FERRIGNI (Coccoluto Ferrigni), Pietro
Nacque a Livorno il 15 nov. 1836 da una famiglia di commercianti di origine meridionale trasferitasi nella città toscana.
Il F. fu sempre estremamente restio ad usare il suo cognome nella dizione completa Coccoluto F. e nell'esercizio dell'attività professionale, sia come avvocato sia come giornalista, fu comunemente noto come F. o sotto lo pseudonimo di Yorick.
Compì i primissimi studi nella sua città, quindi, nel 1849, passò a Pisa, presso l'istituto "S. Caterina"; dotato di una memoria quasi prodigiosa che gli fu di grande aiuto nella carriera scolastica (era in grado di ripetere senza errori conversazioni e discorsi ascoltati una sola volta e conservò questa capacità, per cui era famoso, tutta la vita), si iscrisse molto giovane all'università: nel 1852 frequentò il corso di retorica a Pisa, quindi, dal 1854, la facoltà di giurisprudenza a Siena, dove si laureò nel 1857.
Nel frattempo si era creato un vasto giro di amicizie negli ambienti liberali, sia nella sua città, sia all'università e a Firenze, e aveva preso ad occuparsi di giornalismo e di teatro.
Fin dal 1854 apparve qualche sua recensione su L'Arte, un foglio "letterario artistico e teatrale", in cui, prendendo occasione da argomenti teoricamente "neutri", gli oppositori del regime granducale cercavano di far sentire la loro voce. Dal 1856 collaborava a La Lente, giornale umoristico, con una rubrica di ragguagli livornesi, "Punture di spillo"; proprio sulla Lente prese ad usare, secondo la diffusa abitudine del giornalismo ottocentesco, il nom de plume di Yorick (all'all'inizio più spesso Yorick figlio di Yorick), in omaggio al personaggio di L. Sterne nel Tristram Shandy e pseudonimo usato dallo stesso Sterne, con cui fu soprattutto conosciuto e con cui firmava anche i suoi libri.
Gli eventi capitali del '58-'59 videro il F. inserito a pieno titolo e attivo nelle trame e nel progetti dei liberali toscani, sia pure, data la giovane età, in posizioni non di primo piano; era legato al comitato della Società nazionale che si riuniva in Firenze a palazzo Bartolommei - di cui fu anche segretario - ed amico di tutti i giovani liberali di vario colore e indirizzo che avrebbero preso parte alla "rivoluzione" del 27 aprile, come L. Cempini, P. Puccioni, G. Bandi, F. Martini; fu anche specialmente vicino al più maturo C. Bianchi, uno dei protagonisti del moderatismo toscano come giornalista e politico. Quando, ai primi di aprile, le acque stagnanti del Granducato cominciarono a muoversi, il F., facendo la spola fra Livorno e Firenze, si distinse fra quanti arringavano la folla in strada e distribuivano volantini per preparare la grande dimostrazione popolare che portò alla pacifica fine del Granducato lorenese. Fu il F. a scrivere materialmente in bella calligrafia l'ultimatum che decise Leopoldo II alla fuga; molti memorialisti (Martini, Pesci), raccontando la giornata del 27, lo ricordano piccolo, grassoccio, gioviale, in giro per Firenze a bandire notizie dalla carrozza che ospitava anche la compagnia Meynardier, in scena al teatro del Cocomero. La sera stessa il F. lasciò la città come segretario del Puccioni nominato, dal governo provvisorio di B. Ricasoli, commissario straordinario per le province di Siena e Grosseto.
Segretario, quindi, presso il ministero della Guerra, si arruolò succesivamente nella divisione toscana, che, per l'armistizio di Villafranca, non riuscì a raggiungere il fronte. Nell'estate 1859 il F. era acquartierato a Modena e qui dovette fare la conoscenza di Garibaldi - dall'agosto generale comandante quel corpo - di cui divenne ufficiale di ordinanza e a cui rimase legato anche dopo le dimissioni e durante il soggiorno in Piemonte; Garibaldi, infatti, lo ricorda proprio in quel periodo come suo segretario; nei mesi precedenti la partenza dei Mille, si occupò in particolare della sottoscrizione del Fondo per il milione di fucili. Raggiunse la Sicilia con la spedizione del livornese V. Malenchini, che approdò a Palermo il 21 giugno 1860; ebbe il battesimo del fuoco nelle giornate di Coriolo e Milazzo (17 e 20 luglio), dove si comportò coraggiosamente ottenendo la nomina a capitano e una medaglia d'argento; partecipò poi a tutta l'impresa, fino al Volturno.
