GRANERI, Pietro Giuseppe
Nacque a Torino il 26 nov. 1730, da Pietro Nicola (n. 1678) e Maria Anna Tarquinio. Il padre era fratello minore di Maurizio Ignazio; la madre apparteneva a una famiglia pinerolese di piccola nobiltà di cui, morto senza figli l'unico fratello, restava l'ultima esponente. Nel 1750 fu nella rosa di candidati proposti al sovrano per la carica di rettore degli studenti dell'Università. In tale occasione, tuttavia, gli fu preferito Francesco Bogino, figlio del segretario di Stato alla Guerra. Laureatosi di lì a poco, il G. svolse le funzioni di avvocato collegiato dal 1751 al 25 apr. 1759, quando fu chiamato a far parte del Senato di Nizza. Poco si sa della sua giovinezza, salvo che, causa la passione per il gioco, aveva perso il patrimonio e solo grazie all'impiego nel Senato di Nizza poté ripianare una situazione finanziaria ormai compromessa. A Nizza, tuttavia, riprese a giocare, al punto che il ministro G.B.L. Bogino, che ne aveva molta stima, decise di inviarlo in Sardegna. Così, con regio biglietto del 27 ag. 1760, il G. fu destinato al delicato incarico di giudice civile nella Real Udienza di Sardegna.
Inviandolo nell'isola Bogino contava su un collaboratore capace e fidato per la realizzazione di alcune importanti riforme. Nei primi anni il G. rispose pienamente alle attese, svolgendo un ruolo centrale nella creazione delle Università di Cagliari e Sassari. Dal 1765-66, tuttavia, i rapporti fra i due si fecero più complessi: il G., infatti, aveva iniziato a rallentare il lavoro, sino a non intervenire per mesi alle sedute della Reale Udienza. All'origine di tale comportamento erano l'insoddisfazione per non essere stato - a suo parere - sufficientemente ricompensato per il lavoro svolto sino a quel momento e la relazione stabilita con Anna Maria Manca di San Maurizio, vedova del duca di San Pietro (uno dei maggiori feudatari dell'isola). Il legame con la nobildonna si era presto rivelato incompatibile con le sue funzioni, tanto che durante una seduta della Reale Udienza aveva dovuto astenersi dal voto per non danneggiarla. Fra 1767 e 1768 il G. riprese a lavorare con impegno, ma il suo matrimonio con la Manca convinse Bogino ad allontanarlo dall'isola, per evitare imbarazzanti conflitti d'interesse.
Grazie all'interessamento del ministro, che continuava a proteggerlo, il 2 ott. 1768 Carlo Emanuele III nominò il G. avvocato generale nel Senato di Piemonte, richiamandolo a Torino.
La nomina destò scalpore, perché per la prima (e unica) volta tale carica era affidata a un personaggio esterno al Senato. Il G., infatti, non fu nominato senatore, né ciò avvenne nei nove anni in cui la ricoprì. Secondo le Regie Costituzioni l'avvocato generale doveva "vegliare ai diritti […] della Corona": in pratica ciò si traduceva in una capillare azione di controllo su una serie di questioni riguardanti soprattutto (ma non solo) la difesa dei diritti dello Stato rispetto alle giurisdizioni ecclesiastiche. Per la natura dell'ufficio, l'avvocato generale era uno dei principali funzionari dello Stato, coinvolto nelle più alte commissioni governative. La caduta del Bogino (bruscamente allontanato dal governo da Vittorio Amedeo III, nel 1773) non coinvolse il G., che mantenne la sua carica. In quegli anni, anzi, il sovrano lo chiamò a far parte di alcune delle commissioni cui aveva affidato i suoi ambiziosi progetti di riforma: particolarmente importante fu la "giunta", operante fra 1774 e 1775 per la stesura del nuovo ordinamento comunale, nella quale il G. ricoprì un ruolo crescente sino a provocare il risentimento del conte V.S. Beraudo di Pralormo, che ne era formalmente a capo.
Nel 1777, grazie all'interessamento del nuovo segretario di Stato agli Esteri, B. Perrone di San Martino, il G. fu inviato a Roma come ambasciatore. La nomina era certo frutto della competenza sulle relazioni fra Stato e Chiesa maturata nei quasi dieci anni trascorsi presso l'Avvocatura generale, ma non va escluso che alla base della decisione fosse anche la volontà di allontanare da Torino un funzionario apprezzato, ma il cui carattere, giudicato da molti troppo schietto e poco malleabile, mal si adattava alla personalità del nuovo sovrano. Il G. trascorse a Roma quattro anni, dando buona prova di sé e inducendo Vittorio Amedeo III a farlo proseguire nella carriera diplomatica: il 1° ag. 1781 il sovrano decise, infatti, di trasferirlo a Vienna. Si trattava di una prova di rilievo per chi, come notava lord John Mountstuart, ministro britannico a Torino, era ormai ritenuto "one of the ablest heads in the country".
