FOSCARINI, Pietro
, Secondogenito di Renier di Michiel, del ramo di S. Agnese, e della sua seconda moglie Elisabetta Morosini, nacque a Venezia il 17 genn. 1578.
Dal matrimonio, celebrato nel 1573, nacquero anche Michele e Gerolamo (1579-1630). Il F. non va confuso né con Pietro di Almorò di Marcantonio (1567-1630) del ramo di S.Agnese e suo parente alla lontana, né con Piero di Giannantonio del ramo "dal pozzo" (1583- 1630), erudito e raccoglitore di cronache, né con Pietro di Alvise o con Pietro di Gerolamo.
Nel dicembre 1598 il F. estrasse la Balla d'oro anticipando l'ingresso in Maggior Consiglio e l'anno dopo si candidò alla carica di consigliere a Zante, risultando il primo dei non eletti. L'esordio politico avvenne il 21 genn. 1603 con la nomina a savio agli Ordini, e il giovane F., pur in posizione subalterna, ebbe modo, anche in virtù di una rielezione nel settembre del medesimo anno, di seguire più da vicino gli avvenimenti che proprio allora portarono alla crisi con la S. Sede e alla radicalizzazione dello scontro interno al patriziato tra i "giovani" e i "vecchi". Per circa due anni il F. rimase inattivo e dopo una serie di candidature andate a vuoto, il 7 genn. 1608 fu nominato ufficiale alle Cazude. Seguirono nei due anni successivi le candidature ai Sopra conti, al Cottimo di Damasco e ancora alle Cazude, fino alla nomina, nel giugno 1610, a provveditore di Comun, magistratura non di primo piano che permetteva tuttavia di sedere in Senato con diritto di voto. Nel 1613 con l'elezione a savio di Terraferma il F. compì il primo salto di qualità entrando in una delle commissioni del Collegio - l'altra era quella dei savi grandi - che detenevano un potere effettivo, con la possibilità di proporre leggi e di sostenerle in Senato, divenendone un mese dopo savio cassier. Lasciate quindi progressivamente le cariche di routine, tipiche dei patrizi in carriera, per quelle di maggior peso, nel 1614 fu rieletto savio di Terraferma e terminato il semestre entrò "stravacante" della Zonta in Senato. Il 27 febbr. 1616 il F. fu nominato rettore a Rettimo che raggiunse, dopo il giuramento del 6 settembre, solo il 28 novembre. "Con quel poco talento che m'ha concesso Dio" - dichiarava con la modestia che lo caratterizzerà spesso - si accingeva a sostenere per trentadue mesi il peso del governo di uno dei tre centri fortificati più importanti dell'isola: 5.000 abitanti, tre castelli e poco più di 3.000 uomini atti alla difesa. Al F. tornarono utili le conoscenze acquisite durante il saviato, quando fu firmatario di un programma di revisione del sistema difensivo dello Stato, e lo dimostrò emanando una serie di "ordini" sull'assetto difensivo dell'area poco dopo aver assunto la carica, della quale costituiscono pressoché l'unica testimonianza, in mancanza della consueta relazione e della serie di dispacci. Il F. si era dimostrato un governante scrupoloso integro e imparziale; tuttavia, diversi anni dopo, nel 1637, un'inchiesta che investì gli amministratori veneziani succedutisi nell'isola tra il 1614 e il 1637 con diverse condanne per malversazioni e soprusi, lambì anche il F., con l'accusa di appropriazione indebita e di compravendita illegale di cavalli, che cadde poi in istruttoria.
