GRASSI (Crassus, de Crassis), Pietro
Figlio di Martino, patrizio milanese di scarse fortune, il G. nacque, verosimilmente a Milano, intorno alla metà del XV secolo, ma le origini familiari potrebbero essere radicate a Castelnovo, da dove proveniva l'omonimo zio, vescovo di Pavia (morto nel 1426).
Da Siro Comi apprendiamo ulteriori notizie sul suo itinerario di formazione, che si sviluppò sotto la guida di illustri esponenti del mondo delle lettere lombardo quali l'umanista Francesco Filelfo, che si era trasferito a Milano dal 1439, Bonino Mombrizio, Cola Montano, Gabriele Pavero Fontana, uno dei propulsori dell'arte della stampa a Milano, e Francesco Dal Pozzo detto il Puteolano, noto per aver promosso gli studi umanistici a Bologna, letterato prestigioso, interprete vigile dei testi, maestro di notevole efficacia capace di fornire un moderno metodo filologico ai propri scolari. Nello scarno profilo biografico tratteggiato dallo stesso Comi si dice pure che il G. riuscì a distinguersi tra i condiscepoli. Studiò poi legge, muovendo i primi passi nella disciplina a Torino e trasferendosi in seguito a Pavia. Nello Studio ticinese si impratichì nel diritto canonico avendo come mentore Giovanni Antonio di San Giorgio, prevosto di S. Giorgio, e si laureò in utroque iure non ancora ventiduenne: promotore era il suo maestro Giasone del Maino, un nome illustre della scienza giuridica dell'epoca, di cui doveva essere anche successore nella cattedra. Nel 1474 veniva cooptato nel locale Collegio dei giuristi.
Presso l'ateneo di Pavia insegnò per lungo tempo mentre per la sua fama ricevette inviti a "leggere" dapprima a Pisa e poi a Padova, accompagnati da offerte di salari elevati (500 filippi), che attestano il grande prestigio conseguito. I rotoli pavesi lo indicano nel 1472 come titolare della cattedra di lectura institutionum come secondo e concorrente di Giasone del Maino, con un salario di 20 fiorini, salito nell'anno successivo a 90: si trattava di un insegnamento per lo più svolto ai primi gradini di una carriera accademica che, nel suo caso, lo vedeva negli anni Ottanta deputato alla lectura ordinaria iuris canonici de mane con uno stipendio, più che triplicato, di 300 fiorini e destinato a salire; nel 1489 gli veniva affidata la lectura ordinaria iuris civilis de mane, ad attestato del suo rango di primo piano come docente, ricompensato con un ulteriore aumento di salario (700 fiorini). Quest'ultima esperienza, stando alle fonti, non doveva durare a lungo se già nel 1490 ritornava a insegnare lectura ordinaria iuris canonici e riceveva ulteriori vantaggi economici fino a raggiungere gli 800 fiorini, somma all'epoca ragguardevole, pagata di solito a talenti riconosciuti; nel 1499 era ancora presente con tale incarico a Pavia, dove continuò forse il suo magistero almeno fino al 1505.
Per gli anni dal 1499 al 1505 mancano infatti i rotoli che offrano prove sicure della sua permanenza; tale lacuna è in parte supplita dai rogiti relativi alle cerimonie di dottorato, dove il G. compare nel Collegio dei docenti.
La lunga permanenza nella città ticinese lo portò, stando alla testimonianza delle fonti, a conseguire la cittadinanza pavese, sì che fu da alcuni annoverato tra gli scrittori di questa città: Giuseppe Antonio Sassi, prendendo spunto dal frontespizio della Lectura Baldi in Codicem, di cui il G. curò l'emendatio per il settimo libro, giunse alla medesima conclusione di una doppia cittadinanza. Come cittadino milanese ma abitante a Pavia il G. è invece ricordato in alcune tabulae risalenti al 1494 mentre in altre del 1525 il figlio Ludovico è indicato come orfano "Magnifici, et Clarissimi Juris utriusque Doctoris Domini Petri Civis Mediolanensis, et Papiensis" (cfr. Argelati).
Sposato a Lucrezia de' Conti Albonese, ebbe quattro figli: Girolamo, Aurelio, Ludovico e Giorgio, che al momento della sua morte erano tutti in età impubere.
Morì presumibilmente a Pavia in data non posteriore al 1505, data dell'edizione a stampa dell'orazione funebre tenuta in suo onore.
