ISABELLO, Pietro (Pietro Abano)
Non si conoscono né il luogo né la data di nascita, tradizionalmente collocata nel penultimo decennio del XV secolo, di questo architetto, figlio di maestro Ambrogio, originario della zona del Brenta, e attivo a Bergamo nella prima metà del XVI secolo. La presunta origine veneta del padre ha portato a ipotizzare che Abano, l'altro nome con cui l'I. è conosciuto, potesse indicare il suo paese d'origine, non lontano appunto dalle rive del Brenta (L. Angelini, p. 131).
Secondo uno studio condotto da Meli, che cita diversi documenti omettendone però la fonte, il nome dell'I. fu legato, per tutto il secondo decennio del XVI secolo, alla ricostruzione della antica chiesa di S. Spirito a Bergamo bassa.
Sulla questione della paternità della chiesa, sebbene fosse stata proposta una possibile attribuzione a Pietro Cleri, poco conosciuto architetto bergamasco, la maggioranza degli studiosi era già concorde nell'attribuirla all'I., riconoscendola però, su base stilistica, come opera matura dell'architetto. Secondo Meli, che riporta a suffragio della sua tesi la trascrizione di un atto notarile del 1535 in cui si legge "magistro petro quondam magistri ambroxij Cleri de Jsabellis architecto", Pietro Cleri non sarebbe altri che l'I. (p. 21). Se nuove conferme giungessero ad avvalorare questa ipotesi si potrebbe pervenire a una generale revisione delle opere da attribuire alla sua attività.
Sembra comunque molto probabile che sia da attribuire all'I. la nuova chiesa di S. Spirito, realizzata nello stesso luogo della precedente dopo la sua demolizione, con una pianta rettangolare scandita da dodici colonne decorate con rilievi e addossate alle pareti laterali, sulle quali si aprono cinque cappelle per lato.
Proprio il progetto e la costruzione di parte di queste cappelle, le cinque allineate sul lato destro, dovrebbero averlo impegnato tra il 1512 e il 1519. Furono i fratelli Cassoti Mazzoleni, mercanti bergamaschi, i primi a commissionare, nel 1512, a maestro Pietro del fu Ambrogio "ingeniarius peritissimus", la loro cappella di famiglia, posta al centro del lato destro della chiesa. Due anni dopo, l'I. ottenne dal priore l'autorizzazione a proseguire i lavori e a costruire le restanti cappelle in conformità al suo disegno (Meli, p. 25).
Al 1516, come ricorda una lapide murata nella fronte della chiesa, risale l'inizio dei lavori di costruzione del monastero di S. Benedetto, la cui paternità è attribuita dalla stessa iscrizione a "Petrum Abanum". Dell'intero complesso, per le qualità architettoniche e decorative e per l'uso sapiente delle proporzioni che li contraddistinguono, sono stati riconosciuti come opera dell'architetto la chiesa e i due chiostri.
La chiesa, costruzione a croce greca sormontata da una cupola ottagona, mostra all'esterno l'insolita particolarità di avere, sui due lati contigui, due facciate perfettamente identiche di cui una priva di aperture. Altrettanto atipico in area bergamasca, ma presente nella tradizione locale lombarda del primo Rinascimento, è l'utilizzo di sagome di cotto ornato nelle trabeazioni dei due ordini delle facciate, come pure nei frontoncini di coronamento. L'uso del cotto torna anche nel chiostrino d'ingresso al monastero, pregevole per la qualità scultorea dei suoi ornati che decorano la totalità degli elementi dell'impianto architettonico. Analoga eleganza e cura delle proporzioni si ritrovano nelle membrature architettoniche del chiostro grande sviluppato su due ordini sovrapposti di logge ad archi. I lavori furono probabilmente conclusi nel 1522, come ricorda una seconda data segnata nel fregio del primo ordine di facciata della chiesa (L. Angelini, pp. 132-134).
Nel settembre del 1523 l'I. si impegnò con i fratelli De Lolmo a progettare e costruire, nel termine di tre anni, il palazzo di famiglia, nella parte alta della città (Tassi, p. 133).
Al terzo decennio del secolo dovrebbe risalire pure la costruzione del non più esistente campanile della chiesa di S. Lucia, nella città bassa, che mostrava all'interno l'iscrizione: "Petri Abani seu Isabelli architecti Bergamo insigna" riportata dal Tassi (p. 135).
Nel 1525 l'architetto fu incaricato dal conte D. Tassi di eseguire il disegno e il modello per la cappella di famiglia, la prima alla sinistra dell'altare maggiore nella chiesa di S. Spirito; l'opera fu terminata solo nel 1541, dopo la morte del committente (Meli, p. 26).
