GRADENIGO, Pietro
Nacque a Venezia nel 1468, primogenito di Angelo di Pietro e di Chiara Giustinian di Nicolò di Federico.
La famiglia, che risiedeva nella parrocchia di S. Croce, in un sestiere a larga densità artigianale, costituiva uno dei rami minori della casata Gradenigo, e il padre non andò oltre la carica di provveditore a Modone. Morì nel 1498: erra quindi il Cicogna (1853, p. 658) che lo ritiene ancora vivo nel 1509, attribuendogli la realizzazione della tomba di famiglia.
Modesta e incolore l'attività politica del G.: paradigmatica, in fondo, di quella toccata in sorte alla gran parte del patriziato, condannata al silenzio soprattutto dall'esiguità delle sostanze, che obbligava a intraprendere impieghi minori, ma retribuiti, nell'ambito dell'amministrazione statale. Non appena l'età glielo consentì, il G. iniziò infatti la sua carriera come capo del sestiere di S. Croce (1° ag. 1483), con compiti di polizia urbana; sei anni dopo, il 13 giugno 1499, entrò podestà a Castelfranco. Proprio allora il Friuli era vessato dalle scorrerie dei Turchi, sicché una delle principali incombenze del G. fu di coordinare l'invio di rifornimenti alle truppe venete che affluivano nel Trevigiano. Rimase in quel piccolo centro sin quasi tutto l'anno seguente, nel corso del quale contrasse matrimonio con la figlia di Leonardo Contarini di Tommaso, che gli diede un solo figlio maschio, Vettore, con cui si sarebbe estinto questo ramo della famiglia.
All'inizio del 1501 troviamo il G. "saliner" (in pratica, un funzionario del fisco) a Chioggia, ma già il 4 marzo era nuovamente a Venezia, dove entrava a far parte dei Cinque savi alla pace (ancora una magistratura locale, volta a tutelare l'ordine pubblico); poi, il 14 febbr. 1502, era nominato ufficiale a Malamocco, con il compito prevalente di riscuotere i dazi d'entrata nel porto lagunare. Una carriera senza scatti in avanti, senza progresso: lo testimoniano - con significativa sottolineatura - anche le mancate elezioni che si registrano negli anni successivi, come quelle di castellano (non podestà, si badi) a Duino o a Trieste, nel 1508.
Il disastro di Agnadello lo sorprese mentre faceva parte della Quarantia civile; nelle emergenze di quella drammatica congiuntura, fu strappato alle aule giudiziarie e inviato provveditore a Monselice, la munita rocca antemurale di Padova. Sia Padova sia Monselice erano state occupate dagli Imperiali agli inizi di giugno e poi riconquistate dai Veneziani, nella seconda metà di luglio. Il G. si trovava dunque in uno dei settori cruciali del fronte, dove ai Francesi e ai Tedeschi si univano pure gli Spagnoli e i Pontifici che risalivano dalla Romagna. Alla metà di agosto i soldati di Massimiliano, guidati dallo stesso imperatore, mossero contro Padova, decisi a riconquistarla; il G. si portò dunque colà, per partecipare alla difesa, ma già il 17 agosto rientrò a Monselice, che in quei giorni convulsi era divenuta il vero obiettivo delle truppe spagnole al servizio di Massimiliano. Il 21 agosto Este cadde e il 25 fu posto l'assedio alla rocca di Monselice. L'indomani gli Imperiali attaccarono, come riferisce Sanuto, ed ebbero presto ragione dei difensori, facendone prigionieri alcuni tra cui il G., che però riuscì a far "inchiodare" le artiglierie avanti la resa, così da renderle inservibili. Consegnato ai Francesi e da questi condotto a Milano, il G. fu presto liberato grazie a uno scambio di prigionieri, per interessamento della Signoria, che evidentemente aveva apprezzato il suo comportamento.
