GODI, Pietro
Nacque a Vicenza intorno al secondo decennio del XV secolo da Antonio, notaio, forse da identificare con l'autore, o compilatore, di una Cronaca vicentina, e da Bartolomea, della quale non è noto il nome di famiglia. Dei molti fratelli del G. si possono ricordare Francesco, canonico della cattedrale di Vicenza, ed Enrico Antonio, che svolse la professione di avvocato.
Nell'agosto del 1433 il G. era studente di diritto civile presso l'Università di Padova (cfr. Acta graduum) e fu nominato "dottor di Collegio" il 29 luglio 1448 (Soranzo). Non si conoscono i motivi del suo trasferimento a Roma, ma i suoi legami con la Curia pontificia risalgono certamente ai tempi di Eugenio IV. Nel febbraio del 1444 (e non nel 1443, come afferma F. Bussi, che lo chiama peraltro "Pietro Godio di Faenza", riprendendo una definizione errata - tra le altre corrette - che si legge nel registro delle Riformanze, 9, c. 30r) il G., nobilis et egregius legum doctor, fu nominato podestà di Viterbo, succedendo al romano Lorenzo Altieri, e il 4 giugno presentò ufficialmente ai priori del Comune il proprio seguito di officiales, domicelli e familiares. L'incarico ebbe termine il 31 agosto dello stesso anno e il 1° settembre era già menzionato il suo successore, Andreas de Tibure. L'assegnazione di tale ufficio al G. rientrava nel più ampio disegno di Eugenio IV - ripreso anche dal successore Niccolò V - di affidare a uomini di cultura di sicura obbedienza curiale incarichi politici e amministrativi a Roma e nelle città dello Stato della Chiesa, tra le quali Viterbo occupava una posizione strategica particolarmente delicata.
La prima notizia della presenza del G. a Roma risale agli anni 1450-51, quando esercitava le funzioni di giudice delle appellazioni del Popolo romano. Il conferimento di tale incarico e, nel 1453, la composizione del De coniuratione Porcaria dialogus - un'operetta che condanna la congiura di Stefano Porcari ed esalta la figura di Niccolò V, immediatamente dopo la scoperta del complotto e la condanna dei congiurati - lasciano supporre l'esistenza di un rapporto di stretta collaborazione e reciproca fiducia con il papa.
Non si conosce molto della vita del G. dopo il pontificato di Niccolò V, con il quale il G. ebbe probabilmente rapporti più stretti che con i suoi successori. Ai tempi di Pio II egli ottenne un incarico presso la Curia romana, che mantenne anche con Sisto IV: fu infatti abbreviatore del Parco maggiore dal 1463 al 1474, data a partire dalla quale non si ha più alcuna notizia certa.
Il G. ebbe, ma non si sa esattamente da quando, una moglie, se tale è da ritenere quella Caterina, vedova del "dominus Petrus de Godis de Vicentia", che tra il 1482 e il 1483 venne sepolta nella chiesa romana di S. Agnese in Agone e per la quale lo stesso G. prima di morire, insieme con un non meglio identificato "dominus Dionisius de Vicentia", aveva pagato 50 fiorini alla Società del Salvatore "ad Sancta Sanctorum" per le consuete messe pro anima. In base a tali elementi si può dunque affermare che il G. stabilì definitivamente la propria residenza a Roma e vi morì tra il 1474 e il 1482-83.
Il suo nome rimane legato essenzialmente al De coniuratione Porcaria dialogus, nel quale veniva rievocata la vicenda di Stefano Porcari, l'organizzatore nel gennaio del 1453 di una congiura contro Niccolò V e la Chiesa romana.
