GIUSTINIAN, Pietro
Nacque a Venezia, nel sestiere di Dorsoduro, in calle lunga S. Barnaba, nel 1497 dal patrizio Alvise di Marino e da una figlia di Girolamo Michiel, la cui moglie era nipote per parte di madre del doge Francesco Foscari. Il G. non va confuso con l'omonimo monsignor cavalier Pietro Giustinian, cui accenna, nella sua corrispondenza, il nunzio a Venezia L. Beccadelli.
Laddove lo zio paterno del G., Sebastiano, brillò nel risalto di cariche eminenti, slavata risulta la figura del padre Alvise (1472 circa - 1521 circa), che, nel primo Cinquecento, fu dei Dieci savi, senatore, podestà e capitano di Capodistria, di nuovo senatore, provveditore alle Biave. Dei quattro fratelli del G. è probabile che tre avessero a morire in tenera età, poiché solo uno, Angelo, è distinguibile come "patrono" di galea di scorta, nel 1513-14, al viaggio d'Alessandria, nel 1515-16 a quello di Beirut, nel 1517-18 a quello di "Barberia". Ed è nel luglio 1518 che risulta tra i direttamente danneggiati dal saccheggio del fondaco veneziano di Tunisi - quello che provocò, per il mancato risarcimento, il boicottaggio dello scalo tunisino da parte dei mercanti veneti -, senza recuperare il perduto se, ancora nel 1523, si lamentava "creditor" del re Muhammad. "Patrono", quindi, di galea del viaggio in Fiandra, figura successivamente, nel 1526-27, tra i votati - ma non a sufficienza - a console a Damasco, consigliere a Cipro, rettore alla Canea, rettore a Rettimo, ufficiale alla Camera d'imprestiti. E, finalmente, "per denari", versando cioè una somma, venne nominato capitano a Famagosta, dove, però, morì, dopo aver esercitato le sue funzioni per appena otto mesi, come comunica una lettera da Cipro del 17 ag. 1530. Il G. ebbe inoltre tre sorelle.
Il G. si affacciò alla vita pubblica nel 1519 come "avvocato grando", figurando poi tra i nominativi racimolanti voti insufficienti nelle elezioni di savi sopra gli Estimi, di savi agli Ordini, sinché, nel 1525, fu eletto "saliner" a Chioggia; ma troppo pochi i suffragi a lui destinati quando si trattò d'eleggere un "auditor vechio", un ufficiale alla "ternaria vechia", mentre, invece, riuscì a diventare savio agli Ordini, savio grande, membro del Consiglio dei trenta, della Quarantia civil nova, essendo pure eletto auditor novo nel 1533. Non si può certo dire il G. si stia affermando con una carriera in decisa ascesa. Per un decennio, anzi, si ritirò dalla vita pubblica, o, almeno, il suo nome non figura tra i votati alle cariche minori. Forse si dedicò agli studi, sempre che sia un minimo utilizzabile la notizia del Papadopoli, lo storico dell'ateneo patavino - che erra laddove fa nascere il G. nel 1506, per poi farlo studiare a Padova sino ai 25 anni - là dove l'annovera tra gli auditores di Lazzaro Bonamico. Probabile, insomma, che il G. si sia dato alle frequentazioni intellettuali e che sia entrato in contatto con Bonamico. E legittima l'ipotesi di un suo volgersi agli ambienti colti il fatto che, nell'edizione dell'Orlando furioso del 1536, l'apologia della poesia ariostesca apposta in appendice dal curatore, Ludovico Dolce, sia svolta, appunto, nell'"epistola" al G. "magnifico e nobilissimo messer […] gentilhuomo venetiano". Se, insomma, un letterato come Dolce condensa le sue persuasioni sulla grandezza dell'Ariosto in una lettera indirizzata al G. e la fa figurare nell'edizione da lui curata, è da dedurne che nutriva per il G. una certa stima e gliela manifestasse pubblicamente non senza un minimo di risonanza. Sicché il G. - anche se non può vantare che qualche verso in latino, come l'elegia, del 1527, in obitu di Bartolomeo Contarini - passava anch'egli un po' per letterato. E, forse, un minimo la nomea impresse un po' di slancio alla sua ripresa dei pubblici impegni, visto che nel 1543 fu esecutor alle Acque, nel 1544 provveditor sopra i conti e alle Rason vechie. Dopo di che, per un altro quindicennio, ritornò a essere politicamente invisibile.
