CALVI, Pietro Fortunato
Uno dei più puri martiri del Risorgimento italiano, nato a Briana, frazione di Noale (Venezia), il 17 febbraio 1817, giustiziato a Mantova il 4 luglio 1855. Frequentò l'Accademia militare degl'ingegneri di Vienna, uscendone nel 1836 col grado di alfiere; e destinato al reggimento Wimpffen, vi raggiunse rapidamente quello di capitano. Per alcun tempo fu di guarnigione a Venezia, dove il contatto con i più noti patrioti colà dimoranti, fra i quali il conte dalmata D. Mirkowich, il ricordo delle passate grandezza e l'asservimento in che giaceva l'antica repubblica, svilupparono in lui i più vivi sensi di libertà di patria. Sembra che la polizia austriaca fosse informata delle aspirazioni del giovine capitano, poiché da Venezia egli fu trasferito a Graz; ma non appena ebbe sentore dei moti rivoluzionarî italiani, s'affrettò a chiedere le dimissioni dal servizio militare austriaco, anzi, senza attenderne l'accettazione, che giunse dieci giorni dopo, partì segretamente, dirigendosi a Trieste, poi a Venezia, che era appena riuscita a rendersi libera. Nominato primo tenente nelle truppe che quel governo provvisorio stava organizzando, il C. fu inviato nel Cadore, da lui difeso strenuamente, contro gli Austriaci che, non osando passare il Piave, difeso dal Durando, avevano deciso di puntare su Belluno, portandosi da Dobbiaco fino a Pieve di Cadore. Il 2 maggio resisté a Venas e ad Oltrechiusa contro 2.000 Austriaci; l'8 maggio, dalla parte di Longarone, volse in fuga un migliaio d'assalitori, e altrettanti il giorno successivo alla chiusa di Venas; il 28 maggio, suggellando con triplice vittoria l'ostinata difesa, sbaragliò a Rivalgo, al Boite, in Val di Rendimera le formidabili schiere addensate dal nemico su tre punti, e contemporaneamente lanciate a furioso assalto. Costretto in quel giorno ad abbandonare il Cadore, dove mancava d'armi, di munizioni e di viveri, di fronte a un nemico sempre più numeroso e bene equipaggiato, il C. corse a Venezia e combatté a Marghera; poi, al comando della legione dei Cacciatori delle Alpi, si coperse di gloria, specialmente nella sortita di Mestre (27 ottobre 1848), a Brondolo (22 maggio 1849), a Treporti (2 agosto), meritandosi la promozione a colonnello per merito di guerra. Costretto all'esilio dopo la caduta di Venezia (28 agosto 1849), il C. riparò a Patrasso, in Grecia, poi ad Atene, e tornato in Italia (1850), visse alcun tempo a Torino, dedito agli studî di scienza militare, volto sempre il pensiero alla redenzione italiana. Colà conobbe il Türr, che lo mise in relazione col Kossuth, esule a Londra. Contemporaneamente, corrispose col Mazzini, dal quale il 4 ottobre 1852 accettò la carica di "commissario organizzatore delle provincie del Cadore e del Friuli" nella imminenza di un moto rivoluzionario che dalla Lombardia, dove scoppiò il 6 febbraio dell'anno successivo, avrebbe dovuto propagarsi in tutta Italia. E nel gennaio accorse alla chiamata di lui a Lugano. Tornato in Torino dopo l'insuccesso di quel tentativo rivoluzionario, vi rimase fino al 16 marzo, quando, per evitare un bando forzato del governo sardo, si recò a Ginevra, trattenendovisi due mesi, quindi a Zurigo. Nel frattempo, il Mazzini, che aveva sciolto il Comitato nazionale italiano e fondato il Partito di azione, preparava un nuovo moto insurrezionale (luglio 1853); e mentre affidava a F. Orsini di sollevare la Lunigiana, incaricava il C. di scendere per i Grigioni e di penetrare nella Valtellina, dove esisteva una fitta rete di patrioti, costituendolo (10 agosto) commissario del Partito d'azione della circoscrizione superiore del Veneto, compresa tra Belluno, Pieve di Cadore e Udine; e condottiero supremo delle bande nazionali che vi sorgessero. Oltre ad accese missive, il Mazzini gl'inviò una somma di danaro per l'ardita impresa. Insieme con quattro suoi compagni (R. Marin, L. Morati, O. Fontana e F. Chinelli) attraversò i Grigioni, e giunto a Glurns, entrò in Lombardia per il passo dello Stelvio. Valicato a piedi il Corno dei Tre Signori, penetrò nel Tirolo meridionale, fermandosi il 13 settembre 1853 a Cogolo, prima di scendere in Val di Sole. Mentre riposava dal lungo cammino fu arrestato, da una forte pattuglia di soldati austriaci, in un albergo del paese, e insieme con tre dei suoi (dacché il quarto aveva presa altra via) condotto a Cles, poi a Bolzano, a Innsbruck, a Verona, infine internato nel Castel San Giorgio di Mantova.
Durante la prigiona il Calvi dovette subire molti interrogatori, nei quali dimostrò straordinaria fermezza d'animo, dichiarando fieramente quale era stato il fine del suo viaggio, e prendendo su di sé l'accusa, fece di tutto per scagionarne i suoi compagni di sventura. Fu condannato a morte il 17 gennaio 1855, e la sentenza fu confermata dal tribunale d' appello di Venezia il 24 febbraio, infine, resa esecutiva il 21 giugno. Udì impassibile il fatale decreto, e rifiutò di chieder grazia, non volendo "abbassarsi né avvilirsi"; invece, a chi gliene faceva profferta, consegnò una sua dichiarazione, scritta in carcere, che era un'ardita requisitoria contro la dominazione austriaca in Italia, e un'affermazione "di incontrare lieto la morte, proclamando in faccia al patibolo che quello che aveva fatto l'aveva fatto di sua certa scienza e coscienza, pronto a farlo ancora per scacciare l'Austria dagli stati italiani che contro il buon diritto aveva usurpato e teneva sotto il suo dominio". Ascese il patibolo, eretto sugli spalti di Belfiore, con animo invitto, e respinse l'aiuto di chi si offriva a facilitargli di salire sul tavolo su cui penzolava la forca, dicendo di aver "le gambe che non tremavano"; e quando gli fu messo il laccio al collo, e levato via il tavolo, ebbe forza di gridare: Viva l'Italia.
Bibl.: C. Bianchi, P. F. Calvi e la spedizione del Cadore, Milano 1863; C. Carducci, Cadore, Bologna 1892; G. Moreno, Calvi e la difesa del Cadore, Roma s. a.; S. Tecchio, Solenni onoranze a P. F. Calvi, Venezia 1905; A. Luzio, I martiri di Belfiore, Milano 1905; L. Paroni, P. F. Calvi, in Riv. milit. ital., 1905; I. Boccazzi, Lettere inedite di Mazzini e Kossuth a P. F. Calvi, in Nuova Antologia, 1° luglio 1906.