SCHIAVAZZI, Pietro Francesco Teobaldi
SCHIAVAZZI, Pietro (Piero) Francesco Teobaldi. – Nacque a Cagliari, in corso Vittorio Emanuele 12, all’una del 14 marzo 1875, da Carlo e da Angela (Angiolina) Bagatti, primo di otto tra fratelli e sorelle: Umberto Maurizio Enrico (1878); Elvira Caterina Maria (1882), che nel 1905 sposò il commediografo Nino Martoglio; Rosina Anna Maria (1886); Romolo Leone Guglielmo (1888); Virginia Carolina Elisa (1892); Remo Carlo Desiderio e Antonia Virginia morirono alla nascita (1890). Fu battezzato il 21 dello stesso mese.
Il padre, ombrellaio e ambulante, proveniva da una famiglia di umile estrazione, originaria di Gignese, piccolo paese sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Nato nel 1835, già sposato, conobbe Angela, nata a Fiumalbo in provincia di Modena. Fuggirono a Cagliari, aprirono un piccolo negozio e regolarizzarono la loro posizione nel 1895 alla morte della moglie di Carlo.
Fin da piccolo Piero dovette contribuire alle precarie condizioni economiche della famiglia. Fece lo strillone per L’Unione Sarda, poi lavorò da pittore e stuccatore. Iniziò a prendere lezioni di canto presso la Scuola municipale di musica, dedicata al grande tenore sardo Mario De Candia, fondata e diretta da Giovanni Battista Dessy, avvocato e musicista, che intuì il potenziale della voce del ragazzo. Dopo essersi esibito in concerto, debuttò nell’Amico Fritz (Hanezò) il 10 febbraio 1895 al teatro civico della città natale. Grazie a una borsa di studio del Comune e per interessamento di Ottone Bacaredda, allora sindaco di Cagliari, fu iscritto al liceo musicale Rossini di Pesaro, diretto da Pietro Mascagni, delle cui opere divenne poi interprete di riferimento. Qui studiò canto nella classe di Luigi Leonesi. Il 22 novembre 1898 fu il Cenciaiolo alla prima assoluta di Iris al Costanzi di Roma. Nel 1899 tenne il ruolo eponimo nel Silvano di Mascagni al saggio della fine del terzo anno di corso, dopo di che abbandonò gli studi senza mai più riprenderli, fidando su una voce fuori dal comune, sulla generosità della natura e sull’innato istinto d’artista. Conobbe intanto Asteria Battistelli, che sposò a Pesaro il 14 luglio 1900, rimastagli sempre devotamente fedele, nonostante il tourbillon di donne che Schiavazzi corteggiò nel corso della vita. Dal matrimonio nacquero tre figli, Carlo (1901), Virginia (1913) e Alfredo (1918). Dalla relazione con il soprano Ersilia Costantini (Roma, 22 aprile 1883-4 novembre 1978) nacque un altro figlio, Piero, che Battistelli volle venisse registrato con il cognome del genitore; un figlio di costui, a sua volta Piero, è giornalista vaticanista.
La carriera vera e propria di Schiavazzi iniziò con La bohème al Comunale di San Giovanni in Persiceto il 23 settembre 1899. Nel corso dell’autunno comparve poi al Politeama Margherita di Cagliari, Cavalleria rusticana e I pescatori di perle, poi al Regio di Torino, Lucia di Lammermoor, e a Carnevale fu al Comunale di Ferrara. Nel 1901 fu al San Carlo di Napoli, Arlecchino nella prima assoluta delle Maschere di Mascagni, che sarebbe dovuta avvenire simultaneamente in sette città (Genova, Milano, Roma, Torino, Venezia, Verona e Napoli), ma qui fu posposta di due giorni per l’indisposizione di Giuseppe Anselmi. In quella stagione sancarliana cantò Cavalleria rusticana, La bohème, Rigoletto; in estate fu al Lizza di Siena e poi al Comunale di Catanzaro; il 29 maggio 1902 all’Adriano di Roma fu Giovanni Antonio nella prima assoluta di Barbagia di Nino Alberti. Dalla metà di settembre partecipò alla tournée di Mascagni negli Stati Uniti e in Canada, ottenendo strepitosi successi al Metropolitan di New York in Cavalleria rusticana e nella prima nordamericana di Iris, dove vestì i panni di Osaka. Nell’inverno del 1903 fu al Regio di Parma, poi al Vittorio Emanuele di Messina, di nuovo al Politeama Margherita di Cagliari. In autunno cantò al Dal Verme di Milano, Iris, diretta dallo stesso Mascagni, mentre nel 1904 fu al Municipale di Odessa, dove debuttò nelle parti di Lenskij (Eugenio Onegin) e di Almaviva (Il barbiere di Siviglia). In aprile al Comunale di Fiume fu protagonista nel Lohengrin.