Oltre che per alcune repetitiones e consilia l'opera del G. è ricordata per gli interventi di carattere editoriale a supporto della nascente arte della stampa. Una sua repetitio al c. ad sedem del titolo De restitutione spoliatorum delle decretali gregoriane (X.2.13.15) venne pubblicata a Pavia da Francesco de Girardenghi il 28 maggio 1484 (Indice generale degli incunaboli [= IGI], 4382; Gesamtkatalog…, 11336) ed è poi confluita nella raccolta Repetitiones in universas fere iuris canonici (Coloniae Agrippinae 1618, pp. 326a-342b). La trattazione, che si snoda con logica coerenza in uno stile piano, diretto ed efficace, tocca uno dei temi più tormentati, occasione di innumerevoli controversie giudiziarie e spesso fatti oggetto di impegno scientifico da una dottrina aperta agli influssi della pratica: possesso e proprietà, azioni restitutorie e processo, mezzi di gravame a disposizione delle parti sono tutti profili sviscerati con attenzione alle fonti tanto romane quanto di diritto canonico. Anzi la premessa, "pro intelligentia totius tituli", tesa com'è a fornire all'uditorio le prime nozioni fondamentali necessarie per seguire il ripetente nel suo logico approfondimento esegetico, rivela subito la sudditanza della scienza canonistica nei confronti della civilistica, poiché si ricorre a tutto l'armamentario definitorio messo a punto nella compilazione giustinianea per ricavare del fenomeno restitutorio una corretta rappresentazione fondata su appigli legislativi autorevoli. Poi la bilancia pende soprattutto, come appare ovvio, a favore del forte contributo portato dalle decretali pontificie interpretate con impegno da avveduti autori di rango, da Enrico da Susa a Innocenzo IV e Guglielmo Durante con il suo Speculum iuris, da Giovanni d'Andrea a Giovanni Calderini e Giovanni Nicoletti da Imola, da Antonio da Budrio all'immancabile Niccolò de' Tedeschi detto il Panormitano. Sullo sfondo fanno sempre però la loro comparsa i grandi dottori dello ius civile, da Bulgaro a Dino Rossoni (Dino del Mugello), ai numi tutelari del commento quali Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi ma anche Paolo di Castro. Non vi è tuttavia un abuso di citazioni dottrinali che provochi nel lettore moderno quella sensazione di fastidio, familiare a chi abbia dimestichezza con una simile tipologia di fonti: balza perciò in primo piano la sua identità di interprete, dotato di capacità ricostruttive non mediocri e di efficace metodologia didattica.
In una miscellanea di consilia raccolta da Battista Martinesio e pubblicata a Venezia nel 1573 compare un parere sottoscritto, fra gli altri, da "Petrus Crassus Mediolanensis iuris utriusque doctor Papiae iura canonica ordinarie de mane legens". Si tratta di una questione di decime su cui vengono chiamati a formulare il loro autorevole parere, in ordine successivo, oltre al G., Francesco Corti, titolare della lectura ordinaria iuris civilis, e Giasone del Maino, che si sottoscrive egli pure nel relativo consilium come preposto alla lectura ordinaria iuris civilis. Una contemporanea presenza dei tre illustri giuristi a Pavia, ciascuno investito degli insegnamenti indicati nei rispettivi pareri, ci riporta agli anni Ottanta quando tutti e tre si trovavano a discutere dell'esenzione dalla prestazione di decime concessa ai monaci benedettini grazie a un privilegio pontificio. Il G. sostiene con dovizia di argomentazioni, facendo ricorso ad alcuni tipici loci communes usati dagli interpreti nello sviluppo del ragionamento giuridico, le ragioni dei monaci largamente corroborate in ugual misura dagli altri dottori pavesi sopra citati. Prevale senza dubbio l'utilizzo di argumenta ex auctoritate legum: tra i testi normativi a cui si appoggia per corroborare la propria posizione fanno sicuramente aggio, data la materia, quelli di diritto canonico, ma il diritto romano serve per lo meno a fornire alcune regole ermeneutiche utili a far progredire il discorso. Quanto agli argumenta ex auctoritate doctorum, compaiono Bartolo e Baldo ma la dottrina più rappresentata è la canonistica, da Enrico da Susa a Giovanni Nicoletti da Imola e Paolo dei Lazari, al citatissimo Niccolò de' Tedeschi. Rimane l'impressione, in rapporto ai tempi, di un ancoraggio relativamente moderato alla dottrina, che conduce a porre invece in maggior risalto il contributo personale dell'autore all'impostazione corretta del problema sottoposto alla sua acribia di esperto dell'intricata questione.
Di certo poi partecipava alla stesura di un altro consilium insieme con Giasone del Maino: a entrambi veniva infatti affidata, probabilmente intorno al 1480, lo stesso torno d'anni dei precedenti consigli, la decisione di una causa in qualità di arbitri (a seguito di compromesso fatto nelle persone del vescovo di Aosta e del protonotario apostolico) su una controversia di grande rilievo tra i figli di un certo Francesco Seriodi riguardo all'eredità del padre e dello zio Antonio. La lite si doveva trascinare da tempo e aveva già trovato un primo strumento di composizione in una transazione giurata che obbligava le parti a determinate prestazioni, poi non adempiute, e a comportamenti successivamente non posti in essere: da ciò nasceva la necessità di una sentenza che risolvesse in maniera definitiva il contenzioso. Nel responso si valuta dapprima il testamento paterno, giudicandolo nullo quanto all'istituzione d'erede a causa della preterizione della figlia legittima, per poi decidere una divisione dei beni allodiali tra i tre fratelli e lasciare aperta la strada a una soluzione analoga per i beni feudali. Può trovare una spiegazione il coinvolgimento del G., canonista oltre che civilista, poiché, stando ai dati raccolti nel parere, uno dei fratelli, Pietro, era suddiacono e "in sacris constitutus": si fa perciò ricorso alla dottrina canonistica per concludere a favore di Pietro e della sua capacità a succedere nei feudi, salvo che vigesse, si dice, una diversa consuetudine laddove Pietro svolgeva il suo ufficio. Proprio la circostanza che accanto al di certo più noto Giasone comparisse anche il G. come estensore e sottoscrittore del parere induceva Raffaele Fagnani ad affermare che "illum virum fuisse in magna existimatione apud exteras etiam nationes".