Garibaldino come tanti suoi conterranei sull'onda dell'entusiasmo giovanile e del clima avventuroso di quegli anni, rientrato nella sua Toscana il F. riprese gradatamente l'abito che gli era più congeniale del liberale moderato, fondamentalmente conservatore, decisamente unitario epperò via via nostalgico della "Toscanina", la piccola patria regionale per sempre scomparsa. Non a caso gli si attribuisce la frase "L'Italia s'è potuta fare perché c'era Garibaldi: guai se ce ne fossero stati due".
Non aveva mai completamente smesso di scrivere su vari fogli (Il Romito di Livorno, il Carlo Goldoni, L'Indicatore) con collaborazioni che spaziavano dai resoconti di mostre ed esposizioni artistiche al racconto aneddotico, alla critica teatrale; dal fronte aveva anche inviato alcune corrispondenze a La Nazione, il quotidiano espresso dai moderati toscani dopo Villafranca e all'epoca diretto dal suo amico Puccioni. Rinsediatosi fra Livorno e Firenze (si stabilirà definitivamente nel capoluogo solo nel 1869), il F. riprese di lena e contestualmente l'attività giornalistica e quella forense.
Nel periodo dal luglio 1861 all'ottobre 1862, come redattore e quindi direttore, aveva curato i cinquanta numeri di una pubblicazione, L'Esposizione italiana del 1861, a questa specificamente dedicata. Dall'aprile 1864 iniziò a collaborare regolarmente alla Nazione con una rubrica di note di varietà, fantasie, piccole cronache, "Cronache della settimana", appunto, che usciva sull'appendice del quotidiano la domenica: negli anni, non mutando nella sostanza di contenuto, si intitolò "Su e giù per Firenze" (dal 1874), "Gazzettino del bel mondo" (il F. di carattere vivacissimo e allegro, noto per gli scherzi che era solito organizzare e le battute, vero bon vivant, era molto ricercato ed invitato dalla migliore società fiorentina) e vi si aggiunse anche una rubrica di piccola posta dei lettori.
In queste rubriche, come nelle collaborazioni ad altri giornali sopravvenute via via nel corso degli anni, gli argomenti trattati variano dal resoconto di balli e ricevimenti ai reportages di eventi notevoli - come, ad esempio, il varo della corazzata "Lepanto", apparso su IlFieramosca -, dalle corrispondenze di viaggio o da luoghi di villeggiatura alla descrizione in vernacolo di piccoli eventi nella cornice stracittadina, mentre il tono oscilla dalla nota di costume e di vita culturale alla garbata presa in giro, alla freddura vera e propria, al salace doppio senso.
Permanente, nel F., la propensione ad un giornalismo materiato di cronaca e non di politica, non ancora comune all'epoca in Italia e forse l'elemento di maggior modernità della sua opera; pressoché costante la superficialità culturale (L. Franchetti in una lettera a L. Capuana definiva il F.: "Ragazzo di molto spirito e d'ingegno, ma di pochi studi e di poca voglia di lavorare", in La Nazione nei suoi..., p. 189), nonché l'approccio umoristico, la volontà di evadere nello scherzo e nella mordacità i problemi sociali anche seri che talvolta al cronista capitasse di incontrare; basilare in tutta la produzione la rielaborazione di motivi regionali per cui nella triade, di cui il F. fece parte, che signoreggiò il giornalismo moderato toscano negli anni Sessanta-Ottanta egli va piuttosto affiancato al Collodi (C. Lorenzini) che non a F. Martini, inserito in una prospettiva culturale nazionale più ampia.