Il De coniuratione Porcaria è costruito in forma di dialogo tra il dottore Bernardino da Siena e uno scolaro romano di nome Fabio, al quale viene affidato il compito di raccontare i fatti e di porre al primo alcune domande sulle ragioni della condanna del Porcari. Attraverso la figura di Bernardino - per il quale non si hanno elementi certi di identificazione - il G. esprime la propria cultura e la propria esperienza di diritto civile e canonico, esalta la provvidenza divina che ha consentito di sventare le macchinazioni dei congiurati, esprime un giudizio morale e politico sugli eventi e loda la bontà del governo di Niccolò V.
L'opera si apre con un'esplicita dichiarazione di intenti da parte del G., che si propone di descrivere la superbia, l'ambizione e la temeraria presunzione del Porcari. La congiura, sostenuta da un consenso abbastanza ampio nella città di Roma e nello Stato della Chiesa e forse anche nel Regno di Napoli, fu tempestivamente scoperta e repressa dal papa nel gennaio del 1453, con l'esecuzione capitale dello stesso Porcari e di molti suoi compagni. L'esigenza più stringente che si manifestò da parte del papa e del suo entourage fu innanzitutto quella di mascherare le reali motivazioni del complotto, che risalivano al malcontento della cittadinanza romana e del ceto dirigente municipale per le progressive ingerenze pontificie nella vita del Comune. Era inoltre necessario - per mantenere sotto controllo la situazione - negare le ampie connivenze con i congiurati e isolare dal resto della popolazione coloro che apparivano più direttamente e inequivocabilmente coinvolti, dimostrando così che il Porcari e i suoi compagni avevano agito da soli, spinti da una sfrenata ambizione personale, dal desiderio di arricchirsi e da un'audacia priva di fondamento. Tra i primi a elaborare questa linea interpretativa curiale - sicuramente suggerita e sostenuta dallo stesso pontefice e alla quale si possono ricondurre la Vita di Niccolò V di Giannozzo Manetti e l'Effemerium curiale dell'avvocato concistoriale Andrea Santacroce - fu appunto il G.: egli insiste sull'assurdità dell'iniziativa del Porcari, che non avrebbe - a suo parere - mai potuto incontrare il consenso della cittadinanza, ben consapevole che solo dalla Curia pontificia Roma avrebbe tratto la sua prosperità. Il G. sottolinea inoltre l'estraneità alla congiura degli stessi parenti del Porcari, definiti "ecclesiastici […] et cives optimi" (ed. Lehnerdt, p. 68).
Pur fortemente condizionato da questa costruzione ideologica e interpretativa, il De coniuratione Porcaria offre una serie di notizie importanti per la storia di Roma degli anni di pontificato di Niccolò V, delle quali è stato spesso possibile trovare conferma nelle fonti d'archivio. Il progetto del Porcari viene presentato come il tentativo di stabilire a Roma una signoria appoggiata dalle forze popolari: Stefano, che intendeva assumere la carica di tribunus plebis (dove non si può non leggere un implicito richiamo alla memoria di Cola di Rienzo), aspirava al dominio della città ("ad dominium Romae ambiebat", p. 58). L'insoddisfazione per la condizione dei cittadini romani si precisa inoltre nelle parole del G. con la definizione degli obiettivi dei congiurati: essi volevano prendere e uccidere non soltanto il papa, i cardinali e l'intera Curia, ma anche i mercanti forestieri. Il riferimento è a quei gruppi di mercanti e banchieri, soprattutto toscani, che ormai da molto tempo godevano - e ancora a lungo avrebbero goduto - della protezione dei pontefici ed esercitavano una pesante concorrenza nei confronti dei romani: non a caso tra i congiurati era Giacomo Massimi, cognato del Porcari, appartenente a una delle più importanti famiglie di mercanti e banchieri romani. L'opera del G. risulta una fonte utile anche per il delicato problema degli interventi edilizi realizzati a Roma da Niccolò V, dei quali fornisce un elenco piuttosto dettagliato (pp. 64 s.), mentre non contiene alcun riferimento a quanto dell'ampio progetto edilizio di Niccolò V rimase incompiuto o neppure iniziato, che è invece oggetto di una dettagliata descrizione da parte del Manetti nella Vita di Niccolò V.