Sposatosi, il 7 maggio 1540, con Giustiniana di Niccolò Giustinian, e ben presto di questa vedovo, si risposò, il 18 febbr. 1546, con Paola di Carlo Contarini, dalla quale, malgrado l'età ormai avanzata, ebbe dei figli che morirono prematuramente, salvo Angelo che, nato il 23 ott. 1551, sposò, il 14 giugno 1569, Chiara di Giovanni Soranzo, assicurando la discendenza alla famiglia. Ed è nel 1551 che il G. "volontariamente", senza pubblica committenza, avviò la stesura, che lo impegnò per otto anni di "assidue vigilie", di continuata assorbente esclusiva (accantonato, infatti, qualsiasi "altro" suo "negotio") e "grandissima fatica", di una storia generale in latino della sua città. Con essa la sua "professione" divenne quella dell'"historico". Ed è così qualificandolo che Giovan Maria Memmo - nel suo Dialogo nel quale… si forma un perfetto prencipe et una perfetta repubblica…, stampato a Venezia nel 1563 - lo fa interlocutore di spicco nelle "filosofiche dispute" svoltesi nel 1556 tra una decina di "personaggi illustri" laici ed ecclesiastici, ritrovatisi a Roma presso l'allora ambasciatore veneto, nonché futuro cardinale, Bernardo Navagero.
Nella discussione in tre giorni a più voci - e quella del G. è ricorrente - si mira a delineare il "perfetto principe", la "perfetta repubblica", il "senatore", il "cittadino", l'uomo d'armi, il "mercatante". È indicativo che il G. - quasi a prendere le distanze da quella che è stata la vita del fratello Angelo, scortante convogli mercantili - si metta a deplorare la navigazione mercantile e la brama di lucro che la sospinge. Si ha l'impressione che Memmo gli attribuisca una convinzione da lui effettivamente nutrita. E lo stesso dicasi laddove - sempre nel Dialogo memmiano - il G. vanta la positività della propria esperienza matrimoniale di contro alla calorosa esaltazione, sottesa di misoginismo sin furente, del celibato ecclesiastico da parte di un altro dialogante.
Meritata, comunque, la qualifica di "historico", che rende autorevole l'argomentare del G. nel disputare rievocato da Memmo. Preceduta dalla richiesta, del 16 dic. 1559, dell'esclusiva di stampa per 15 anni, esce, infatti, nel 1560, per i tipi di Bartolomeo Comino e per interessamento di Giulio Contarini, la Rerum Venetarum ab urbe condita historia, che dalla nascita della città, fissata il 9 apr. 421 convocando gli astri propizi (ma in più copie fu cassato l'inquadramento astrologico e eliminate, nel contempo, le diciture paganeggianti, quali "fatum", "Dii immortales"), arriva ai "presenti giorni". È una diffusa esposizione in tredici libri - ossia grossi capitoli - scritta dal G. "a beneficio et honor pubblico". E alla Biblioteca Marciana - come delibera, il 15 dic. 1560, il Consiglio dei dieci - fu collocato l'esemplare di "corio crimesino", bellamente rilegato, offerto dal G. alla Repubblica. Donata dal G. la copia di lusso, ma non senza pretendere un tangibile riconoscimento per l'opera. Onerato da "tenue et angusta fortuna con carico de moglie et figlioli" chiese 120 ducati all'anno richiamando i sovvegni a suo tempo concessi a Marin Sanuto e a Paolo Ramusio, nonché al pubblico storiografo Pietro Bembo. Né si trattenne dal rammentare come a un altro pubblico storiografo, Andrea Navagero, si sia anticipato il "premio" di 200 ducati all'anno, senza che a tale vitalizia "provisione" abbia corrisposto collo "scriver mai cosa alcuna". Non era insensibile il Consiglio dei dieci a quanto fatto presente dal G., disposto a remunerare la "bona volontà" da lui attestata con l'Historia: donde, il 19 genn. 1562, la concessione di 10 ducati al mese vincolati all'impegno di "proseguir l'opera".