Era ritornato a Venezia cresciuto nell'esperienza e nella stima, che gli valsero nel giugno 1620 la rielezione a savio di Terraferma, proprio mentre scoppiava lo scandalo di un vistoso giro di imbrogli elettorali organizzato da patrizi lontani dal giro delle cariche più importanti, i quali con una fraudolenta aggiunta di biglie facevano crescere il numero dei suffragi di amici altrimenti esclusi: indice di un più vasto malessere originato dalla divaricazione sempre più ampia tra patrizi ricchi e poveri, tra chi deteneva le cariche importanti e chi doveva accontentarsi di quelle più modeste. La guerra dei trent'anni che aveva posto a Venezia il dilemma dell'alleanza con il fronte asburgico, la questione valtellinese, la sfavorevole congiuntura economica e il mutamento degli equilibri interni al patriziato costituirono per il F. occasione per maturare la conoscenza dei problemi con i quali si confronterà da protagonista anche negli anni a venire. Nel giugno del 1621 fu rieletto savio di Terraferma e in settembre entrò in Pregadi. Nel 1623 fu eletto sopra Atti del sopragastaldo, avogador dei Consigli e revisore e regolatore sopra Dazi. Alla fine di dicembre ottenne la prima nomina a consigliere dei Dieci e nel marzo del 1624 quella a savio del Consiglio. In questo primo lustro degli anni Venti il F. entrò nel novero di quella élite politica che suscitava sempre più l'insofferenza e l'ostilità del patriziato più debole, manifestata anche contro le cariche che di questa élite erano espressione, il Consiglio dei dieci e gli inquisitori di Stato. Alcune avvisaglie si erano avute nel 1622 con il caso di Antonio Foscarini, frettolosamente giudicato, giustiziato e riabilitato dai Dieci, ai quali si imputava un eccessivo potere. I patrizi poveri, gli scontenti, coloro che volevano ridisegnare l'assetto istituzionale della Serenissima trovarono un battagliero paladino in Renier Zeno, patrizio non povero e non escluso dalle cariche maggiori, eroe per alcuni demagogo per altri. Il 19 marzo 1624 il F. era stato eletto governatore alle Entrate, magistratura finanziaria dalle ampie attribuzioni in campo fiscale. Si discuteva in Senato l'annosa materia dell'insolvenza tributaria, endemica ma particolarmente deleteria allora per la difficile congiuntura economica. Sui criteri da adottare per combatterla si accese un vivace dibattito tra chi invocava la linea dura - far pagare oltre il debito anche la penale - e chi invece proponeva l'indulgenza per chi avesse deciso di mettersi in regola. Tra questi ultimi lo Zeno si mostrò il più deciso e si scontrò con Giovanni Da Mula, accusandolo di favorire gli interessi dei parenti, ovvero proprio del cognato F., in quel momento direttamente interessato per la carica che ricopriva. Il F. divenne così da allora uno dei più decisi avversari dello Zeno, pur da posizioni distinte da quelle del congiunto - notoriamente un "sarpiano" - e ispirate piuttosto a un conservatorismo temperato da realismo, che ne faceva un moderato attento soprattutto a evitare pericolose avventure istituzionali.
Quando nell'autunno del 1627 lo Zeno ridiede fiato alle polemiche contro il doge Giovanni Corner, il F. guidò il fronte dei patrizi "cornaristi" e sia in Collegio sia in Consiglio dei dieci osteggiò lo Zeno, alla cui azione eversiva si erano sommate poi la lunga contrapposizione tra papalisti e giurisdizionalisti e più in generale il disegno del patriziato povero di portare a compimento l'opera di "correzione" del Consiglio dei dieci e delle magistrature a esso collegate (esecutori alla Bestemmia, inquisitori di Stato, provveditori sopra Monasteri) iniziata nel 1582-83, e di ridare prestigio alla Quarantia, tradizionale espressione della nobiltà povera. La rivolta non ebbe il risultato auspicato dai promotori, perché la minaccia di mutamenti troppo radicali fu allontanata dall'alleanza tra i patrizi conservatori e i sarpiani moderati guidati da Nicolò Contarini, cui si era unito anche il Foscarini. Di quelle magistrature egli era da tempo autorevole membro e si distinse in quegli anni come promotore di leggi che elargivano benefici proprio a quel ceto di funzionari della Cancelleria, considerato dai patrizi poveri troppo legato all'oligarchia e troppo potente. Erano d'altronde personaggi come il F. e carriere come la sua il bersaglio del movimento dello Zeno.
