GAMBACORTA, Pietro
, Pietro. - Le scarne notizie sul G. ci sono pervenute attraverso un breve documento anonimo, di natura agiografica, il Compendium, pubblicato nel Settecento, già conosciuto nel secolo XVII e assegnato dagli eruditi dell’epoca alla fine del secolo XV; in esso si dice che il G. nacque a Pisa nel 1355 dalla famiglia Gambacorta. La tradizione posteriore, senza prove documentarie, fissò l’avvenimento al giorno 16 febbraio. Il nome dei genitori è incerto. Secondo J.A. Truchsess di Westhausen, che nel 1632 compose una biografia del G. rimasta inedita (non più reperibile; cfr. Sajanello), i genitori sarebbero stati Pietro e Niera, o Raniera, Gualandi; ma il biografo più recente, P. Ferrara, lo dice figlio di Gherardo. I documenti contemporanei tacciono del tutto sulle origini familiari del G., che viene costantemente designato come «Petrus de Pisis».
Al momento della nascita del G. i Gambacorta, filofiorentini, capeggiavano la fazione dei bergolini, che deteneva il potere in Pisa dal 1347 ed era avversata dal partito dei raspanti. Rovesciati nel 1355, il 28 maggio di quell’anno sette capi dei bergolini, di cui tre Gambacorta, vennero decapitati, mentre altri, tra cui Pietro e Gherardo Gambacorta, furono costretti all’esilio. Secondo la tradizione, il G. avrebbe trascorso i suoi primi sei anni a Verona e intorno al 1361 sarebbe stato inviato come paggio alla corte urbinate per ricevervi un’educazione conforme al suo rango.
Il 24 febbr. 1369 Pietro e Gherardo Gambacorta con le rispettive famiglie rientrarono a Pisa, dove il primo riassunse il governo della città. Il G., rientrato con loro, rimase estraneo alle vicende politiche, attratto piuttosto da ideali religiosi che condivideva con la parente Tora Gambacorra (figlia di Pietro) divenuta religiosa domenicana con il nome di Chiara.
La tradizione colloca tra il 1374 e il 1377 l’allontanamento del G. dalla casa patema. Egli si sarebbe ritirato dapprima presso gli eremiti di S. Maria del S. Sepolcro, presso Firenze, i quali, oltre alla regola di s. Agostino, osservavano costituzioni e consuetudini proprie, che nel 1373 sarebbero state imposte dalla Sede apostolica ai fondatori spagnoli dell’Ordine di S. Gerolamo. Successivamente il G. avrebbe visitato i centri di Vallombrosa, Camaldoli e La Verna.
Nel 1380 si ritirò sul monte Cesana, presso Urbino, in località Montebello, dove eresse un cenobio e un oratorio dedicato alla Trinità. Era con lui, o forse gli si uni poco dopo, un cerro Pietro di Tuccino da Pisa. Oltre ai consueti esercizi della vita ascetica, sembra che il G. si occupasse dell’assistenza agli esiliati per ragioni politiche. Ispirato alla vita di s. Gerolamo, faceva professione di povertà rigorosa e si imponeva severe penitenze, obblighi che trasmise anche ai suoi seguaci, cui propose inoltre la meditazione e lo studio della Scrittura, e il lavoro manuale.
Intorno al 1393 si unì a lui Angelo di Corsica che guidava un gruppo di membri del Terz’Ordine di S. Francesco, i quali praticavano la vita eremitica nei pressi di Rimini, in località Scolca.
Angelo divenne l’uomo di fiducia del G., o forse, più propriamente, portò avanti, nella sua nuova collocazione, un movimento già avviato in precedenza. Attraverso la sua opera sorsero i conventi di Venezia (dove il 4 luglio 1393 fu acquistata una casa presso la chiesa di S. Raffaele, che più tardi assunse il titolo di S. Sebastiano); di S. Maria Maddalena in Padova, comprato nel 1395 da Arcangelo Sabba da Gubbio e da Pierpaolo del maestro Pietro di Gualdo; di S. Maria della Misericordia, fuori dell’abitato di Ferrara, che Angelo di Corsica comprò verso il 1400; di Talacchio di Urbino, donazione ricevuta da Antonio Vagnini nel 1407; di S. Bartolo di Rimini, lasciato in eredità nel 1414 dall’eremita Angelo di Castro Durante. La situazione fu causa di frizioni con l’Ordine francescano, che per lungo tempo, in mancanza di un preciso statuto giuridico degli eremiti facenti capo al G., rivendicò la giurisdizione sui conventi fondati da Angelo di Corsica.