A questo punto della carriera Schiavazzi vantava un ampio repertorio, dove le parti da tenore di grazia dell’Ottocento italiano (Rigoletto, Lucia di Lammermoor, La sonnambula) si alternavano a quelle francesi allora in voga (Carmen, Faust, Lakmé, Romeo e Giulietta, I pescatori di perle, sempre cantate in italiano) e a quelle della Scapigliatura e della Giovane Scuola (La Gioconda, Manon Lescaut, Cavalleria rusticana, Pagliacci, L’amico Fritz), alla cui causa si era votato, divenendone uno dei più strenui e popolari sostenitori. Il 16 maggio 1904 si esibì al Lirico di Milano nella prima assoluta della Cabrera di Gabriel Dupont. Fu poi al Politeama Rossetti di Trieste e partecipò alla tournée di Ruggero Leoncavallo in Germania, dove cantò in Zazà e, a suo dire, in Rolando di Berlino: ma si dovette trattare di un’esecuzione in forma privata davanti all’imperatore Guglielmo II, perché per la prima assoluta (Berlino, dicembre 1904) e per quella italiana (Napoli, 1905) fu scelto un altro tenore. Nel 1905 si produsse al Lirico di Cagliari e poi al Costanzi di Roma, dove ottenne un successo trionfale nell’Amico Fritz, cui fece seguito il 13 maggio la prima italiana di Amica di Mascagni, dove tenne la parte di Giorgio, che poi cantò al Goldoni di Livorno e al Donizetti di Bergamo. Nel Carnevale 1906 si produsse al Civico di Cagliari, dove cantò anche Adriana Lecouvreur. Il 7 marzo debuttò alla Scala in Resurrezione di Franco Alfano, senza ottenere peraltro un successo folgorante; seguì in aprile il Petruzzelli di Bari con Iris, direttore Mascagni, indi il Politeama Fiorentino, mentre in estate tornò al Regina Margherita di Cagliari per una serie di recite straordinarie di Rigoletto, e in settembre comparve di nuovo al Lirico di Milano in Zazà (un’edizione memorabile per la presenza di Emma Carelli e Titta Ruffo), in Cavalleria rusticana e nella prima assoluta di Mademoiselle de Belle-Isle di Spiro Samara. Nell’inverno 1906-07 cantò al São Carlos di Lisbona in Iris, Tosca, La dannazione di Faust, Rigoletto, Luisa (Louise di Gustave Charpentier), Il demone di Anton Rubinštejn. In aprile passò al Nazionale di Bucarest e tra l’estate e l’autunno cantò a Santiago del Cile e a Valparaiso. Nell’inverno del 1908 fu di nuovo al Civico di Cagliari, e in marzo a Nizza per una Traviata, dove confermò il felice effetto già suscitato nel Rigoletto. In aprile fu al Massimo di Palermo per Lohengrin, direttore Gino Marinuzzi, poi al Giglio di Lucca. Nella stagione invernale si produsse al Liceu di Barcellona con Mefistofele, Zazà, Manon Lescaut, Rigoletto, L’assalto al mulino di Alfred Bruneau. In aprile fu al Costanzi di Roma.
Il 1° agosto 1909 venne diffusa la notizia che Schiavazzi avesse tentato il suicidio con un colpo di pistola all’hotel Metropol di Milano, spinto forse da motivi di cuore: episodio, mai confermato, di una vita movimentata. Bello, aitante, elegante e arguto, Schiavazzi era l’idolo delle signore, circondato dalla fama di tombeur de femmes. Di lì a poche settimane era già sulle scene del Politeama Verdi di Sassari per 15 recite straordinarie di Werther; passò poi al Regina Margherita di Cagliari, mentre il 4 dicembre fu Selmo d’Zarlètt alla prima assoluta di Rosellina dei Vergoni (La Sina d’Vargöun), singolare esempio di opera in vernacolo romagnolo di Francesco Balilla Pratella. Nel 1910 fu al Coliseu di Buenos Aires, poi in Brasile. Nel 1911 si presentò al Vittorio Emanuele di Rimini e il 14 ottobre fu Mateo alla prima italiana della Conchita di Riccardo Zandonai al Dal Verme. Nel marzo 1912 al Teatro del Casinò di Sanremo trionfò come Folco nell’Isabeau di Mascagni, che cantò anche al Politeama Fiorentino, mentre in luglio comparve al Covent Garden di Londra con Conchita; il 30 novembre al Lirico di Milano fu Radu negli Zingari di Leoncavallo, accanto a Eugenia Burzio (Fleana). Nel 1913 al Regio di Torino diede in prima assoluta Il Santo di Ubaldo Pacchierotti, di cui poi avrebbe tenuto a battesimo nel 1914 L’albatro ed Eidelberga mia! nel 1916 al Verdi di Firenze. Sempre nel repertorio italiano del momento, nel febbraio 1914 al Verdi di Firenze cantò La giostra dei falchi di Domenico Monleone.