Dagli anni Venti e per i due decenni successivi il F. andò a ricoprire gli incarichi più delicati e prestigiosi di indirizzo politico, finanziario ed economico, diventati in quello scorcio di secolo tutti interdipendenti. Una crisi economica di tipo recessivo, i problemi di spesa, il reperimento e la distribuzione delle risorse per sostenere una politica estera al contempo ambiziosa e incerta tra impegno e neutralità esigevano che quegli incarichi fossero affidati a un medesimo, affiatato e ristretto gruppo dirigente.
Agli inizi del 1629 nel ballottaggio per bailo a Costantinopoli il F. fu battuto da Giovanni Cappello, ma ebbe in cambio un numero così elevato di nomine - provveditore in Zecca, aggiunto alle Biave, sopra la Tansa straordinaria, sostituto alla Liberazion dei banditi, consigliere dei Dieci, sopra le deliberazioni del Senato, provveditore all'Artiglieria - da non essere in grado di ricoprirne la maggior parte. Tra il 1629 e il 1630 la questione mantovana era giunta a un punto cruciale e Venezia, fedele alla linea di prudenza, aveva concesso aiuto al duca Carlo I Gonzaga-Nevers, ma non andava oltre una cauta strategia difensiva, mentre gli alleati della lega antiasburgica le chiedevano con insistenza di passare a un ruolo offensivo. Il Senato si riunì per discuterne e nel corso dell'acceso dibattito il F., savio del Consiglio, pronunciò un vibrante discorso a favore dell'intervento. Il suo ardore e l'efficacia oratoria persuasero la maggioranza più degli appelli alla "prudenza" e alla "moderatione" del portavoce del partito opposto, Giovanni Nani. Seguirono invece per Venezia la sconfitta militare e la perdita di prestigio.
Era scoppiata nel frattempo in tutta la sua devastante violenza la peste e il F., che continuava con immutata intensità il suo cursus politico, fu chiamato a svolgere compiti di primo piano nell'organizzazione creata per affrontare l'emergenza, tanto che, eletto sopraprovveditore aggiunto ai sopraprovveditori e provveditori alla Sanità, fu sollevato da ogni altro incarico. Nel maggio 1631 fu per la prima volta riformatore allo Studio di Padova, e in luglio podestà a Brescia ma non fece in tempo ad assumere la carica perché il 27 dicembre fu eletto bailo a Costantinopoli. Partito da Venezia solo l'11 sett. 1632, giunse a Pera il 24 genn. 1633. "Prudentissimo" e fermo fin dagli esordi, il F. continuò a espletare il suo incarico confidando su un rapporto personale di amicizia e familiarità con le autorità ottomane, sfruttandone le inclinazioni, le rivalità e la venalità, affrontando con eguale impegno le grandi questioni e i problemi contingenti, stabilendo con gli altri diplomatici rapporti di fiducia e di stima che ne accrebbero l'autorevolezza anche fuori degli ambienti ufficiali. Per le doti di equilibrio il F. fu spesso ricercato come mediatore anche nelle dispute tra le autorità ottomane e le legazioni straniere. Prestò costante attenzione agli interessi mercantili veneziani, insidiati da difficoltà finanziarie e dal prorompente dinamismo imprenditoriale di Olandesi, Inglesi e Francesi, che aspiravano a detronizzare Venezia dal ruolo di potenza egemone in Levante e a fare del loro re l'unico protettore del credo cristiano in Oriente e delle vestigia dei Luoghi Santi che ne erano il più alto simbolo. Le insidie dei Barbareschi, la liberazione degli schiavi, gli interessi dei mercanti veneziani nei territori dell'Impero, l'attenzione ai Ragusei, temibili concorrenti commerciali, che cercavano di impiantare "fondachi et case aperte" in Costantinopoli, e soprattutto violavano "i diritti veneziani nel Golfo", contrassegnarono l'azione diplomatica che il F. esercitò. Vigilò soprattutto su quei veneziani che, colpiti da bando in patria, si rifugiavano a Costantinopoli, appetiti dalle autorità ottomane per le loro competenze tecniche, specie se marinai o artigiani, che erano dal F. ricercati e rispediti a Venezia con speciale salvacondotto. E questo valeva anche per gli ebrei, numerosi e influenti a Costantinopoli, non esenti talora da "male operationi" ma tutto sommato utili. Uno di essi, ad esempio, il mercante Samuele Spiera, che era stato colpito dal bando ma voleva tornare a Venezia, si era rivolto al F. che lo aveva subito aiutato. Il F. inviò l'ultimo dispaccio il 30 apr. 1634 e il 14 maggio intraprese il viaggio di ritorno lasciando un ricordo di abilità e di saggezza tale che il suo successore, Alvise Contarini, confessava di essere "più in confusione che in speranza di poterlo imitare".