Questa è indubbiamente "honorevole" e "di non mediocre utilità per il governo di Stato", ma è anche da rivedere, specie laddove, nel libro IX, in merito alle "cose di Cipro", c'è un cenno malevolo a Pietro Davila, i cui discendenti stanno perciò protestando. Ebbene: le "parole […] contrarie alla verità" vanno "cassate et levate"; ma, più che la verità, è in ballo l'opportunità: i Davila sono una famiglia che conta a Nicosia; ed è inopportuno riesumare il comportamento tutt'altro che limpido d'un loro ascendente; e il G. sulla questione, lungi dal discostarsi dalla verità, l'ha proprio colta. Proprio perché, con il vitalizio, l'opera assume un carattere ufficioso, è opportuno, comunque, sia rivista per intero: donde l'elezione di una commissione di tre patrizi - Bernardo Zorzi, Melchiorre Nadal e Federico Vallaresso, quest'ultimo poi sostituito da Tommaso Contarini - "pro corrigenda historia", dal cui esame questa risulta in più punti insoddisfacente, specie nella parte dedicata ai tempi recenti. Andrebbe meglio valorizzato l'operato della Serenissima, meriterebbe più risalto in positivo la condotta di Francesco Maria Della Rovere; ci sarebbero da evidenziare circostanze ignorate dal G., altre necessiterebbero di un ritocco. Ma a tal fine - così i tre esaminatori il 18 sett. 1562 - vanno consultate le delibere senatorie, le corrispondenze diplomatiche. Occorre insomma - e in ciò si avverte che la classe dirigente veneziana, delusa dall'inattività di Navagero, non appagata dallo stesso Bembo, punta su una storiografia nutrita di fonti archivistiche - il G. si documenti, essendo, perciò, autorizzato all'accesso agli archivi della Serenissima. In realtà, nella ristampa dell'Historia per i tipi di Ludovico Avanzi (Venetiis 1575; ma ci sono anche copie datate 1576), ampliata a 17 libri (l'ultimo, inclusivo del 1575, per ordine del Consiglio dei dieci, del 17 ott. 1575, fu tolto dai "volumi" sequestrati, ché stampato senza la necessaria "licentia"; ma qualche esemplare sopravvive sfuggito all'eliminazione di quest'"ultimo quinterno"), non tanto la ricerca di archivio è avvertibile, quanto l'acuirsi di una cautela sorvolante e censurante: donde l'omissione del cenno elogiativo all'Accademia della Fama, poiché nel frattempo il suo fondatore, Alberto Badoer, è caduto in disgrazia. Si spiega così inoltre la soppressione, nel libro IV, della notizia della scomunica scagliata contro Venezia, il 27 marzo 1309, da Clemente V; e la scomparsa, all'inizio, della fausta combinazione dei pianeti e dei segni dello zodiaco a propiziare l'esordio di Venezia. Comunque sia, nella revisione e nell'ampliamento, il G. si è impegnato. Sicché - in considerazione anche che deve provvedere a sé e al "povero" suo "fiol" Alvise e ai quattro figlioletti della "povera famiglia" di questo -, ancora il 28 sett. 1574, il Consiglio dei dieci gli ha aumentata la provvisione a 200 ducati annui.
Uscita nel 1560, ristampata nel 1575-76, l'Historia apparve pure, nel 1576, per L. Avanzi in versione italiana, traduttore sino al libro VII Giuseppe Orologi, quindi il fiorentino Remigio Nannini; e curioso episodio, a proposito di quest'edizione, la vendita bloccata, per l'intervento del S. Uffizio pretendente "emendationi"; ma vanificata la pretesa dall'assegnazione, da parte di Gregorio XIII, della revisione alla congregazione dell'Indice, così ricacciando l'esorbitanza del S. Uffizio. Il successo editoriale non solo fruttò al G. un vitalizio. Lo fece lievitare politicamente, ancorché anziano, proprio a partire dal 1560, quando riappare come membro dei Dieci savi e della zonta stravagante del Senato. Senatore nel 1561, provveditore alle Biave nel 1564, è riformatore allo Studio di Padova quando, il 15 febbr. 1569, Giovanni Giolito de' Ferrari gli dedica, volto dal latino, il Trattato della disciplina et della perfettion monastica del beato Lorenzo Giustinian stampato dal padre Gabriele (Vinegia 1569). Consigliere nel 1570 del sestiere di Dorsoduro, è dei tre capi del Consiglio dei dieci, quando, a lui e ai suoi colleghi Giacomo Foscarini e Bartolomeo Vitturi, il 12 sett. 1573, Paolo Ramusio dedicò per il suo De bello Constantinopolitano che uscirà, in latino e italiano, a Venezia nel 1604. "Polyhistore" il vecchio G. a partire dagli anni Sessanta del Cinquecento, uomo illustre per Alfonso Ulloa, splendente "inter proceres" per Girolamo Amalteo per la sua penna veridica e il suo stile sallustiano, "maggior di Erodoto" e "non inferior" a Livio per Andrea Menechini, "Venetae historiae" principe per Luigi Groto, laddove, ridimensionandolo, Agostino Valier di lui annota che è discendente di Bernardo Giustinian - questo sì grande storico - e che "annales […] composuit". Annalistica è in effetti l'opera del G. e supinamente ricalcante M. Sabellico, anche nei suoi errori e fraintendimenti. Ma da annotare - nella parte più recente, quando Sabellico non gli fa più da scorta - una certa qual simpatia per Carlo V, una propensione per l'amicizia veneto-cesarea, che lo accosta al filoimperiale Memmo, nonché, nel non casuale privilegiamento di un doge dalla forte personalità come Andrea Gritti, una certa qual sottolineatura di una componente virtualmente regia nella forma Stato marciana.
