MONGINI, Pietro Giovanni
– Nacque a Roma il 29 ott. del 1829 da Giovanni e da Caterina Brizzi.
Venne indirizzato dal padre avvocato verso gli studi giuridici, che abbandonò per intraprendere la carriera militare nell'esercito pontificio, arruolandosi nel reggimento «dei Dragoni» nel 1845. Passato al servizio della Repubblica Romana nel 1849, fu allontanato dall'esercito nel maggio 1850 dopo la restaurazione del governo pontificio. Il M. riprese allora, sotto la guida del maestro D. Concordia a Macerata, lo studio del canto, al quale era stato avviato in gioventù. Inizialmente si propose sulle scene ricoprendo ruoli da basso (come il personaggio di Lucio Silano ne La vestale di S. Mercadante interpretato nella primavera del 1851 al teatro di Macerata), ma iniziò a ottenere un sensibile successo solo quando – nell’aprile dell’anno seguente – provò a cimentarsi con il repertorio da tenore. Nell’estate del 1852 ebbe occasione di venire in contatto a Bologna con il celebre cantante D. Donzelli il quale, riconoscendogli mezzi vocali estremamente promettenti, lo incoraggiò a proseguire in tale direzione (cfr. lettera del M. alla madre del 17 luglio 1852: Armocida, 2009, p. 290).
Negli studi di Armocida (ibid., pp. 289-296) si fa riferimento a un gruppo di importanti documenti monginiani giunti in copia dattiloscritta per mano di un erede, tra cui figurano una memoria artistico-biografica sul cantante e diverse lettere scambiate dal tenore con personaggi di rilievo come E. Tamberlick, G. Rossini, G. Pacini, F. Filippi. Tali copie documentali costituiscono, per interesse e unicità, una fonte di sostanziale importanza per tracciare il profilo biografico del M., altrimenti ricomponibile a stento a prescindere dalla ricostruzione della carriera artistica.
Il M., con l’obiettivo di mettersi alla prova nel circuito dei teatri di alto livello, si procurò presto un agente (tale Gianone) che gli assicurò, a partire dal febbraio 1853, un’entrata mensile di 60 napoleoni, bastanti a mantenerlo decorosamente durante le tournée e a consentirgli di aiutare economicamente la madre e il fratello Carlo. Il primo ingaggio di rilievo giunse con il contratto come primo tenore assoluto nella stagione invernale 1852-53 del teatro Carlo Felice di Genova dove, nonostante la tecnica vocale ancora acerba, il M. si fece notare per l’interpretazione del duca in Rigoletto di G. Verdi. L’anno successivo, a cavallo tra il 1853 e il 1854, il M. ricevette un primo contratto a Lisbona e al teatro Real di Madrid. Tornato in Italia, cantò nel gennaio 1855 all’Argentina di Roma, proseguendo per il teatro Pagliano di Firenze, il Fondo di Napoli, il teatro delle Muse di Ancona. A Roma, ne il Domino nero di L. Rossi, aveva lavorato in compagnia con la futura moglie, la prima donna mezzo soprano Ersilia Crespi. All’indomani della celebrazione del matrimonio nel settembre del 1855, i coniugi partirono alla volta di Parigi, dove il M. era stato ingaggiato dal Théâtre-Italien come primo tenore assoluto insieme con Mario (G.B.M. De Candia), M. Carrion e L. Salvi. Qui debuttò in novembre ne La sonnambula di V. Bellini e in Lucia di Lammermoor di G. Donizetti, ricevendo entusiastiche recensioni da parte della critica. Nel 1856 rientrò in Italia per cantare ancora ad Ancona, a Forlì e a Bergamo. In novembre si spostò a Firenze e nell’inverno 1857 cantò a Torino. In primavera raggiunse Modena per l’apertura del teatro Regio, procedendo poi per Padova e Venezia.
Nel 1858, il M. approdò al teatro La Scala (Guglielmo Tell di G. Rossini), trattenendosi nella stagione invernale a Milano per cantare al teatro della Canobbiana. Dal 1857-58 al 1861-62 venne scritturato per cinque stagioni consecutive al teatro Imperiale di San Pietroburgo. Nel 1859 fu a Londra, principalmente al Drury Lane, ma tornò alla Scala nel 1860 ne Il trovatore di Verdi, riuscendo in tale occasione a ottenere un cachet eccezionalmente alto (cfr. Rosselli, p. 187). Nello stesso anno, cantò a San Pietroburgo e di nuovo al Her Majesty’s Theatre di Londra, dove interpretò un Otello di Rossini che fece furore. In quest’ultimo teatro, e dal 1868 anche al Drury Lane e al Covent Garden, si esibì frequentemente nel decennio 1862-73, avendo modo di proporsi in gran parte del suo repertorio più tipico, ma anche in opere come Oberon di C.M. von Weber, Fidelio di L. van Beethoven, Don Giovanni e Il flauto magico di W.A. Mozart, Marta di F. von Flotow.