Un elogio proveniente da un amico che era uno dei migliori diplomatici di cui disponesse in quegli anni Venezia, che vivrà momenti drammatici nel corso della sua missione, in un clima che lo stesso F. anticipò nell'esordio della relazione - letta in Senato il 22 settembre - chiamando i tempi del proprio bailaggio "li più torbidi sotto governo il più immoderato e stravagante, con la trattazione de negozi li più gravi e difficili, con la sopravvenienza di accidenti li più fieri e inusitati che da lungo tempo in qua abbi provato alcuno dei miei precessori". Centrale la figura del sultano Murad IV di cui mette in evidenza, non tralasciando le aggettivazioni forti, soprattutto i lati negativi della personalità e dell'azione di governo, e le stravaganti contraddizioni come la chiusura delle bettole, la proibizione del caffè e de "l'uso tanto abituale del tabacco". Un grande Impero quello turco e pieno di risorse, ma abitato da uomini poco "accorti" che per "loro incuria" erano facilmente superati da stranieri più intraprendenti come gli inglesi o i fiamminghi. Molti ministri erano buoni ma in balia degli umori del sultano e le province più lontane erano amministrate da pascià il cui autonomismo faceva sì che "ogni giorno si vadino separando dalla dipendenza di quel governo". La forza armata, pur imponente, era stata a suo giudizio "alterata" dal sultano e anche la flotta sembrava indebolita rispetto al passato anche se - aggiunge prudente - c'erano sempre risorse per "ravvivarle e raddrizzarle". Per la Serenissima - conclude - c'è ancora rispetto perché si crede che sia ricca e che il suo Arsenale sia ben fornito.
Nel settembre 1639 il F. fu eletto dei Cinque correttori alle leggi e contribuì alla presentazione di provvedimenti dal rilevante significato politico, tra cui quelli sulle modalità di accesso e sul riassetto delle carriere nelle Quarantie allo scopo di favorire i giovani patrizi esordienti in politica; e quelli - approvati di stretta misura per l'ostilità di certi patrizi allo strapotere dell'alta burocrazia - che favorivano l'alta burocrazia dello Stato. La morte del sultano Murad IV, l'8 marzo 1640, e l'ascesa al trono del fratello Ibrahim diedero l'opportunità al F. di ritornare a Costantinopoli come ambasciatore straordinario per salutare il nuovo sultano e per firmare gli accordi già negoziati dal bailo Alvise Contarini dopo gli incidenti navali veneto-turchi di Valona di due anni prima. L'esperienza e le capacità riconosciutegli, la stima dei Turchi e il fattivo appoggio dell'amico Contarini - nonostante la sua personale contrarietà all'invio di un ambasceria straordinaria - favorirono la scelta del F., che, eletto l'11 aprile, giunse a Costantinopoli solo ai primi di novembre, a causa delle incertezze del governo. Il F. cercò di dissipare i sospetti dei Turchi, i quali tuttavia resero difficili e appesantiti da formalismi gli incontri politici che si conclusero con la firma dei protocolli d'intesa e il pagamento dell'indennità pattuita. Ripartito il 10 marzo 1641, il F. giunse a Venezia alla fine di aprile, preceduto dalle lettere di plauso del Contarini e di Girolamo Trevisan, bailo entrante, che parlavano del "decoro di splendore e di prudenza" del suo operato. Già il 