Il 15 dicembre dello stesso 1509 era già a Venezia, come testimoniano i numerosi voti che si riversarono sul suo nome in occasione dell'elezione del nuovo provveditore a Monselice, nel frattempo ritornata veneziana. Il 16 luglio 1510 il Senato votava una legge che prometteva, oltre al pubblico gradimento, un premio in denaro per quei patrizi che si offrissero di recarsi alla difesa delle perennemente minacciate Padova e Treviso: il G. fu tra questi, ma di fatto non si allontanò da Venezia; l'occasione si ripresentò un anno dopo, e il 24 ag. 1511 il G. si recò alla "custodia" di Treviso portando con sé dieci soldati. Rimase due mesi nella città minacciata, ma non assalita dai Tedeschi, anche perché gagliardamente munita da un altro Gradenigo, il provveditore Gian Paolo, che però non gli era se non lontanissimo parente. Questa disponibilità del G. a servire la patria in armi fece sì che il suo nome ricevesse un discreto numero di suffragi nel corso di elezioni di natura militare, come quelle di capitano sul Po (6 maggio 1511 e 21 ag. 1512) o di provveditore generale in Friuli (10 giugno 1511 e 3 febbr. 1512) o di capitano nel golfo del Quarnaro (25 ag. 1514); tuttavia non conseguì alcuna nomina e dovette riprendere il suo posto nella Quarantia (1° febbr. 1511); passò cattaver (magistratura preposta, tra l'altro, al recupero dei beni dello Stato) nell'estate del 1512 e fino al giugno del 1513. Il 1° nov. 1513 partì nuovamente per la zona delle operazioni, che interessava nuovamente Padova; e a Padova - nel cui territorio il G. aveva alcune proprietà - rimase con alcuni suoi uomini per due mesi, mentre Monselice era saccheggiata dai Franco-Spagnoli per la seconda volta.
Al termine di questi ricorrenti appuntamenti con l'impresa bellica (che forse costituì per il G. l'unica concreta speranza di poter conseguire, con un colpo di fortuna, onore e ricchezza), la sua carriera tornava puntualmente ad appiattirsi su quelle magistrature secondarie dai cui angusti orizzonti egli non sarebbe mai riuscito a sollevarsi. Signore di notte nel 1515, dal 5 marzo al 17 apr. 1516 fu ancora una volta alla difesa di Padova, poi fu tra i provveditori sopra gli Atti del sovragastaldo (1519), quindi fu eletto sopracomito di galera sottile, il 15 genn. 1520.
Tornava dunque a quella vita attiva che era forse la sua vocazione; aveva superato la cinquantina, ma si accinse di buon grado (accettò subito l'incarico) a intraprendere una nuova esperienza fra le milizie, stavolta sul mare. A preoccupare Venezia era l'incessante pirateria barbaresca con le conseguenti reazioni dei propri sudditi cristiani, non già l'azione politica del sultano, che mirava a Rodi (oltretutto, nel settembre del 1520 Solimano il Magnifico sarebbe subentrato al defunto padre Selim, e questa transizione comportò necessariamente una stasi nella politica turca); il G. salpò dal Lido il 20 marzo, per unirsi in Dalmazia alla squadra del provveditore Domenico Cappello. Nell'agosto costui inviò la galera del G. a Beirut, in appoggio ai mercanti veneziani minacciati dai rivali genovesi. Dopodiché il G. svernò a Corfù e trascorse l'estate seguente incrociando nell'Adriatico, tra Spalato e Zara. Rivide Venezia l'11 nov. 1521, accompagnato dall'elogio del nuovo capitano della sua squadra, Giovanni Moro, "per haver tenuto in ordene le sue galìe", come riporta Sanuto. Un encomio rituale, che non valse a fargli conseguire l'ambita nomina a capitano in Golfo, cui concorse il 25 genn. 1523.
Per tutta la vita il G. aveva atteso dallo Stato il rafforzamento della sua posizione socioeconomica e finì per ottenerlo, anche se nel modo che egli davvero non aveva previsto. Scrive Sanuto che il 27 febbr. 1522 (era giovedì grasso) ci fu una grande lotteria a Rialto, con ricchi premi, il secondo dei quali - 500 ducati - toccò proprio al Gradenigo. Parte di questi soldi impiegò nel 1526 per farsi costruire una tomba nella chiesa di S. Croce.
Il G. morì di peste nella sua campagna di Arquà, dove si era rifugiato per fuggire il morbo, nel 1528.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, c. 82; Avogaria di Comun, reg. 164, Balla d'oro, c. 177v; Segretario alle Voci, Misti, reg. 6, cc. 4v, 31r, 129v, 133r; Archivio Gradenigo Rio Marin, b. 364, filza Gradenigo, pp. 458, 462, 470, 472, 477, 480; Dieci savi alle decime (Redecima del 1514), b. 28/24, 48; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3115, 26 (regesto del testamento del G.); M. Sanuto, I diarii, II-III, VII-XVIII, XX, XXII, XXVII-XXIX, XXXI-XXXIII, XLIX, Venezia 1879-97, ad indices; P. Bembo, Historiae Venetae, in Degl'istorici delle cose veneziane…, II, Venezia 1718, pp. 325, 356; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 658; R. Valandro, Monselice nei primi due secoli di dominazione veneziana, in Venezia e Monselice nei secoli XV e XVI. Ipotesi per una ricerca, a cura di R. Valandro, Cittadella 1985, pp. 37 s.