VISCONTI, Pietro Francesco.
– Nacque presumibilmente a Milano attorno al 1420 da Leonardo e da Margherita Caimi, di nobile famiglia cittadina.
Il padre, discendente diretto di Bernabò Visconti, deteneva signorie nella regione della Gera d’Adda e frequentava la corte ducale.
Con il fratello maggiore Sagramoro (che risiedette in Porta Romana nei palazzi già di Bernabò, mentre Pietro Francesco abitò a Porta Vercellina), nel 1443 Visconti ebbe in dono dal duca Filippo Maria Visconti varie terre confiscate allo zio paterno Giovanni, dichiarato ribelle: il caso accese una disputa familiare che si trascinava ancora nel 1455. Nel 1454 entrambi ebbero in restituzione una tenuta a Pagazzano presso Brignano, in precedenza finita nelle mani di un veneziano durante le vicende belliche.
Sulle orme di Sagramoro (che fin dal 1439 militava per i Visconti, nel 1449 passò con Francesco Sforza e poi fu a capo di milizie nella guerra sforzesca contro Venezia del 1451-53), anche Visconti fu capitano al servizio ducale almeno dai primi anni Cinquanta. Nel 1465 accompagnò in Francia il giovane principe Galeazzo Maria Sforza, a capo di un contingente armato, per prestare aiuto al re Luigi XI nella guerra del Bien public. Come già Sagramoro, dal 1466 fu posto a capo di alcune squadre di lance spezzate, formazioni al diretto servizio ducale che facevano da contraltare alla prevalenza delle compagnie di condotta. In questo ruolo svolse imprese militari che si alternarono agli incarichi politici, diplomatici e cortigiani.
Il 1467, in particolare, fu un anno denso di avvenimenti. Visconti partecipò alle guerre in Romagna contro il Colleoni e prese parte alla battaglia della Riccardina a capo di diverse squadre di lance spezzate; fu poi inviato in autunno alla guerra in Piemonte contro i Savoia e, mentre era incaricato di trattare con Filippo di Bresse, fratello del duca defunto, fu preso in ostaggio a causa di alcune divergenze difficili da comporre. A dicembre, concluse le campagne militari, il duca si trasferì con un colpo di mano nel castello di Porta Giovia, per sottrarsi all’influenza della nobiltà milanese, e tra i pochi fedeli che portò con sé c’era il Visconti, uomo molto rappresentativo della tradizione militare, dinastica e politica del ducato, influente in Gera d’Adda e soprattutto leale e assiduo nel servizio e nel consulto politico.
In quell’anno Visconti ottenne anche l’investitura dei feudi di Basaluzzo e Spina presso Alessandria.
Citato (come il fratello) nei numerosi ordini di genti d’arme e piani di battaglia fatti redigere, con un po’ di esibizionismo militaresco, dal giovane duca, nel 1469 Visconti fece parte (sempre con Sagramoro) di un comitato di esperti che ispezionò terre e fortilizi del confine orientale, ordinando vari provvedimenti di fortificazione e restauro; nello stesso anno i due fratelli presenziarono al battesimo del primogenito del duca, così come continuarono a essere regolarmente convocati ai più importanti consulti, ai giuramenti e alle cerimonie di corte. Nel 1470 l’antica signoria di famiglia, Brignano in Gera d’Adda, fu loro concessa formalmente in feudo.
La concessione feudale era un’eccezione, dato che le signorie di altri rami dei Visconti non furono declassate a feudi ma «semplicemente riconosciute di fatto» o convalidate da generiche conferme (Chittolini, 2005, p. 81 e nota). La circostanza attesta la particolare vicinanza alla dinastia dei due Visconti di Brignano.
Nel 1472 Visconti – che continuava a capeggiare, con altri tre comandanti, gli squadroni di lance spezzate – prese nel Senato il posto di Sagramoro allora defunto. Sempre benvoluto da Galeazzo Maria, che gli attribuiva importanti posti di comando e chiedeva consiglio specialmente nei momenti di tensione politica (come nel 1473 in occasione delle crisi di Genova e di Imola), a fine 1475 Visconti ricevette l’ordine di partecipare (con altri illustri consiglieri) a un’ambasciata presso Carlo duca di Borgogna, detto il Temerario, che dopo un rinvio si svolse nel febbraio del 1476.
L’obiettivo di Sforza era di non farsi coinvolgere nella guerra che con troppa sicurezza il borgognone stava per iniziare contro gli Svizzeri, e di mantenere l’amicizia con la Francia.
Ma fu una missione disgraziata: a fine febbraio, mentre gli ambasciatori approdavano nei pressi di Losanna, il duca Carlo iniziava le ostilità contro gli svizzeri, certo di togliere di mezzo un possente sostegno al re di Francia Luigi XI. Ci fu giusto il tempo di un incontro solenne, il 2 marzo, ma il giorno dopo l’esercito borgognone subì a Grandson una durissima sconfitta.