Il ruolo di comprimario svolto, almeno inizialmente, da Angelo di Corsica, è attestato da un privilegio di papa Gregorio XII, dato a Gaeta il 1° genn. 1410, nel quale si concede agli eremiti «societatis fr. Angeli et fr. Petri de Pisis» di dimorare nei luoghi non soggetti al pontefice. Il documento rivela la scelta di campo operata dal G. e dai suoi nel quadro dello scisma d’Occidente: perché testimonia che erano fedeli all’obbedienza romana. Il privilegio concede inoltre ai sacerdoti del gruppo di amministrare i sacramenti ai seguaci di Gregorio XII in assenza del clero parrocchiale, di assolvere e riconciliare gli scismatici, di accogliere gli infedeli nella Chiesa cattolica.
Intorno al 1417 il G. ricevette in eredità dall’eremita Giovanni Rigo di Bologna i romitori di S. Giovanni in Palazzo e S. Biagio in Selva presso Fano. Il diritto di proprietà del secondo gli venne riconosciuto il 17 giugno 1417 da Pandolfo Malatesta, signore di Fano.
La debolezza che caratterizzava la situazione giuridica del gruppo di eremiti è evidenziata da due documenti emessi in suo favore da Manino V, entrambi in data 5 luglio 1421 e aventi lo stesso incipit: «Piae postulatio voluntatis». Il primo concede l’esenzione per Pietro e compagni - estensibile ai loro successori, oratori e case, persone pertinenti e beni mobili e immobili - dalla giurisdizione dell’Inquisizione, li assume sotto la protezione pontificia e li sottomette alla Sede apostolica e agli ordinari dei luoghi. Il secondo documento, nel quale si accenna nuovamente a molestie dell’Inquisizione, è invece rivolto direttamente contro le pretese dei francescani, che rivendicavano il diritto di visita in base all’appartenenza di Angelo di Corsica al Terz’Ordine di S. Francesco. L’autonomia del gruppo fu confermata dalla bolla di Manino V «Pia fidelium», del 23 ag. 1422, che concedeva agli eremiti la facoltà di scegliere confessori secolari o religiosi, di avere altari portatili sui quali celebrare la messa senza pregiudizio dei diritti altrui e di ricevere i sacramenti nei propri oratori senza dover chiedere il permesso agli ordinari dei luoghi.
L’espansione della Fraternità proseguì nel 1422, quando Lucia Delfino donò al G. il convento di S. Giobbe a Venezia. Lo stesso anno, il 15 ottobre, egli comprò il convento di S. Girolamo a Urbino. Nel 1427 ricevette da Francesco Rattolo la chiesa di S. Marco a Montebirozzo, in diocesi di Pesaro.
In data non precisata il G. conobbe Beltramo da Ferrara, il quale nel 1404 con alcuni compagni si era dato alla vita eremitica nell’ex convento delle benedettine di S. Felicita di Romano, presso Bressano. Il gruppo era giunto a possedere cinque conventi. Data la comune ispirazione geronimiana, Beltramo si associò al Gambacorta. Formalmente, tuttavia, l’unione fu sancita solo dopo la morte del G., nel 1439, tra Beltramo e Bartolomeo da Cesena, succeduto al fondatore a capo della Congregazione pisana, e riguardò solo tre conventi su cinque.
Si unì inoltre al G. il gruppo degli eremiti seguaci di Nicola da Forca Palena, originario dei dintorni di Sulmona, che aveva stabilito un cenobio a Roma, nel rione di S. Eustachio, e successivamente aveva acquistato conventi nei dintorni di Firenze e a Napoli. Il G. e Nicola si erano conosciuti a Roma nel 1425. L’unione fu perfezionata con sanzione pontificia nel 1446 e i nuovi aggiunti portarono alla Congregazione del G. i conventi di S. Onofrio al Gianicolo a Roma e di S. Maria Maggiore a Napoli.