Gratificato da elogi, il G. nei suoi ultimi anni fu provveditore al Sale nel 1573 e rieletto consigliere di Dorsoduro nel 1575; ma quest'ultima carica la rifiutò, perché si sentiva troppo debole. La sua sostituzione fu messa ai voti, il 21 ott. 1576, nel Consiglio dei dieci, dal quale si ritirò per "invalitudine".
Di lì a poco, nel dicembre 1576, il G. morì. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Sebastiano.
Gli sopravvive la Historia, ristampata nel 1610 a Strasburgo; e ristampata, pure, a Venezia nel 1670, 1671, 1677, la versione italiana: assente, sia nella ristampa dell'originale latino sia in quelle della versione italiana, il libro XVII. Provvederà a pubblicarlo tradotto, a Venezia nel 1830, E.A. Cicogna, volgendolo da un esemplare non mutilato dell'edizione latina del 1575-76. Il fatto, però, che solo il 13 marzo 1577 il Consiglio dei dieci designi con Alvise Contarini il successore di Bembo nella carica di pubblico storiografo induce a supporre si sia di proposito attesa la scomparsa del G. per evitare l'imbarazzo di una scelta che, ignorandolo, sarebbe stata offensiva.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, regg. 145, c. 35r; 148, cc. 186r-187r; Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. lat., cl. XII, 150 (= 4395) (miscellanea in cui vi sono anche scritti del G.); XII, 211 (= 4179), c. 132 (elegia per B. Contarini); Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, cc. 97v-98r; G.M. Memmo, Dialogo nel quale… si forma un perfetto prencipe et una perfetta repubblica, et parimente un senatore, un cittadino, un soldato et un mercante, Vinegia 1563, passim; Epistolae clarorum virorum…, Venetiis 1568, c. 134v; T. Porcacchi, L'isole più famose…, Venetia 1576, p. 72; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1903, XXXIII-XXXIV, XLIII, LIII-LIV, LVIII, ad indices (per il fratello Angelo, XVI, XIX-XX, XXIII-XXIV, XXVI-XXX, XXXVI, XLI-XLV, LIII-LIV, LVI, ad indices); Nunziaturedi Venezia, XI, a cura di A. Buffardi, Roma 1972, ad ind. (e per l'omonimo, ibid., V-VI, a cura di F. Gaeta, Roma 1967, ad ind.); G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, Venetia 1647, pp. 194 s.; A. Superbi, Trionfo… d'heroi… dell'inclita… Venetia, Venetia 1628, p. 103; G. Fiorelli, Detti e fatti memorabili del Senato, Venetia 1672, p. 253; N.C. Papadopoli, Historia GymnasiiPatavini, II, Venetiis 1726, ad ind.; M. Foscarini, Della letteratura veneziana, Venezia 1854, ad ind.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia 1824-53, I-II, IV-VI, ad indices; Id., Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, ad ind.; Id., Memoria intorno… L. Dolce, Venezia 1863, ad ind.; F. Stefani, P. G., in Archivio veneto, II (1871), pp. 219 s.; S. Bongi, Annali di Gabriele Giolito de' Ferrari, II, Roma 1895, p. 293; R. Cessi, Un falso eroe della rivolta di Famagosta, in Atti del R. Istituto veneto di storia, lettere ed arti, LXX (1910-11), parte II, pp. 1246 s.; G. Fatini, Biblioteca della critica ariostea, Firenze 1958, ad ind.; G. Benzoni, La fortuna… di E.C. Davila, in Studi veneziani, XVI (1974), p. 308 n. 100; F. Ambrosini, Immagini dell'Impero…, in I ceti dirigenti in Italia…, a cura di A. Tagliaferri, Udine 1984, pp. 74-78; Id., Profilo… di un patrizio…, in Studi veneziani, n.s., VIII (1984), pp. 86-103, passim; M. Hochmann, Peintres et commandataires à Venise, Rome 1992, ad ind.; Continuità e discontinuità nella storia… Studi in onore di A. Stella, a cura di P. Pecorari - G. Silvano, Vicenza 1993, ad ind.; La ragione e l'arte. T. Tane e la Repubblica veneta, a cura di G. Da Porro, Venezia 1995, pp. 15 s.; G. Fragnito, La Bibbia al rogo, Bologna 1997, ad ind.; G. Cozzi, Ambiente veneziano…, Venezia 1997, ad ind.; G. Mazzatinti, Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, LXXXV, ad ind.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 259, 261.