Era, dunque, quasi inevitabile che quando, proprio a Firenze, nel giugno 1870, si imbastì il progetto di dare vita ad un quotidiano nuovo, più leggero nella forma se non nella sostanza, moderno, vario negli interessi, destinato perciò a grande successo e a far epoca nell'Italietta di allora - e fu Il Fanfulla -, il F. prendesse parte da protagonista all'avvenimento; l'idea era venuta ad un gruppetto di suoi amici (F. De Renzis, G. A. Cesana, G. Piacentini), i quali subito lo coinvolsero nell'impresa. Il F. sembra fosse in un primo tempo destinato alla direzione, incarico da cui però volle subito liberarsi in quanto sovraccarico di impegni, sia come giornalista sia come avvocato, professione che non aveva mai abbandonato. Ne fuperò uno dei principali collaboratori, spostandosi anche per lunghi periodi a Roma, quando il giornale vi si trasferì dopo il 20 settembre.
Un episodio degli esordi del Fanfulla merita di essere segnalato in quanto proprio il F. redasse, sotto falso nome, le seguitissime e appassionanti corrispondenze dal fronte della guerra franco-prussiana che compilava in redazione con l'aiuto, della sua fantasia e dei dispacci d'agenzia.
Altro settore preminente dell'attività giornalistica del F. fu quello della critica teatrale, ambito in cui si era mosso fin dagli esordi; dall'ottobre 1868 successe al Capuana nella rassegna del lunedì della Nazione, divenendo così il critico en titre del giornale, incarico che ricoprì fino al 1883.
Esercitò le sue funzioni dimostrando profonda conoscenza ed esperienza della materia, nonché acuta sensibilità per il ruolo del grande attore, ma anche in questo campo non riuscì ad essere più che l'accurato cronista di una lunga stagione della vita teatrale italiana.
Volendo considerarlo nella prospettiva di una dimensione critica più solida e strutturata divengono subito evidenti i limiti di una preparazione estetica molto carente e le sue opinioni ci si rivelano fondate su "concetti confusi e superficiali" (termini precisi del giudizio che di lui dette il Croce). I principi critici fondamentalmente elaborati dal F. (quali si deducono da recensioni e pezzi d'occasione raccolti per la maggior parte in volumi collettanei, sia ordinati dal F. stesso sia postumi: Vent'anni al teatro, I, Il teatro dei burattini, Firenze 1884; II, La morte di una musa, ibid. 1885; Pietro Cossa e il dramma romano, ibid. 1905; Il teatro di P. Ferrari nella critica di Yorick, Milano 1922) partono dalla constatazione della morte della tragedia - appunto la morte di una musa - cui conseguono giudizi quasi sempre negativi sul dramma storico "a tesi", a fini didascalici ed educativi, e sul "teatro sociale", nella convinzione che non sia compito del teatro riformare la società, bensì solo di intrattenerla, se possibile piacevolmente, con la descrizione del "vero", da identificarsi in un quotidiano scontro di psicologie, equilibrato però e quindi lontano dai pasticciati drammoni francesi, o alla francese, che il F. profondamente detestava.
Si pronunciò anche come operatore teatrale, dimostrandosi sempre contrario all'intervento dello Stato sotto forma di sovvenzioni alle compagnie stabili e di premi agli attori (Teatro e governo, Firenze 1888); nel 1890 fece parte, insieme con A. Ristori, L. Fortis, L. Pullè, della commissione ministeriale che doveva riorganizzare i concorsi teatrali.
Dagli inizi degli anni Ottanta, comunque, il F. aveva progressivamente ridotto l'attività giornalistica, mantenendo solo sporadiche collaborazioni e la cura di un suo settimanale di cronaca cittadina, La Domenica fiorentina, fondato nel 1888. Da sempre legato, anche attraverso l'attività forense, all'entourage finanziario della "consorteria" toscana (era stato fra l'altro testimone, nel luglio 1868, all'inchiesta della commissione parlamentare per i sospetti di corruzione nella questione della Regia cointeressata dei tabacchi), negli ultimi anni della sua vita si dedicò soprattutto alle funzioni di amministratore e segretario dell'industriale livornese G. Bastogi.
Morì a Firenze il 13 dic. 1895.