Visconti e i suoi colleghi non persero tempo ad allontanarsi dai luoghi più insidiosi, non senza disdoro, e affrontarono poi un pericolosissimo viaggio attraverso i passi alpini, tra neve e valanghe. Il Temerario si lamentò della fuga disonorevole, mentre si accingeva a nuove imprese che nel giro di pochi mesi lo avrebbero portato alla catastrofe definitiva.
Nell’estate dello stesso anno 1476 Visconti fu mobilitato con la sua compagnia per un’impresa in Piemonte, a sostegno del giovane duca Filiberto, insieme a un altro capitano e a un corpo di fanteria, un’impresa preparata in tutta segretezza per evitare le possibili interferenze del re di Francia. Quando a fine dicembre Galeazzo Maria cadde vittima di una congiura, Visconti fu annoverato tra i più influenti governanti della reggenza di Bona di Savoia, in costante sintonia con il primo segretario Cicco Simonetta e con pochi altri notabili. La situazione politica era assai complessa, per le insidie esterne e per i problemi interni, soprattutto dopo l’allontanamento dei fratelli del duca defunto e di Roberto Sanseverino. Il ruolo rilevante di Visconti è confermato dai verbali del consiglio più ristretto, che si riuniva nel castello di Porta Giovia, e dai dispacci degli ambasciatori di stanza a Milano.
Nel luglio del 1478 si aprì la crisi di Genova, esito del grave isolamento del Ducato di Milano nel contesto italiano e internazionale. Distolto dalle consuete attività politiche, Visconti fu avviato a Genova a capo di un corpo armato di cavalieri e fanti e qui affrontò l’8 agosto le milizie di Roberto Sanseverino in uno scontro che rivelò la pochezza del comando sforzesco: dopo alcune scaramucce, le milizie si dispersero e, nonostante la superiorità numerica, furono attaccate e sgominate, subendo gravi perdite umane e materiali. Un’altra durissima sconfitta toccò a Visconti nel dicembre dello stesso anno: inviato a capo di un poderoso esercito, con altri quattro capitani, a contrastare l’occupazione svizzera della Leventina, fu indotto dal governo di Milano a continuare l’impresa, benché le condizioni fossero gravemente avverse; pochi animosi combattenti svizzeri, a Giornico, circondarono a sorpresa le milizie sforzesche, le sbaragliarono e le costrinsero alla fuga.
In seguito all’umiliante episodio Visconti prese le distanze dall’entourage del primo segretario e nel giro di pochi mesi era schierato tra i notabili ghibellini – tra cui Borromeo, Marliani, Pusterla – che da tempo invocavano il richiamo dall’esilio di Sforza Maria, Ludovico Maria e Ottaviano Sforza, allontanati da Milano per volontà della reggente Bona di Savoia, ma soprattutto si staccò dal primo segretario Simonetta, che temeva le ambizioni degli Sforza a danno del giovane duca Gian Galeazzo Maria. Quando Ludovico Maria (l’unico superstite) poté rientrare a Milano agli inizi di settembre del 1479, fu proprio Visconti ad accoglierlo: ne era ignaro invece Simonetta, il quale, estraneo all’establishment milanese, fu il solo a pagare le scelte fatte, processato e infine condannato a morte.
Negli anni seguenti Visconti continuò a far parte del nucleo più ristretto del Senato segreto ducale e nel 1482-83 fu nominato in un comitato che alienava entrate minori e dazi per far fronte alla difficile situazione finanziaria. Inoltre capeggiò altre spedizioni militari e svolse missioni rappresentative e diplomatiche di cui danno ampia testimonianza le lettere degli ambasciatori mantovani di stanza a Milano, che ben lo conoscevano per la sua consuetudine con i Gonzaga (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, cart. 1628, lettere del 1482-84).
Data l’inconsistenza del duchetto, di fatto allontanato dal potere, il vero interlocutore di Visconti e leader del governo era Ludovico il Moro (ovvero Ludovico Maria Sforza, duca di Bari). Come il predecessore, egli teneva in gran conto il consiglio di Visconti, che non a caso nel testamento del 1483 sarebbe stato indicato come futuro tutore dei suoi figli naturali legittimati.