Nel 1914 (talune fonti sostengono nel 1912) avviò una carriera cinematografica, sulla cui intensità ed estensione sono fiorite notizie non accertabili, che gli attribuiscono un elevato numero di pellicole. I film di cui si ha sicura contezza sono Il bastardo (1915), regìa di Emilio Graziani-Walter, soggetto tratto da Antony di Alexandre Dumas padre; La morte del duca d’Ofena (1916), stesso regista, soggetto originale di Gabriele D’Annunzio; All’ombra di un trono (1921), di Carmine Gallone, dal romanzo Fleur d’ombre di Charles Foleÿ; Il trionfo della vita (1922), di Antonio Gravina, su un soggetto di vita borghese. Il 1915 lo vide al Politeama Pisano per una recita straordinaria dei Pagliacci a favore dei terremotati del Centro Italia, poi al Regina Margherita di Cagliari per Fedora, poi al Carcano di Milano per Cadore di Domenico Montico. Durante la guerra l’attività si orientò verso i teatri di provincia, anche per l’usura della voce che aveva cominciato a farsi evidente fin dal 1911. Nel gennaio 1916 cantò a Udine Cavalleria rusticana e prestò la sua voce alla Messa del soldato, celebrata nella Madonna delle Grazie; al Politeama Genovese fu ancora Folco in Isabeau, direttore Mascagni.
Nel 1917 venne chiamato alle armi, ma evitò il servizio attraverso una serie di permessi di convalescenza, che gli permisero di continuare alacremente l’attività nelle principali città d’Italia, seppure su ribalte minori, che divennero ancora più modeste dal 1919, anno in cui come impresario al Reinach di Parma diede vita al Grand Guignol Musicale, iniziativa che però non ebbe continuità. Il 18 luglio 1920 al Margherita di Cagliari diresse Bonaria, di Alfredo Manini, un «bozzetto sardo» di cui aveva steso il testo. Il lavoro veniva ad aggiungersi ad alcune romanze da camera in cui aveva dato prova di una discreta vena musicale. Nel 1922 comparve per l’ultima volta al Costanzi di Roma in Iris. Si produsse regolarmente nella città natale, sempre accolto da grande successo, mentre nell’aprile 1924 fu al Municipal di Tunisi in Cavalleria rusticana. Seguirono altre sporadiche apparizioni, con nuovi debutti, tra cui all’Adriano di Roma nel Piccolo Marat (1929).
Nel 1936 a Cagliari, dove l’amore e l’ammirazione per il grande tenore non erano mai venuti meno, pubblicò un’autobiografia, Piero Schiavazzi racconta!... L’oblio arrivò con gli anni della seconda guerra mondiale, ma Cagliari continuò a ricordarlo: lì, nel 1946, al Cine Teatro Excelsior eseguì brani dalla sua nuova opera Catina, di cui aveva scritto anche il libretto.
Morì a Roma il 25 maggio 1949, per disturbi cardiaci. Aveva espresso il desiderio di essere sepolto nella città natale. Dal cimitero del Verano di Roma la salma fu traslata nel capoluogo sardo e, dopo una solenne cerimonia in S. Francesco di Paola, fu tumulata nel cimitero Maggiore con enorme concorso di folla, a testimonianza del tenace amore tra la città e il grande artista, che tante volte si era esibito sui palcoscenici cagliaritani, e del quale la stampa locale aveva seguito con puntualità la carriera. La moglie Asteria gli sopravvisse fino al 1960.