Un contratto, siglato nel 1536 con R. Del Zoppo, presidente dell'ospedale grande di S. Marco, documenta il suo coinvolgimento nell'ampliamento dell'edificio; dalla lettura dell'atto si evince che la nuova annessione, caratterizzata da un piano terra loggiato, si sarebbe dovuta realizzare sul lato meridionale della costruzione preesistente. Il complesso, più volte ampliato nel corso dei secoli, fu completamente demolito nel 1935.
All'estate del 1538 risale l'impegno, contratto tra l'I. e la città di Bergamo, per sovrintendere al restauro dell'antico palazzo della Ragione; il ritrovamento del registro contabile dei lavori nell'edificio ha consentito di fare nuova luce sulla natura e l'entità di tale intervento, sgomberando il campo dai numerosi equivoci che la storiografia tradizionale puntualmente ribadiva (Russell, pp. 6 s.).
Le prove documentarie raccolte, oltre a posticipare cronologicamente l'inizio dei lavori di circa un ventennio, hanno destituito di qualsiasi fondamento la tesi che il palazzo fosse stato distrutto o gravemente danneggiato dall'incendio spagnolo del 1513; sembra più probabile che la costruzione, già a inizio secolo, si trovasse in uno stato di generale decadenza. L'intervento dell'I., lungi dall'essere considerato una ricostruzione, andrebbe allora inteso come un vero e proprio restauro, consistente nella rimozione delle aggiunte risalenti ai secoli XIV e XV e nel tentativo di restituire all'edificio un aspetto simile a quello originario. I lavori cominciarono dal prospetto settentrionale del palazzo che fu modestamente reintegrato con il rifacimento della grande apertura centrale e il rimontaggio della originale trifora trecentesca, posta alla sua destra; alla fine dell'anno, compiuta questa facciata, il cantiere si spostò sul lato meridionale. I documenti specificano l'entità dei lavori, che si protrassero per tre anni, e constarono nel completo smontaggio della facciata e nella sua ricostruzione con l'utilizzo, dove possibile, dei conci originali (ibid., p. 15). Completati i due prospetti si passò a lavorare sulla copertura e l'I. si impegnò a fornire le sette grosse travi per la tessitura del tetto i cui pagamenti sono registrati a partire dal maggio 1543. Con il nuovo anno si cominciò a lavorare al pianoterra dove fu decisa la sostituzione delle antiche colonne ottagone con quelle nuove in stile dorico e il conseguente rimodellamento delle volte di sostegno; i compensi riscossi dall'architetto dimostrano che anche questa fase dei lavori fu piuttosto complicata e durò circa due anni, sovrapponendosi parzialmente a quella successiva che riguardò la sistemazione del grande salone al piano nobile, riportato alle forme originarie. Il 3 febbr. 1546 fu effettuato a suo nome il primo pagamento per i lavori di pavimentazione della sala che costituiva probabilmente l'ultimo degli interventi previsti.
Nell'estate del 1546 l'I. si trasferì a Orzinuovi, in terra bresciana, per attendere a non meglio precisate opere di fortificazione militare su incarico della Repubblica di Venezia, e per questo nominò il figlio Leonardo suo procuratore, con l'incarico di seguire per suo conto i lavori in città (Venturi, p. 733).
Restano da analizzare alcuni edifici tradizionalmente attribuiti all'I. che, pur privi di adeguati riscontri documentari, mostrano moduli stilistici e architettonici certamente confrontabili con quelli delle sue realizzazioni documentate.
Il cortile del palazzo Grataroli, ora De Beni, in via Pignolo a Bergamo bassa, buon esempio di architettura rinascimentale bergamasca, fu costruito, secondo la data scolpita nel piedistallo di una colonna, nel 1515; colonne dai fusti finemente decorati e poste su alti basamenti sostengono una trabeazione, mentre sul parapetto dell'ordine superiore si collocano delle slanciate colonnine concluse dal classico motivo ad archi e da una semplice fascia modanata. L'esistenza di notevoli e concrete affinità nelle proporzioni e nei singoli elementi decorativi del colonnato della loggia con le colonne della navata della chiesa di S. Spirito ha portato la maggior parte degli studiosi a sostenere la paternità dell'I. per questa architettura (L. Angelini, pp. 142 s.).
Analogie simili sono state riscontrate nella chiesa di S. Pietro Martire ad Alzano, paesino della Val Seriana poco distante da Bergamo, in particolare nella zona del presbiterio e delle due cappelle contigue, annessa in periodo rinascimentale all'edificio originario. La costruzione, che secondo un'iscrizione ora scomparsa fu compiuta nel 1529, mostra la stessa cura nell'utilizzazione delle modanature e nei rapporti proporzionali fra i singoli elementi, già verificati nelle altre opere dell'architetto; inoltre, durante i restauri effettuati agli inizi del XIX secolo, furono ritrovati, sotto gli intonaci, dei fregi ornamentali del tutto simili a quelli visibili in una sala del palazzo Grataroli (Fornoni).