Una bolla di Eugenio IV del 7 luglio 1432 - che confermava al G. e ai suoi compagni il possesso dei cinque conventi di Rirnini, Venezia, Talacchio, Novellara e Ferrara, fondati da Angelo di Corsica - pose fine alla lunga controversia con i francescani e sottolineò implicitamente il ruolo eminente svolto dal G. alla guida del movimento.
Un documento non datato, ma collocabile agli inizi del pontificato di Eugenio IV, lascia intravedere le interazioni tra l’ambiente benedettino veneto riformato e i gruppi eremitici esistenti sullo stesso territorio, ben rappresentati dalla Congregazione del Gambacorta. Si tratta di una supplica presentata al papa da Ludovico Barbo, approvata «sola subscriptione et signarura». Il testo permette di situare i «Poveri eremiti della congregazione di frate Pietro da Pisa », denominazione che costituisce una sona di titolo ufficiale, a metà strada tra un ordine mendicante e una confraternita laicale. Il documento concede l’assoluzione in articulo monis e tutti i privilegi, grazie, esenzioni e indulti apostolici che si sogliono concedere alla case di eremiti; permette ai sacerdoti del gruppo di dispensare dalle irregolarità in cui i membri potessero incorrere, eccetto l’omicidio, non però per accedere agli ordini sacri; nega invece la facoltà di celebrare nelle chiese proprie in tempo di interdetto. L’assenza di strutture giuridiche evolute e il fatto che il primo testo costituzionale venne emanato solo nel 1444 evidenziano la relativa precarietà tipica di quella congregazione eremitica.
Nel 1435 il G. si recò a Venezia, forse allo scopo di appianare le difficoltà sorte tra i suoi seguaci e il parroco di S. Raffaele, sul cui territorio gli eremiti volevano costruire una chiesa.
Il G. morì a Venezia il 17 giugno 1435.
La memoria del suo sepolcro venne presto perduta. Al G. fu per la prima volta attribuito incidentalmente il titolo di «santo» in un rescritto del cardinal penitenziere Leonardo Grossi, in data 9 ott. 1519, diretto ai frati di Fano, chiamati «ordinis heremitarum congregationis sancti Petri de Pisis». Il titolo di beato gli fu riconosciuto dalla congregazione dei Riti con decreto del 5 dic. 1693; la stessa congregazione il 19 genn. 1715 concesse all’Ordine di S. Gerolamo di poterne celebrare il culto pubblico (per gli atti del processo di beatificazione cfr. Ferrara, 1981, coli. 962 s.).
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat.lat. 13104; Acta sanctorum Iunii ..., III, Antverpiae 1701, pp. 533-549 (con l’ed. del Compendium); Bullarium Ordinis S. Hieronymi Congr. b. Petti de Pisis, Venetiis 1716; B. Pucci, Vita del beato P. G. da Pisa, Foligno 1665; A.M. Bonucci, Istoria della vita e miracoli del b. P. G., fondatore della Congregazione de’ romiti di S. Girolamo, Roma 1716; G.B. Sajanello, Historica monumenta Ordinis S. Hieronymi Congregationis b. Petti de Pisis, I, Venetiis 1758, pp. 1-144; P. Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti ..., in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa. Filosofia e filologia, XXIII (19 12), pp. 1-42; M.-H. Laurent, Une supplique de Pierre de G. présentée par Ludovico Barbo à Eugène IV, in Buil. dell’Arch. paleografico italiano, II-III (1956-57), 2, pp. 27-32; P. Ferrara, Luci ed ombre nella Cristianità del secolo XlV. Il beato P. G. da Pisa e la sua congregazione, Città del Vaticano 1964; Id., G., P., in Dict. d’hist. et de géogr. ecclés., XIX, Paris 1981, coll. 961-963; Bibl. sanctorum, s. v.; Dizionario degli istituti di perfezione, s.v.