31 maggio il F. riferiva in Senato dell'incontro col nuovo re e degli impegni reciproci. Accurato e penetrante anche questa volta il profilo del nuovo sultano, segnato dall'infelice giovinezza, parsimonioso, schivo, ipocondriaco e intemperante; "studioso delle cose di legge" ma "poco propenso e poco atto al governo, lascia le faccende di stato in mano al primo Visir". A questo, che aveva conosciuto da bailo quando era capitan pascià, il F. dedica acute osservazioni, constatandone il singolare potere e la "familiarità" con il sultano, ma anche le debolezze, sottolineandone il mutato atteggiamento verso la Serenissima, e le difficoltà frapposte alle trattative per i Luoghi Santi, analizzando le poche luci e le molte ombre dei suoi atti di governo. Diversi per il F. i punti deboli della Porta di cui i principi cristiani dovrebbero approfittare "avanzandosi sopra gli stati di quell'Imperio". Dal negativo quadro che dà del potenziale militare turco più che nel passato trae, infine, valutazioni ottimistiche dal confronto con quello di Venezia: "le loro galee sono così inferiori a quelle di Vs. Ecc. che senza fallo in qual si voglia occorrenza anco in disparità di numero si può promettere ogni migliore e più felice avvenimento". Nel novembre 1643 fu di nuovo riformatore allo Studio di Padova e in questa occasione, con il collega Battista Nani, si pronunciò contro la pubblicazione delle celebri Historie del doge Nicolò Contarini e per la loro conservazione nella Cancelleria segreta. Il 20 sett. 1644 fu prescelto con Giovanni Nani, Alvise Mocenigo e Bertucci Valier, per formare l'ambasciata straordinaria da inviare a Roma per l'elezione del pontefice Innocenzo X. Dopo un viaggio solitario e denso di incontri politici attraverso i territori dello Stato della Chiesa il F. giunse in incognito a Roma il 6 maggio 1645. Come decano spettò a lui portare al papa le lamentele per le solite diatribe giurisdizionalistiche, e soprattutto manifestare le preoccupazioni del suo governo per i cattivi rapporti che intercorrevano tra S. Sede e Francia, che tanto nuocevano agli interessi della Cristianità in un momento di ripresa della minaccia ottomana. Partito anticipatamente il 2 giugno per gravi motivi di famiglia, alla conclusione della missione, che aveva fruttato ai suoi membri il cavalierato, toccò al F. farne il resoconto in Senato il 3 ottobre. La presa d'atto della ciclica alternanza che caratterizzava l'indirizzo politico della S. Sede "con la mutatione del capo" e dei "membri principali" della corte pontificia, che aveva spesso determinato un'oscillazione nei rapporti tra Chiesa e Venezia, si accompagna alla soddisfazione per l'elezione al soglio di Pietro di un amico di Venezia, del quale il F. loda le doti morali e la prudenza nelle questioni politiche.
Il 7 genn. 1646, dopo la morte del doge Francesco Erizzo, il F. fu nominato correttore della Promissione ducale del successore Francesco da Molin - di cui fu anche uno dei 41 elettori - e il 27 gennaio il Senato, nel quadro di una vasta azione diplomatica per ottenere aiuto nella guerra per Candia, lo designò ambasciatore straordinario al papa, considerato la pedina più importante. Giunto a Roma il 24 febbraio, il 3 marzo fu ricevuto dal pontefice.