Il De coniuratione Porcaria affronta anche - in conclusione - il problema della natura del potere pontificio (pp. 68-74). Rifiutando ogni forma di derivazione del potere dei papi da quello degli imperatori romani, perché la natura violenta dell'impero è contraria ai principî delle Sacre Scritture, il G. fonda la legittimità del potere esercitato dai pontefici - in ambito sia spirituale, sia temporale - sull'investitura di Pietro da parte di Cristo. Nell'impossibilità di esercitare direttamente il pieno potere attribuitogli, il papa governa tutto il mondo tramite re, principi, ufficiali, podestà e governatori, che sono tenuti a giurargli fedeltà e a pagare tributi alla Chiesa di Roma.
Il testo del De coniuratione Porcaria è stato tramandato da tre manoscritti. Dal manoscritto, piuttosto scorretto, a suo tempo conservato presso la Wallenrodt'sche Bibliothek di Königsberg (ms. n. 26), fu tratta un'edizione da M. Perlbach (Giessen 1879). Il manoscritto Vat. lat. 3619 della Biblioteca apostolica Vaticana - un piccolo codice membranaceo di 16 fogli, di elegante fattura e scritto in una bella umanistica in epoca sicuramente non lontana dal 1453, probabile copia di dedica a Niccolò V -, è stato utilizzato da M. Lehnerdt per l'edizione critica (Lipsia 1907). Il testo del De coniuratione Porcaria è infine contenuto anche in un altro manoscritto (Vat. lat. 4167, cc. 202r-210r), un codice miscellaneo cartaceo di fattura poco accurata, scritto molto tempo dopo la composizione dell'opera e derivante dal Vat. lat. 3619.
Fonti e Bibl.: Viterbo, Biblioteca comunale degli Ardenti, Riformanze 9, cc. 30r, 42r, 57r e passim; Arch. segreto Vaticano, Reg. lat. 589, c. 18r; 740, cc. 146r-147r e passim; Cronaca di Antonio Godi vicentino dall'anno 1194 all'anno 1260, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VIII, 2, p. XII; F. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma 1742, p. 388; O Tommasini, Documenti relativi a Stefano Porcari, in Arch. della Società romana di storia patria, III (1880), pp. 63-70; Necrologi e libri affini della provincia romana, I, a cura di P. Egidi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XLIV, Roma 1908, p. 490; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, I, Roma 1958, pp. 512, 575, 579, 582; M. Miglio, L'umanista Pietro Edo e la polemica sulla Donazione di Costantino, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo, LXXIX (1968), pp. 171 s.; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, I, a cura di G. Zonta - G. Brotto, Padova 1970, p. 303; C. Burroughs, Below the angel: an urbanistic project in the Rome of pope Nicholas V, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLV(1982), pp. 105 s.; C.W. Westfall, L'invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del '400, Roma 1984, pp. 260, 307 s.; T. Frenz, Die Kanzlei der Päpste der Hochrenaissance (1471-1527), Tübingen 1986, p. 428; G. Arnaldi, Realtà e coscienza cittadina nella testimonianza degli storici e cronisti vicentini dei secoli XIII e XIV, in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di G. Cracco, Vicenza 1988, pp. 295-305; C. Burroughs, From signs to design. Environmental process and reform in early Renaissance Rome, London 1990, pp. 132, 147, 261, 264; M. Miglio, Cultura umanistica a Viterbo nella seconda metà del Quattrocento, in Cultura umanistica a Viterbo. Per il V centenario della stampa a Viterbo (1488-1988), Viterbo 1991, p. 31; A. Modigliani, I Porcari. Storie di una famiglia romana tra Medioevo e Rinascimento, Roma 1994, pp. 56 s., 62 e passim; Rep. fontium historiae Medii Aevi, V, p. 174.