Nel febbraio del 1482, dopo la ribellione e la fuga di Roberto Sanseverino, Visconti fu inviato a presidiare Tortona e Castelnuovo. Nei mesi successivi (maggio), fu inviato nel Parmense con il suo colonnello e vi rimase tutta l’estate: stava iniziando infatti la guerra di Ferrara e i Rossi di Parma si schierarono con Venezia. Passò poi nelle campagne cremonesi. Nel marzo del 1483 firmò con i più autorevoli consiglieri sforzeschi un consulto in cui si suggeriva di rompere guerra solo dopo adeguati preparativi militari e avendo la certezza di aiuti degli alleati. Fu così dichiarata formalmente la guerra e, mentre il duca di Calabria Alfonso d’Aragona si avviava verso Ferrara, in maggio Visconti comandò il suo reparto in Lunigiana, essendo giunta notizia che il potente Ibietto Fieschi a sua volta si era accordato con Venezia. Nel giugno del 1483 l’esercito veneziano, sotto il comando di Sanseverino, si avvicinò al confine dell’Adda, oltrepassandolo poi in luglio, e Visconti lo fronteggiò con le sue compagnie in Gera d’Adda, luogo dei suoi feudi aviti, per arretrare poi verso Monza e il Lambro a ricevere i rinforzi di contingenti richiamati da altri fronti. Fu il duca di Calabria, a fine estate, a respingere e a inseguire i veneziani, ma poco dopo (dicembre 1483) Visconti ottenne, con Gian Giacomo Trivulzio, una importante vittoria a Martinengo sul capitano veneziano Scariotto. Nel gennaio del 1484 fu di nuovo a Milano e partecipò alla dieta che radunava i principali alleati del duca in vista del proseguimento del conflitto; in marzo accompagnò a Vigevano Giovanni Pontano, segretario di Alfonso d’Aragona, a visitare il Moro.
Durante le trattative di pace (rese difficili dai molti interessi in gioco, fra i quali le probabili aspirazioni del duca di Calabria sul Ducato di Milano), che dopo una breve ripresa della guerra portarono alla pace di Bagnolo (7 agosto 1484), Visconti fu spesso consultato e mobilitato, finché le malattie non lo misero fuori gioco.
I dispacci mantovani riferiscono, in settembre, che egli era gravemente infermo e che aveva ricevuto la visita di Ludovico Maria; in ottobre si ritirò nelle sue terre della Gera d’Adda per cambiare aria, ma presto si aggravò e ricevette i sacramenti (ibid., lettere del 14 settembre e 13 ottobre). La morte fu di poco successiva, tra ottobre e novembre.
Il testamento, dettato il 30 aprile 1484 a un notaio milanese (Rossetti, 2013, pp. 28-33), menzionava la moglie Eufrosina di Marcolino Barbavara, sposata in seconde nozze (dopo Angela Martinengo), e molti figli e figlie, tra cui Alfonso, che subentrò nei feudi. Il testatore diede puntuali indicazioni per erigere il monumento funebre nella cappella di famiglia in S. Maria del Carmine, fondata dal padre Leonardo e dedicata al santo omonimo, dove si trovava già la sepoltura di Sagramoro. Alcuni elementi della scultura marmorea, realizzata da pregevoli artisti come Benedetto Briosco e Tommaso Cazzaniga, sono dispersi tra i musei di vari continenti, da Kansas City al Louvre di Parigi. L’esecutore testamentario designato fu il nipote Francesco Bernardino di Sagramoro, suo condomino nei feudi di Brignano, che divenne l’esponente più in vista della famiglia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 1628, corrispondenze del 1483-84; Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, reg. 19, cc. 75 ss.; reg. 15, cc. 144 ss. (1470, feudo di Brignano); reg. 19, cc. 482 ss. (1470, giuramento per Spina e Basaluzzo); reg. 51, cc. 149 ss. (1454, restituzione di Pagazzano); reg. 63, cc. 241 ss. (1496, rinnovo dell’investitura di Saliceto del 1477). G.P. Bognetti, Per la storia dello stato visconteo. Un registro di decreti della cancelleria di Filippo Maria Visconti, in Archivio storico lombardo, LIV (1927), pp. 235-357 (in partic. p. 306, n. 77); G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, a cura di G. Soranzo, in RIS2, XXI, 2, Bologna 1932, ad ind.; I diari di Cicco Simonetta, a cura di A.R. Natale, Milano 1962, ad ind.; Acta in Consilio secreto Mediolani, a cura di A.R. Natale, I-III, Milano 1963-1969, ad ind.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Torino 1978, pp. 1419, 1278, 1372, 1374, 1396, 1398, 1411, 1419 s., 1442; Carteggi diplomatici tra Milano sforzesca e la Borgogna, a cura di E. Sestan, II, Roma 1987, ad ind.; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), a cura di F. Leverotti, VI-VIII, X-XII, Roma 1999-2008, ad indices.
C. De Rosmini, Dell’istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian Jacopo Trivulzio, I, Milano 1815, Ip. 83; M.N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza, Roma 1998, ad ind.; G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Milano 2005, p. 81; E. Rossetti, Sotto il segno della vipera. L’agnazione viscontea nel Rinascimento, Milano 2013, pp. 27-33.