Nel 1860 il M. aveva intanto acquistato un’importante proprietà nella campagna di Barza in Ispra sul lago Maggiore. La proprietà includeva un edificio principale raccolto intorno a una torre medievale con diversi terreni e annessi, incluse le pertinenze che costituivano il villaggio rurale abitato da una ventina di famiglie. Al nucleo principale consistente in 2300 pertiche milanesi, andarono a sommarsi nel giro di pochi anni l’acquisto della frazione di Monteggia e altri terreni (ulteriori 1000 pertiche). Il M. intervenne sulla proprietà rimodernando gli edifici annessi, avviando la realizzazione di un parco monumentale e compiendo lavori di sistemazione della residenza padronale, che venne adattata a villa patrizia e attrezzata con un centinaio di camere per gli ospiti.
Tra 1862 e il 1868 il M. fu inoltre spesso a Lisbona, dove raggiunse una tale popolarità da guadagnarsi la stima personale del re del Portogallo Ferdinando II di Sassonia-Coburgo, che nel 1869 si prestò a fare da padrino al primogenito dei suoi figli, Fernando. Nel 1864 venne invitato a cantare a Vienna, nello Hoftheater di Porta Carinzia, mentre nella stagione di Carnevale e di Quaresima 1867-68 cantò al teatro La Fenice di Venezia e tornò a esibirsi al Théâtre-Italien di Parigi. Nel 1868 sfumò un ingaggio alla Scala per la produzione de La forza del destino di Verdi, per via soprattutto dell’elevato compenso richiesto dal M. (38.000 franchi). Sul finire degli anni Sessanta, tornò più volte a Vienna e a Madrid, ovunque raccogliendo consenso generale. Nel 1869, dopo essere transitato per Bologna, tornò alla Scala per il Don Carlo di Verdi e il Mosè di Rossini, e l’anno seguente fu ancora nella compagnia scaligera de Gli Ugonotti di G. Meyerbeer e Otello di Rossini. Nel 1870-71 fu di nuovo a Londra e San Pietroburgo, dove gli venne assicurato un compenso così consistente (80.000 franchi) che la notizia finì sulla stampa internazionale.
Nel dicembre del 1871 venne chiamato per creare il ruolo di Radamès nella prima assoluta dell’Aida di Verdi al Kediviale del Cairo. La direzione del teatro, dopo una lunga trattativa, giunse a scritturarlo per la considerevole cifra di 125.000 franchi e, nonostante il suo reclutamento costituisse da principio un ripiego rispetto al preferito E. Niccolini, la riuscita del M. in questo personaggio eroico e appassionato – evidentemente a lui congeniale sia vocalmente sia drammaticamente – fu addirittura superiore a ogni aspettativa. Dopo l’esperienza di Aida al Cairo, il M. raggiunse Londra per una memorabile interpretazione ne L’Africaine di Meyerbeer al Covent Garden, nel 1872 fu a Parigi, mentre tornò un’ultima volta in Egitto nella stagione 1873-74.
Il M. morì a Milano il 27 apr. del 1874 e venne sepolto nella cappella monumentale di famiglia che aveva fatto costruire nel cimitero di Ispra.
L’ingente patrimonio accumulato nei venti anni di carriera passò alla moglie Ersilia e ai tre figli Fernando, Giovanni e Maria. Gli eredi liquidarono poi, verso la fine dell’Ottocento, la proprietà di Barza, che nel 1935 venne acquisita dai sacerdoti guanelliani ed è ora sede della Casa Don Guanella, dove si ospita un centro congressi e, dal 2002, un concorso di canto dedicato alla memoria del celebre tenore.