Argelati, ricorrendo alla testimonianza di Bonifacio Simonetta, autore del De Christiane fidei et Romanorum pontificum persecutionibus historia persecutionum opus pene divinum et inestimabile (Basileae 1509, p. XXVIII), enumerava altre sue opere, dal Tractatus, cur ignorantes et rudes somno facilius capiantur a una spiegazione di due leggi egizie, di cui la prima doveva vertere sul rendiconto dell'attività di governo da pretendersi dai re e dai governatori provinciali, la seconda sull'accusa al cadavere, considerato oggetto di spartizione tra i creditori se il loro debitore aveva condotto vita ignominiosa: in assenza di prove documentarie dirette, non è possibile attribuire con certezza al G. questi due lavori.
Il G. apportava inoltre alcune emendationes alla Lectura super VII Codicis di Baldo degli Ubaldi, edita a Milano da Cristoforo Valdarfer nel 1476 (IGI, 9965), dove l'opera è presentata come "correcta et propter scriptorum imperitiam diligenter emendata per Eximium J. U. Doctorem D. Petrum Crassum Mediolanensem"; a essa era premessa una lettera del G. al canonista Giovanni Antonio di San Giorgio, qui ricordato come suo maestro.
Qualche anno dopo, nel 1488, il G. curò l'edizione del De ecclesiastico interdicto di Giovanni Calderini, illustre canonista bolognese trecentesco: il trattato, emendato dal G., venne dato alle stampe unitamente a una repetitio di Giovanni da Legnano su un canone delle Clementine (c. dignum del titolo de celebratione missae) e fu stampato a Pavia da Francesco Girardenghi e Giovanni Antonio Beretta (Gesamtkatalog, 5903).
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., T 160.5: R. Fagnani, Nobilium familiarum Mediolanensium commenta, cc. 274v, 275v; Pavia, Biblioteca universitaria, Mss. Ticinesi, 38: S. Comi, Quaderno D, c. 207; Quaderno E, c. 26; B. Martinesio, Responsorum seu consiliorum ad diversas causas…, Venetiis 1573, cc. 8r-9; Giasone Del Maino, Consiliorum libri quatuor…, I, Venetiis 1591, cc. 94v-95r; J.W. Freymon, Elenchus omnium auctorum sive scriptorum, qui in iure tam civili quam canonico vel commentando vel quibuscumque modis explicando et illustrando ad nostram aetatem usque claruerunt…, Francofurti ad Moenum 1585, p. 43; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 462; A. Fontana, Amphitheatrum legale… seu Bibliotheca legalis amplissima, I, Parmae 1688, col. 630; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 496 s.; G.A. Sassi, Historiatypographico-literaria Mediolanensis, ibid., pp. XCVII ss., DLXIV; C. Prelini, Serie dei professori, in Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia e degli uomini illustri che vi insegnarono, I, Pavia 1877, p. 59; J.F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, II, Stuttgart 1877, p. 403; E. Besta, Fonti: legislazione e scienza giuridica dalla caduta dell'Impero romano al secolo decimosesto, in Storia del diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 893; M. Bellomo, Legere, repetere, disputare. Introduzione ad una ricerca sulle "questiones" civilistiche, in Id., Medioevo edito e inedito, I, Scholae, Universitates, Studia, Roma 1997, pp. 54, 91 s.; A. Romano, Le sostituzioni ereditarie nell'inedita Repetitio de substitutionibus di Raniero Arsendi, Catania 1977, ad ind.; G. Di Renzo Villata, Scienza giuridica e legislazione nell'età sforzesca, in Gli Sforza a Milano e in Lombardia e i loro rapporti con gli Stati italiani ed europei (1450-1530), Milano 1982, pp. 65 s.; Index repetitionum iuris canonici et civilis, a cura di M. Ascheri - E. Brizio, Siena 1985, p. 132; Diz. biogr. degli Italiani, XXXII, pp. 213-216, sub voce Dal Pozzo, Francesco; ibid., XLVII, pp. 613-626, sub voce Filelfo, Francesco; L. Hain, Repertorium bibliographicum, I, 1, p. 293; II, pp. 11, 495; D. Reichling, Appendices ad Hain-Copinger…, f. II, p. 160; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, p. 51.