L'andamento della guerra, i sacrifici e la solitudine della Serenissima, il richiamo insistente al nemico comune della Cristianità che non si sarebbe fermato una volta conquistata l'isola, "sito atto e nato per dominare il mare" e porta dell'Adriatico, la richiesta pressante dell'invio delle navi promesse, l'urgenza di un prestito al re di Polonia perché potesse aprire un nuovo fronte antiturco e la necessità primaria che la S. Sede ristabilisse buoni rapporti con la Francia, furono altrettanti argomenti esposti in ripetuti colloqui dal F. a Innocenzo X. E al pontefice che gli obiettava la mancanza di denaro il F. non si peritò di ricordare che per i casi di emergenza c'erano certi "depositi" all'uopo costituiti e usati anche in passato, e che ad essi "si era posta la mano per una guerra di castro, niente necessaria, e forse poco giusta, contra principi Christiani".
Alla fine di maggio finalmente le galee pontificie avevano raggiunto a Malta la squadra veneta e il F. poté far ritorno a Venezia ove lo attendeva la consueta sequela di incarichi ordinari e straordinari, come quelli di provveditore generale alle Armi del regno e di provveditore generale alle Armi di Candia. Nell'agosto del 1648 era stato rieletto consigliere dei Dieci e in questa carica morì il 21 settembre a Padova nel convento dei frati del Santo. Era stato savio del Consiglio undici volte, sette consigliere dei Dieci, altrettante inquisitore di Stato e cinque consigliere ducale. Per quattro volte fu candidato alle Procuratie - a quella de ultra nel 1638 e nel 1640, a quella, più elevata, de supra nel 1641 e nel 1648 - ma non andò oltre un terzo posto e una sola volta, lasciando l'interrogativo sul perché a una figura del suo prestigio e dal curriculum così lusinghiero sia stato negato l'onore che ne avrebbe costituito il degno coronamento. Dal matrimonio, celebrato il 24 nov. 1604 con Cecilia Da Mula, erano nati cinque maschi e due femmine: il primogenito Renier (1605-1642), continuatore della famiglia, Nicolò (1606-1627), Girolamo (1608, morto probabilmente prima dei 5 anni), Girolamo (1613-1678), Giovanni (1617-1667), Marietta, andata sposa nel 1629 a un Pietro Magno, e Girolama, monaca a S. Antonio di Castello.
Fonti e Bibl.:, Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19, 21: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori…, III, cc. 535, 537; V, c. 346; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro. Nascite, regg. V, c. 105v; VII, pp. 125, 189, 210; VIII, p. 109; Ibid., Miscell. penale, b. 234/12; Ibid., Provv. e sopraprovv. alla Sanità. Necrologi, reg. 874; Ibid., Notai di Venezia. Testamenti, bb. 47, n. 140; 55, n. 192; 1246, n. 666; 167, n. 300; 1279, nn. 76, 85; Ibid., Giudici di petizion. Inventari, b. 382 n. 11; Ibid., Dieci savi alle decime in Rialto, b. 159, cond. 149 (red. 1581 - S. Cassiano); b. 167 condd. 159, 199 (red. 1581 - S. Croce); reg. 1277; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni Pregadi, regg. 7, 10-15, passim; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni Maggior Consiglio, regg. 11-18, passim; Ibid., Segretario alle Voci.Accettazione di cariche, regg. 4, cc. 124, 145; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Giuramento dei rettori…, reg. 6, c. 27; Ibid., Cons. dei dieci. Misc. codd.