I vivaci bozzetti del F., le fantasie verbali in vernacolo, i resoconti in presa diretta degli eventi più vari ma soprattutto della cronaca della sua "Toscanina", in uno stile ridondante, ricco di metafore, di concise similitudini, di aggettivi e di enumerazioni - oggi per il lettore moderno faticoso e talvolta fastidioso - ebbero ai tempi suoi, e in ambito regionale ben più a lungo, un notevole successo che si concretò in numerose edizioni dei molti volumi in cui furono raccolti i suoi articoli, dei quali si ricordano: Cronache dei bagni di mare, Pisa 1868; Fra quadri e statue, Milano 1873; Vedi Napoli e poi..., Napoli 1877; Su e giù per Firenze, Firenze 1877, Passeggiate, ibid. 1879; Lungo l'Arno, Milano 1882 (per un'elencazione più completa si veda in I Toscani dell'Ottocento).
Ambedue i figli del F., avuti dalla moglie Alessandrina Zoubkov, furono giornalisti: Umberto (Livorno 1866-1932) lo aveva sostituito, alla sua morte, nella direzione della Domenica fiorentina, della quale riprese le pubblicazioni, interrotte nel 1898, dal 1906 al 1910; sempre nl 1906 aveva fondato un suo quotidiano, Il NuovoGiornale; anch'egli interessato al teatro aveva scritto varie commedie che però non avevano avuto successo (Le prime armi, 1906; La scorciatoia, 1907; Colette, 1913) e molto teatro aveva tradotto dal francese; nella necessità di cedere il suo giornale, che fu rilevato e riassorbito dalla Nazione, si trasferì a Parigi, dove continuò a lavorare nel giornalismo con lo pseudonimo di Fernand Rigny, collaborando a L'Avenir, La Liberté, Le Figaro.
Il secondo figlio Mario (Firenze 23 sett. 1878- Roma 14 maggio 1943) collaborò come critico teatrale sia a La Domenica fiorentina sia a Il NuovoGiornale; si trasferì quindi a Milano dove, dal 1913 al 1923, fu critico teatrale del quotidiano La Sera; dal 1923 al 1934 diresse La Lettura, quindi successe a M. Praga come critico teatrale de L'Illustrazione italiana. Negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale fu anche direttore degli istituti italiani di cultura di Praga, Losanna e L'Aja, e tenne alla radio la rubrica "Da vicino e da lontano". Scrisse numerose pièces teatrali tra cui in particolare il dramma sacro Santo Francesco, messo in scena nel 1925, al Costanzi di Roma dalla compagnia Ricci-Bagni.
Fonti e Bibl.: G. Bandi, I Mille, Firenze 1895, pp. 274, 285, 299; G. Garibaldi, Ediz. naz., Epistolario, X, 4, 1859,Città di Castello 1982; XI, 5, 1860,ibid. 1988, ad Indices (s. v. Coccoluto - F.); N. Bernardini, Guida alla stampa periodica ital., Lecce 1890, pp. 60 s.; G. A. Cesana, Ricordi di un giornalista, Milano 1892, pp. 366 s., 375-79; U.Pesci, Firenze capitale, Firenze 1904, ad Ind.; F. Pera, Nuove biografie livornesi, s. 4,Siena 1906,pp. 177-88; T. Gaudioso, Il giornalismo letterario in Toscana dal 1848 al 1859, Firenze 1922, pp. 27, 29, 34; I Toscani dell'Ottocento, a cura di P. Pancrazi, Firenze 1924, ad Ind.; F. Martini, Confessioni e ricordi, I, Firenze granducale, Milano 1929, pp. 238, 316 ss., 339; M. Puccioni, Il Risorgimento ital. nell'opera, negli scritti e nella corrispondenza di Piero Puccioni, in Rass. st. del Risorgimento, VII (1929), pp. 458 s., 461, 665, 667,672; VIII (1930), pp. 629, 656, 659 s.; Uomo allegro... Yorick, a cura di M. Ferrigni, Roma 1930;L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930, ad Ind. (s. v. Yorick); B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 334 ss.; B. Righini, I periodici fiorentini, Firenze 1955, ad Ind.; La Nazione nei suoi cento anni 1859-1959, Bologna 1959, ad Ind.; P. F. Listri, Firenze e la Toscana di Yorick, Prato 1985; G. Antonucci, Storia della critica teatrale, Roma 1990, ad Ind.; Encicl. dello spettacolo, s. v. (per il F. e per il figlio Mario).