Tra gli artisti più pagati della sua generazione, il M. contese gli ingaggi a colleghi illustri come Niccolini, M. Tiberini, G. Fraschini e venne messo spesso a confronto con le prestazioni di E. Tamberlick, con il quale condivise non a caso un’intima amicizia e un duraturo sodalizio artistico. Fu dotato di una voce caratterizzata da grande estensione, agilità, colore particolarmente scuro e grande potenza, sia nel registro basso sia negli acuti vigorosi, che il M. emetteva con facilità fino al do diesis di petto. Ebbe in repertorio un vasto numero di opere tra cui Guglielmo Tell, Otello e Mosè di Rossini; La favorita, Lucia di Lammermoor e Lucrezia Borgia di Donizetti; Aida, Il trovatore, Rigoletto, Ernani, I Vespri siciliani e Luisa Miller di Verdi; Gli Ugonotti, Roberto il Diavolo e Il profeta di Meyerbeer, La sonnambula e Norma di Bellini, Der Freischütz di Weber, L’Ebrea di F. Halévy e Marta di Flotow. Fu un cantante di grande versatilità, in grado di alternare uno stile caratterizzato da suoni di grande volume alla capacità di sostenere in maniera timbrata l’emissione delle mezze voci. Con questi mezzi riuscì, nel corso dell’intera carriera, a sostenere ruoli spiccatamente drammatici e vocalmente carichi, contestualmente ad altri più lirici o addirittura elegiaci. Panofka lo classificò, con Mario e Tiberini, nel gruppo dei «tenori di mezzo carattere, i quali, avendo la voce più forte dei tenori di grazia, hanno dovuto cantare le parti dei tenori di forza» (p. 36). Attore impulsivo e impetuoso, fu generalmente apprezzato per il forte temperamento mostrato in scena e per le eccezionali doti vocali, ma non mancarono le critiche, perlopiù dirette allo stile di canto considerato talvolta inelegante. A tale proposito si fa riferimento, a titolo d’esempio, all'opinione di Meyerbeer che, dopo aver assistito a una recita di Rigoletto a Londra nel 1859, giudicò che il M., dotato di una gradevole voce di tenore straordinariamente risonante, urlava troppo (The diaries, p. 126). La pungente sentenza di Teresa Stolz espressa in una lettera indirizzata a Verdi («Mongini è molto deteriorato e non lega più, ma canta a pugni»; Cairo, 5 dic. 1873, in Carteggi verdiani), in contrasto tuttavia con l’opinione unanimemente positiva sul cantante registrata a Vienna e Londra nello stesso periodo, potrebbe invece stare a indicare che il M. soffrisse negli ultimi mesi non tanto di una crisi vocale, quanto di malesseri anticipatori della fine imminente.
Il M. fu apertamente legato alle istanze liberali del tempo ed esibì pubblicamente la sua posizione di simpatizzante repubblicano, di patriota convinto, mazziniano e massone. La moglie Ersilia, se pur ritiratasi presto dalle scene, condivise con lui la passione artistica e gli fu idealmente al fianco nell’ambito delle intense frequentazioni col mondo musicale internazionale.
Fonti e Bibl.: Del M. si conservano nell'Archivio storico del Teatro La Scala tre lettere autografe del 1855, 1856 e 1862 (CA. 2341, 3975, 3976). G. Pacini, Le mie memorie artistiche, Firenze 1875, pp. 117, 165; I copialettere di G. Verdi, a cura di G. Cesari - A. Luzio, Milano 1913, pp. 177, 207 s., 251, 254, 269; Carteggi verdiani, a cura di A. Luzio, II, Roma 1935, p. 273; S. Abdoun, Lettere e documenti, in Genesi dell’Aida con documentazione inedita, a cura di S. Abdoun, in Quaderni dell’Istituto di studi verdiani, 1971, vol. 4: lettere nn. 61, 63, 65, 68 (pp. 43-48), 104, 105 (pp. 76-78), 122 (pp. 88 s.); G. Meyerbeer, The diaries, a cura di R.I. Letellier, IV, The last years, 1857-1864, London 2004, pp. 126, 339, 341; Id., Briefwechsel und Tagebücher: 1860-64, a cura di S. Henze-Dohring, VIII, Berlin 2006, pp. 605, 609, 917 n., 918; E. Panofka, Voci e cantanti, Firenze 1871, p. 36; G. Monaldi, Cantanti celebri (1829/1929), Roma 1929, pp. 160 s.; G. Armocida, Il tenore P. M. (1826-1874), in Spondamagra, I (1978), 2, pp. 7 s.; R. Celletti, Voce di tenore, Milano 1989, pp. 134, 140, 145; G. Armocida, La villa di Barza e il tenore P. M., in Verbanus, 1992, n. 13, pp. 133-143; J. Rosselli, Il cantante d’opera: storia di una professione (1700-1990), Bologna 1993, pp. 187, 198; U. Piovano, «Potrei fare forse per Tamagno una frase, forse d’effetto». F. Tamagno e il rapporto fra Verdi e i suoi interpreti, in Studi verdiani, 1997, n. 12, pp. 87 s.; L. Polo Friz, La Massoneria italiana nel decennio post-unitario, Milano 1998, p. 321; G. Armocida, Ispra e Barza. Una lunga storia sul lago Maggiore, Ispra 2009, pp. 289-296; Enc. dello spettacolo, VII, col. 742; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 145; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, p. 921.