di Pisa di anonimo, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, coll. 1047-1072; Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, III, Pisa 1792, pp. 147-203; P. Tronci, Annali pisani, IV, Lucca 1829, p. 75; R. Roncioni, Istorie pisane, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1844, t. 6, parte 1a, pp. 862-925, 939; Breve vetus, seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum 1289-1409, a cura di F. Bonaini, ibid., s. 1, 1845, t. 6, parte 2a, pp. 732, 738, 744; R. Sardo, Cronaca di Pisa, a cura di O. Banti, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XCIX, Roma 1963, pp. 88; 185 s.; F.A. Vitale, Storia diplomatica de' senatori di Roma, II, Roma 1791, pp. 336-339; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV. in der Zeit seiner zweiten Romfahrt, I, Prag 1930, pp. 249, 388; A. Salimei, Senatori e Statuti di Roma nel Medioevo: i senatori. Cronologia e bibliografia dal 1144 al 1447, Roma 1935, pp. 145 s.; Il Catasto di Pisa del 1428-29, a cura di B. Casini, Pisa 1964, pp. 257 s.; Diz. biogr. degli Italiani, XXXVII, pp. 49-55; LII, pp. 19-22.