GALLO, Pietro (Pietro d'Alba)
Originario di Alba, diocesi di Cuneo, è menzionato esclusivamente in atti genovesi che ci consegnano una serie di notizie tutte slegate dalla sua attività di pittore (Alizeri). La prima, del 1385, lo indica quale erede di tale Branda, moglie di Marchisio Valle da Sori (il che lascia supporre che si trovasse a Genova da qualche tempo); nel gennaio del 1394 acquistò, dall'eredità giacente del pittore Giovanni di Roccatagliata (noto solo dai documenti), un giovane schiavo tartaro di nome Rainaldo; in questo documento è menzionato come "Pietro Gallo de Alba pintor civis et habitator Ianue"; a dicembre sconfessò il pagamento. L'anno successivo, nella "caminata" della sua casa genovese, sita in "contracta volte Leonis", la vedova di Giovanni di Roccatagliata si accordò con il proprio cognato sull'eredità ricevuta dal marito defunto. Il nome del G. ricompare nel 1397 come creditore, per sentenza, di Gottardo da Milano maestro d'armi. È menzionato l'ultima volta nel maggio del 1398: si tratta della sentenza di assoluzione dall'accusa mossagli, "propter invidiam", dal pittore senese Taddeo di Bartolo, di aver attentato alla sua vita. Favorì l'esito positivo del processo l'intervento del consigliere della Repubblica Luciano Spinola di San Luca, parente stretto di Cattaneo Spinola per il quale Taddeo aveva dipinto, nel 1393, due polittici, perduti, per la chiesa di famiglia. Infine, un documento che riguarda indirettamente il G., ma che attesta la sua avvenuta morte, è del 1401 anno in cui la moglie Francesca "olim uxor magistri Petri de Alba pictoris" chiede gli alimenti dotali e gli abiti vedovili.
Al G. è stata ricondotta un'unica opera, di cui si ignora l'antica sede: un piccolo trittico firmato "Petrus de Alba pinxit", reso noto per la prima volta, e ricondotto al G. su suggerimento di Giovanni Romano, dallo Zeri che lo aveva visto in una collezione privata. Venne acquistato dal Comune di Torino nel 1995 e fa ora parte delle raccolte del Museo civico d'arte antica della città.
È di forma inconsueta poiché è costituito da un'unica tavola dalle cuspidi non sovrammesse, ma ritagliate dalla tavola stessa (secondo una pratica presente nella bottega genovese di Barnaba da Modena), con cornici applicate e dorate che delimitano sei riquadri delle stesse dimensioni, disposti tre a tre su due ordini; questo impianto porta al raddoppio della tavola centrale così che la Madonna col Bambino tra Pietro e Paolo nell'ordine superiore e s. Francesco che riceve le stigmate e la piccola committente inginocchiata in quello inferiore si trovano, vero e proprio unicum, nella stessa posizione di privilegio; sembra rispondere a esigenze analoghe al curioso montaggio dei polittici di Murcia di Barnaba da Modena, ma non sappiamo quando questo fu realizzato. Le sue ridotte dimensioni suggerirebbero una destinazione privata; in alternativa, data la presenza centrale di s. Francesco e di più santi del suo Ordine negli scomparti laterali, a una chiesa conventuale francescana; è da escludere che si trattasse del S. Francesco di Alba poiché il G. evoca nella firma il nome della propria città d'origine.
La cultura espressa dall'altarolo è in stretta dipendenza dalle opere uscite dalla bottega genovese di Barnaba da Modena, da cui discende, in linea diretta, il modello iconografico della Madonna allattante che il pittore modenese utilizza per un lungo arco di anni; ancora a Barnaba riconducono la tipologia dei punzoni per le aureole e la cromia accesa, con una dominante di rossi lacca e arancio carico, quali ci appaiono in una splendente tavoletta di Barnaba entrata, di recente, in una collezione privata torinese. Più complesso è definirne l'anno di esecuzione poiché, mentre la moda legata all'abito della committente suggerisce un'epoca non anteriore alla fine del nono decennio del Trecento, i dati dello stile, visti in relazione alla produzione della bottega del modenese, farebbero ipotizzare un'epoca più antica quasi che il G., documentato a Genova, seppure a intervalli, non avesse avuto modo di aggiornarsi né sulla maniera dell'ultimo Barnaba né su quella di Taddeo di Bartolo che, come ci dicono i documenti, conosceva bene.
Fonti e Bibl.: F. Alizeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, I, Genova 1870, pp. 184-188; F. Zeri, Un piemontese a Genova verso la fine del Trecento: P. da Alba, in Diari di lavoro 2, Torino 1976, pp. 27-29; G. Algeri, Ai confini del Medioevo, in G. Algeri - A. De Floriani, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, Genova 1991, pp. 26-29, 509; E. Rossetti Brezzi, Un artista ritrovato: P. d'Alba, in Alba Pompeia, XVI (1995), 2, pp. 55-59; Id., P. d'Alba, in Il tesoro della città. Opere d'arte e oggetti preziosi di palazzo Madama (catal.), a cura di S. Pettenati - G. Romano, Torino 1996, p. 12; Id., Tra Piemonte e Liguria, in Primitivi piemontesi nei musei di Torino, a cura di G. Romano, Torino 1997, pp. 22-26.