Il G. giungeva a Vienna con un compito arduo. Vittorio Amedeo III e i suoi ministri erano convinti, infatti, che la situazione internazionale (il protrarsi della guerra d'indipendenza americana, le crescenti tensioni tra Berlino e Vienna, l'irrompere sulla scena della Russia) avrebbe presto portato alla rottura dell'alleanza franco-austriaca, determinatasi con la guerra dei Sette anni. Nell'istruzione data al G. il sovrano attaccava duramente l'Austria, accusandola di essere nemica del Piemonte e di voler rimettere in discussione gli assetti usciti dalla pace del 1748. Perché lo Stato sabaudo potesse trarre vantaggio da un nuovo conflitto era necessario, però, che non fosse costretto a un'alleanza con la Francia, il che ne avrebbe fortemente diminuito il potere contrattuale. Il G., quindi, non aveva "aucune affaire particulière à traiter" a Vienna, se non quello di guadagnarsi la "confiance" di Giuseppe II e W.A. Kaunitz, convincendoli che, in caso di guerra, Torino non sarebbe stata necessariamente alleata della Francia e che, in cambio di adeguate concessioni, si sarebbe potuta riproporre l'alleanza austro-piemontese delle guerre di successione spagnola e austriaca. In realtà, il sovrano sabaudo aveva già deciso di allearsi con Parigi, e di ciò Vienna era ben consapevole. Le relazioni austro-piemontesi, anzi, si raffreddarono ulteriormente, tanto che nella primavera del 1784 Giuseppe II, in viaggio in Italia, decise di non passare per Torino. Non sarebbe giusto, tuttavia, definire la missione del G. un fallimento: le speranze di una rottura dell'alleanza franco-austriaca erano velleitarie e l'Italia costituiva un settore ormai secondario dello scacchiere politico-militare europeo, il che nessun ambasciatore sabaudo, compreso il G., poteva certo mettere in discussione. Gli anni trascorsi a Vienna furono invece fondamentali per lui, perché ebbe modo di conoscere direttamente la politica di Giuseppe II e di divenirne un disincantato ammiratore.
Nell'estate del 1786 Vittorio Amedeo III decise di trasferire il G. a Madrid, sede prestigiosa ma di minor rilievo politico. Egli lasciò Vienna nel settembre 1786 e, dopo un breve soggiorno a Torino, giunse a Madrid nel febbraio 1787.
Anche in questo caso, le istruzioni di Vittorio Amedeo III sottolineavano che il G. non aveva "aucune affaire essentielle de politique à traiter", ma doveva invece cercare di comprendere le intenzioni del governo spagnolo quanto alla penisola. Nel frattempo il G. restava un punto di riferimento per coloro che a Torino auspicavano un ritorno al governo dei burocrati illuminati dell'età di Bogino: anche dalla Spagna veniva interpellato circa progetti finanziari ed economici, come la creazione di una banca nazionale. Nel marzo 1789 Vittorio Amedeo III aveva ormai deciso di richiamarlo a Torino, ma non ancora quale incarico affidargli. Il re sembrava propendere per quello di segretario di Stato agli Esteri, ma, alla fine, nel maggio dello stesso anno, scelse di affidargli la segreteria agli Interni. Lasciata Madrid a fine agosto, il G. giunse a Torino a fine ottobre e di fatto assunse subito la guida del governo sabaudo. Un mese più tardi il ministro britannico John Trevor scriveva al Foreign Office: "The country begins already to experience the good effects of the activity and intelligence of the new Home Secretary of State".
Il G. che tornava a Torino era molto diverso da quello che aveva lasciato la capitale sabauda dodici anni prima: l'esperienza diplomatica e le molte letture (i carteggi con la segreteria agli Esteri lo rivelano lettore attento e sensibile) lo avevano reso un giuseppinista, neanche tanto moderato, in campo religioso e un convinto liberista in quello economico. Per realizzare i propri ambiziosi progetti di riforma iniziò sin dall'arrivo a Torino un intenso dialogo con gli uomini raccolti nell'Accademia delle scienze e nella Società agraria, affrontando con loro progetti economici, commissionando inchieste e statistiche.
La riorganizzazione economica dello Stato che il G. intendeva realizzare presupponeva, però, una drastica riduzione del debito pubblico e una riorganizzazione dell'apparato fiscale dello Stato. La sua politica non tardò, quindi, a incontrare resistenze, soprattutto da parte della corte e dei militari. Nel novembre 1790 Trevor esponeva a lord W.W. Grenville le crescenti difficoltà incontrate dal G. ("Graneri's zeal is said to be diminished by the cabals and intrigues which thwart his operations") e riferendo che negli ambienti di corte si dava per imminente la sostituzione sua e del marchese G.B. Fontana di Cravanzana (segretario di Stato alla Guerra). "I fear these changes are no good symptoms", commentava Trevor. Dal 1791, in effetti, la situazione internazionale, le sue ripercussioni sul territorio piemontese e, dal 1792, lo scoppio della guerra tra Francia e Stato sabaudo costrinsero il G. ad abbandonare via via i propri progetti. Il suo stesso ruolo di guida nel governo diminuì con l'aumentare di quello dei militari.