Agli stessi anni dovrebbe risalire la costruzione del palazzo Fogaccia, ora conosciuto come "casa dell'arciprete", in via Donizetti a Bergamo alta, tradizionalmente attribuito all'Isabello. La facciata marmorea si compone di tre ordini di lesene separate da alte trabeazioni e concluse in sommità da una serie di mensole sorreggenti la gronda; sull'asse mediano della fronte trova posto, a pianoterra, una finestra architravata preziosamente decorata ai cui lati si aprivano due ingressi arcuati; analoga disposizione al piano nobile, mentre all'ultimo piano una sola grande apertura rettangolare è disposta nella specchiatura delle due lesene centrali. Alla evidente cura che traspare dalla realizzazione dei decori e delle sagome architettoniche tuttavia fa riscontro la presenza di alcune sproporzioni nel disegno d'insieme e di una certa mancanza di euritmia fra i suoi elementi, quella che fece dubitare Venturi dell'effettiva paternità dell'opera (pp. 735 s.).
Si ignora la data precisa della morte dell'I., avvenuta presumibilmente intorno al 1550, dal momento che, in un atto di vendita riguardante il figlio Leonardo, stilato nel 1552, egli risulta essere già morto (L. Angelini, p. 144).
Dai documenti si apprende che due suoi figli ne seguirono le orme professionali: Marcantonio e Leonardo. Marcantonio è noto per aver eseguito, nel 1532, due modelli per rinnovare il presbiterio e il coro della basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo: i lavori vennero realizzati intorno alla metà del secolo, quando l'artista approntò anche alcuni disegni per gli stalli del presbiterio (S. Angelini). Intorno al 1550 Marcantonio risulta essere, in qualità di ingegnere e in compagnia di M. Sanmicheli, al servizio del Ducato di Urbino (Campori).
Più documentata è l'attività di Leonardo, la cui prima citazione risale al 1539 quando figura, in qualità di magister, accanto al padre nel cantiere del palazzo della Ragione e riceve dei pagamenti per alcuni lavori di scultura; a lui spettò il delicato compito del disegno delle nuove colonne doriche da collocare al pianoterra. Nell'agosto del 1544 fu incaricato di eseguire il rilievo e i disegni del trecentesco palazzo del Podestà di Bergamo. Le pergamene autografe rappresentano la pianta del pianoterra e del primo piano del palazzo e furono eseguite in occasione della divisione della proprietà; fu il podestà stesso a ordinare tale divisione di cui fu incaricato l'I. con l'ausilio di G.C. Olmo e P.A. Zonca (Caciagli). A partire dalla primavera del 1546 Leonardo sostituì il padre nei suoi incarichi in città (Russell, p. 29). All'inizio del 1549 le autorità comunali bergamasche lo incaricarono del disegno e della costruzione della fontana pubblica in piazzetta S. Pancrazio nella città alta (L. Angelini, p. 144). Dopo la morte del padre, Leonardo si trasferì a Brescia, dove risiedeva in contrada S. Croce, per sovrintendere, sempre su incarico della Repubblica di Venezia, ai lavori cominciati dall'I. (Tassi, p. 135). Le sue mansioni di architetto e ingegnere della Repubblica veneta sono ribadite anche nel testamento che egli redasse il 23 giugno 1556 (L. Angelini, p. 144).
Fonti e Bibl.: F.M. Tassi, Vite de' pittori, scultori e architetti bergamaschi, I, Bergamo 1793, pp. 131-135; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, p. 21; P. Locatelli, Illustri bergamaschi, III, Bergamo 1879, pp. 237-248; P. Pesenti, Bergamo, Bergamo 1910, pp. 71, 91, 93-95; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, XI, 1, Milano 1938, pp. 733-737; E. Fornoni, Alzano Maggiore, Bergamo 1913, p. 38; E. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, II, Milano 1915, p. 328; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Milano 1940, pp. 360 s.; S. Angelini, S. Maria Maggiore in Bergamo, Bergamo 1959, p. 96; L. Angelini, L'architetto bergamasco P. I. e le sue opere in Bergamo, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, IX (1961), pp. 131-145; A. Meli, P. I., detto Abano, architetto della chiesa di S. Spirito, in Bergamo arte, I (1970), pp. 19-26; M. Caciagli, La pianta del palazzo del Podestà eseguita nel 1544 da Leonardo Isabello, in Archivio storico bergamasco, IV (1984), pp. 265-268; R. Russell, Il palazzo della Ragione tra incendi e restauri, ibid., XV (1995), pp. 6-26, 29; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIX, pp. 233 s.; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, pp. 209 s.