…, regg. 61, cc. 17, 30v, 69v, 71; 62, cc. 1, 6, 8, 9v, 10, 11, 2 [sic], 2v, 33v, 43v, 52v, 58v, 62, 63v, s.n. (23 marzo 1648); Ibid., Senato. Dispacci dei rettori. Candia, filza 7; Ibid. Deliberazioni Costantinopoli, regg. 19, c. 89; 21, cc. 109 ss.; Ibid. Terra, regg. 72, 73, 96, 99, 104, c. 369; Ibid. Rubricari dei dispacci. Costantinopoli, regg. D 23a-23b; Ibid. Roma, reg. A 33; Ibid. Dispacci degli amb. e resid. Costantinopoli, filze 113-118, 121-122; Ibid.Roma, filze 122-123; Ibid. Collegio. Relazioni… Roma, b. 21; Ibid., Costantinopoli, b. 6; Ibid. Esposizioni principi, reg. 46 (14 ott. 1637); Ibid. Secreta. Archivi propri degli ambasciatori, Roma, b. 10, c. 146; Ibid. Commissioni… (anni 1626-1633), cc. 291-299; Ibid., Bailo in Costantinopoli, bb. 109-111, 284, 285, 311, 323; Ibid., Cinque savi alla Mercanzia…, reg. 146; ibid.Risposte, b. 148, cc. 102-104v; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere ambasciatori. Costantinopoli, b. 7, nn. 157 s.; Ibid., Riformatori allo Studio di Padova, 30; Ibid., Consiglio dei dieci. Deliberazioni comuni, filza 509; Ibid., Maggior Consiglio. Deliberazioni, reg. 39, cc. 1v-32v, 152-158; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Gradenigo, 81; Mss. Malvezzi, 5-8; Mss. Venier, 68-74, 76, 77, 108; Mss. Cicogna, 2712: "Candia e altro"; ibid. 1495: Relatione delli moti interni della republica dal 1616 sino il 1630, p. 6; Mss. Donà Dalle Rose, 440; Mss. Archivio Morosini-Grimani, 348; Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 832 (=8911): Consegi, cc. 129, 136v, 143; 833 (=8912), cc. 32, 165v; 834 (=8913), cc. 238 s.; 835(=8914), cc. 180, 266; 836 (=8915), cc. 74v, 78, 107, 251, 258; 837 (=8916), cc. 18v, 20, 30, 56v, 81, 119, 125v, 149v, 152, 156, 162v, 196v, 217, 238v, 243v, 256v; 838 (=8917), cc. 129v, 259; 839 (=8918), cc. 6v, 14v, 23v, 24, 64v, 268, 295, 303, 309; 840 (=8019), cc. 132, 148, 153, 155, 158, 160, 172, 180, 212, 215, 219, 223, 228, 230, 245; 841 (=8920), cc. 8, 21, 23, 29, 61, 94, 98, 104, 117, 164, 170, 184 s., 187, 202, 209, 221, 227, 231, 237, 240, 244, 253, 258, 269, 271; 842 (=8921), cc. 7, 25, 88, 92, 133, 162, 164; 843 (=8922), cc. 6, 15, 27, 38v; Mss. It., cl. VII, 151(=8036); 198(=8383); 1286 (=9472); 1194 (=8354); 922 (=8847); 1207 (=8852); 774 (=7284): G.A. Venier, Storia delle rivoluzioni seguite nel governo…; Calendar of State papers… existing in the archives…of Venice, XVIII, XXII-XXVI, a cura di A.B. Hinds, London 1912-1925, ad Indices; B. Nani, Istoria…, in Degl'istorici…, VIII-IX, Venezia 1720, ad Ind.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, Venezia 1824-53, III, p. 290; IV, p. 377; C. Cipolla, I caffè a Costantinopoli nel 1633, in Archivio veneto, XXV (1883), pp. 413 s.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1975, pp. 145-147, 152, 245; T. Bertelè, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli…, Bologna 1932, pp. 90, 126, 147, 417; Relazioni di ambasciatori veneti…, XIII, Costantinopoli (1590-1793), a cura di L. Firpo, Torino 1984, ad Ind.; Arch. di Stato di Venezia, I "documenti turchi" dell'Arch. di Stato di Venezia, Inventari della miscellanea, a cura di M.P. Pedani Fabris, Roma 1994, pp. 394, 398, 404; G. Cozzi, Venezia barocca. Conflitti di uomini e di idee nella crisi del Seicento veneziano, Venezia 1995, pp. 236-238.