A quanto pare, almeno dal 1794 egli sostenne la necessità di giungere a un accordo con la Francia, tanto che nell'agosto 1796 l'incaricato d'affari genovese a Torino, F. Bonelli, lo presentava come uno dei capi di una congiura mirante a porre sul trono il duca d'Aosta, Vittorio Emanuele, e a portare lo Stato sabaudo nel campo francese contro l'Austria. Improvvisamente, però, il 20 genn. 1797 il G. morì a Torino.
Nel testamento (12 genn. 1792) aveva lasciato erede la moglie (da cui non aveva avuto figli); questa dopo la conquista francese del Piemonte si trasferì in Toscana, dove restò sino al 1814. Rientrata a Torino, vi morì nel 1817.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Sardegna, Corrispondenza con particolari sardi, s. C (lettere di G.B.L. Bogino al G. durante la permanenza di questo in Sardegna); Lettere de' reggenti, mm. 2-4 (corrispondenza fra Bogino e il reggente Ignazio Arnaud); Corte, Materie giuridiche, Rappresentanze e pareri, Pareri dell'avvocato generale, mm. 10 (1768-69), 11 (1770-71), 12 (1771-72), 13 (1773), 14 (1774), 15 (1775), 16 (1776-77) (pareri del G. in qualità di avvocato generale del Senato di Piemonte); Corte, Materie politiche in rapporto all'estero, Lettere ministri, Roma, mm. 181 (1777-78), 182 (1778), 183 (1779); Austria, mm. 99 (1781), 100 (1782-83), 101 (1783-84), 102 (1785-86); Spagna, mm. 93 (1786-89), 94 (1787-89) (dispacci diplomatici del G.); Negoziazioni con Roma, m. 4, f. 16; Negoziazioni con Vienna, m. 11 d'addizione, ff. 7-9; Negoziazioni con Spagna, m. 9, f. 14 (istruzioni di Vittorio Amedeo III al G.); Corte, Segreteria di Stato agli Interni, s. 4, Giuridico, ecclesiastico, economico per paesi (lettere del G. quale segretario agli Affari interni); Materie politiche in rapporto agli interni, Materie politiche in rapporto agli interni in generale, mm. 2-8; Sezioni riunite, Patenti controllo finanze, regg. 31, c. 186; 42, c. 4; 24, c. 66; 60, cc. 155, 172; 70, c. 93; 77, c. 126; 78, c. 46; Regi biglietti, reg. 4, c. 106; Testamenti pubblicati dal Senato, reg. XXXI, c. 289; Londra, Public Record Office, Foreign Office, cat. 67, regg. 1 (1781), 6-24 (1789-97) (dispacci del ministro plenipotenziario John Trevor); Biblioteca apostolica Vaticana, Mss. Patetta, 1183: Relação politica da historia e estado da Real Casa de Saboya (relazione dell'ambasciatore portoghese a Torino Rodrigo de Souza Coutinho); N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, I, Torino-Firenze-Roma 1877, pp. 50-55, 509 s., 527-529, 601, 603, 607; II, ibid. 1878, passim; D. Balani, Studi giuridici e professioni nel Piemonte del Settecento, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXXVI (1978), pp. 253, 271; F. Venturi, Settecento riformatore, IV, La caduta dell'antico regime (1776-1789), 2, Il patriottismo repubblicano e gli imperi dell'Est, Torino 1984, pp. 667-669, 672 s., 689; D. Balani, Il vicario tra città e Stato. L'ordine pubblico e l'Annona nella Torino del Settecento, Torino 1987, pp. 79-81, 101 s., 197; G.P. Romagnani, Prospero Balbo intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), Torino 1988-90, I, pp. 14, 158, 168, 183, 189, 190, 195-202, 214, 219, 221, 230, 259; II, p. 187; G. Ricuperati, Il riformismo sabaudo e la Sardegna, in Id., Le avventure di uno Stato ben amministrato. Storiografia e politica nel Piemonte settecentesco, Torino 1989, pp. 177 s., 198; Id., Gli strumenti dell'assolutismo sabaudo: segreteria di Stato e Consiglio delle finanze nel XVIII secolo, in Dal trono all'albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall'antico regime all'età rivoluzionaria. Atti del Convegno, Torino… 1989, Roma 1991; Id., Lo Stato sabaudo e la crisi dell'ancien régime, in L'eredità dell'Ottantanove in Italia, Firenze 1992, pp. 385-422; Id., Il Settecento, in Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino 1994, pp. 671-680, 693-698; L. Braida, Il commercio delle idee. Editoria e circolazione del libro nella Torino del Settecento, Firenze 1995, pp. 136-138, 198, 203-206; M.T. Silvestrini, La politica della religione. Il governo ecclesiastico dello Stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze 1997, pp. 105, 159; A. Merlotti, L'enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti urbani nel Piemonte del Settecento, Firenze 2000, pp. 168-171, 181-184, 248-250.