Nel corso della carriera Schiavazzi si accostò alla sala d’incisione a Milano nell’ottobre 1903 per la G&T, nel 1905, 1906 e 1909 per la Fonotipia e nel 1906 per la Pathé, in una selezione di brani quasi esclusivamente tratti da opere della Giovane Scuola. Schiavazzi è un chiaro esempio di quei tenori di fine Ottocento e inizio Novecento che abbandonarono l’antica scuola legata al gusto e allo stile del canto romantico, per abbracciare il nuovo genere dell’opéra-lyrique francese e della Giovane Scuola italiana. Pur cantando alcune parti tipiche dei tenori di grazia, come Linda di Chamounix, La sonnambula, Lucia di Lammermoor, o taluni titoli verdiani, come Rigoletto, La traviata, La forza del destino, Falstaff, Il trovatore, Schiavazzi si identificò con l’Enzo della Gioconda, il Faust del Mefistofele, alcuni personaggi pucciniani (Rodolfo, Cavaradossi, Des Grieux, Pinkerton, Johnson), con Don José della Carmen, che, diffusa dall’editore Sonzogno nella versione italiana, divenne ben presto un’icona del verismo, con Andrea Chénier e Fedora di Giordano, e soprattutto con la produzione di Leoncavallo (Pagliacci, Zazà, Zingari) e di Mascagni (Cavalleria rusticana, L’amico Fritz, Silvano, Iris, Isabeau, Le maschere, Amica, Il piccolo Marat), autore di cui, con Bernardo De Muro e Hipólito Lázaro, fu l’interprete per antonomasia. In questa frequentazione la critica ha individuato le cause di un precoce declino e di una carriera la cui fase sfolgorante non durò più di una decina d’anni. In realtà Schiavazzi non portò mai a compiutezza lo studio della tecnica, compensando le lacune, via via sempre più vistose, con la generosità del canto, lo scatto bruciante, la parola scolpita, il fascino della persona e del gesto. Il lascito discografico, troppo severamente giudicato da Rodolfo Celletti (1988, p. 622), permette comunque di ascoltare una voce maschia, di singolare bellezza, accattivante, capace di penetrazione, un canto non privo di sfumature, soprattutto nei dischi del 1903 e del 1906. Lo stile va poi giudicato sulla scorta delle recensioni, contestualizzando quindi l’esuberanza e talune soluzioni eterodosse entro un gusto teatrale trasportato in disco senza grandi mediazioni culturali; occorre tenere conto della differenza tra scena e riproduzione meccanica. Così Schiavazzi non può essere liquidato come un ‘perturbatore della morale vocale’, ma come una delle migliori incarnazioni di quel tipo d’artista che il teatro d’opera del primo Novecento richiese, un artista che con le sue prestazioni veniva a svecchiare canoni non più aderenti al gusto del pubblico.
Fonti e Bibl.: Cagliari, Ufficio stato civile, Registro degli atti di nascita, n. 312, P. I, serie A; P. Schiavazzi, P. S. racconta!..., Cagliari 1936; R. Celletti, S. P., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1964, coll. 1638 s.; Id., Interpreti giordaniani, in Umberto Giordano, a cura di M. Morini, Milano 1968, pp. 200, 216; N. Fara, Il tenore più amato dai cagliaritani: P. S., in Auditorium, 1971; Id., Il re della scena, in Auditorium, 1975; B. Cagnoli, Riccardo Zandonai, Trento 1977, pp. 30, 33, 189, 369; R. Celletti, Il teatro d’opera in disco, 1950-1987, Milano 1988, pp. 367, 622; G. Gualerzi, Interpreti e vocalità dell’“Iris”, in Mascagni e l’“Iris” fra simbolismo e floreale, a cura di M. Morini - P. Ostali, Milano 1989, pp. 48 s.; M.E. Henstock, Fernando De Lucia, London 1990, pp. 308, 323; G. Marchesi, Canto e cantanti, Milano 1990, p. 278; A. Defraia, P. S.: il cantante-attore della giovane scuola, Bologna 1995; G. Landini, I grandi cantanti di Casa Sonzogno, in Casa musicale Sonzogno, I, a cura di M. Morini - N. Ostali - P. Ostali jr, Milano 1995, pp. 180 s.; Gino Marinuzzi. Tema con variazioni, a cura di L. Pierotti Marinuzzi et al., Milano 1995, pp. 53, 116, 609; F. Venturi, Iris 1898-1998. Il centenario, Livorno 1998, ad ind.; A. Vargiu, P. S.: la vita attraverso i documenti, Cagliari 2003; C. Orselli, Pietro Mascagni, Palermo 2011, pp. 65, 72, 81, 240, 245, 248; A. Vargiu, P. S. Biografia di montaggio, Cagliari 2014.