FENOGLIO, Pietro
Nacque a Torino il 3 maggio 1865 da Giovanni e da Giacinta Guillot, entrambi della media borghesia sabauda; il padre, laureato in giurisprudenza, si occupava di amministrazione di case, la madre era figlia del viceprefetto di Chambéry che, dopo l'annessione della Savoia alla Francia, si era trasferito a Torino. Dopo aver frequentato le scuole superiori probabilmente di indirizzo tecnico, si laureò nel 1886 alla Regia Scuola di applicazioni per gli ingegneri di Torino, iniziando verso il 1889 l'attività professionale dopo una parentesi come professore di disegno. In breve tempo organizzò uno studio di progettazione architettonica, da cui uscirono, in più di vent'anni di attività, centinaia di progetti finali da lui firmati, ma di incerta attribuzione, anche perché dei numerosi collaboratori di cui si valse per far fronte a una committenza sempre più ampia sono noti per ora soltanto l'architetto G. Gussoni e l'ingegnere G. Marinari, che gli subentrò nel 1912.
Nell'ambito della sua attività di progettazione architettonica, nel 1902, occupandosi personalmente dell'edificazione dell'area principale del villaggio Leumann a Collegno - uno degli esempi più significativi di villaggi operai in Italia settentrionale - il F. entrò in rapporto con i Leumann, imprenditori cotonieri di origine svizzera, e ciò gli permise di inserirsi nei consigli d'amministrazione [cda] e nei collegi sindacali di imprese di svariati settori (cotonifici, cartiere, costruzioni, pellami); in particolare, come membro della Società torinese per abitazioni popolari (STAP), poté costruire alcuni complessi edilizi popolari anche a Torino, seppure in scala minore e sempre con uno stile tradizionale.
Nel 1902, candidatosi nella lista giolittiana dell'Unione monarchica liberale, fu eletto consigliere comunale; queste elezioni segnarono il trapasso definitivo dalla vecchia classe politica liberale, legata alla Destra storica, a nuove forze che, rappresentando i gruppi imprenditoriali più avanzati, erano mteressate a trasformare rapidamente la città in un centro industriale moderno. In questo ambito il nuovo sindaco S. Frola lanciò nel 1905 un ambizioso piano di municipafizzazione dei servizi pubblici e di edilizia popolare - culminato nel nuovo piano regolatore del 1908 - che, anche se realizzato solo in parte, costituì un momento di grande innovazione rispetto al passato.
Il F. partecipò attivamente alle iniziative delle giunte Frola, soprattutto dal 1903 al 1906, come esperto dei settori urbanistico e finanziario; venne infatti nominato relatore della commissione Bilancio, membro della commissione d'Ornato urbano e, nel 1905, per un breve periodo, assessore al "Catasto e piano regolatore fuori cinta". Dal 1903 al 1912, in qualità di rappresentante del Comune, fu anche consigliere della Cassa di risparmio di Torino - principale finanziatrice dei piani di sviluppo comunali - con il ruolo, tra l'altro, di "incaricato dei fabbricati".
Nel 1911 il F., che prima aveva operato solo nell'area torinese, si trasferì a Milano per entrare alla Banca commerciale italiana, come direttore centrale (BCI) con l'incarico specifico di curare i rapporti con il mondo industriale; era questo un compito molto rilevante all'interno di una banca che stava svolgendo un ruolo determinante per il finanziamento dei più importanti settori produttivi italiani.
Già da un decennio il F. aveva avuto varie occasioni di contatto con l'entourage torinese della banca, soprattutto all'interno dei cda delle società legate ai Leumann di cui la BCI era stata tra i principali finanziatori, avendo tra l'altro partecipato nel 1905 alla costituzione del Cotonificio piemontese. Accanto al F. - ancora rappresentante dei Leumann - nei cda di queste imprese sedevano come fiduciari della BCI i direttori della filiale torinese M. Gianzana e V. Rol, insieme col finanziere E. Pollone e col banchiere C. Parca, l'uno consigliere della BCI, ma anche collega del F. alla Cassa di risparmio, e l'altro esponente della Casa Marsaglia - ditta bancaria legata alla BCI - e del F. amico di lunga data.
Questi contatti con la BCI e le competenze nel settore tecnico-industriale che il F. aveva ormai acquisito lo avevano portato a riscuotere in breve tempo la massima fiducia della dirigenza della banca. Già intorno al 1907 l'amministratore delegato O. Joel gli aveva proposto di entrare nella direzione centrale della BCI, ma il F. aveva preferito attendere qualche anno perché ancora assorbito da numerosi impegni e cariche pubbliche. Nell'estate del 1908 egli declinava anche l'offerta di entrare nel nuovo cda della Fabbrica italiana automobili Torino (FIAT) - che stava attraversando una grave crisi - come rappresentante della BCI insieme con Pollone e D. Ferraris. La carica era a suo parere incompatibile con quella di consigliere della Cassa di risparmio, che aveva erogato all'impresa torinese, con il probabile concorso dello stesso F., cospicui finanziamenti essenziali alla sua ripresa. Un primo incarico per conto della BCI si riscontra intorno al 1910, quando venne eletto presidente dell'Unione concimi di Milano - importante società del settore dei fertilizzanti - nell'ambito della sua riorganizzazione finanziaria gestita congiuntamente dalla BCI e dal Credito italiano.
Divenuta ufficiale, nel marzo 1911, la sua entrata nell'istituto milanese. il F. venne immediatamente inserito in numerosi cda di imprese legate alla BCI - in alcuni casi come presidente - soprattutto dei settori elettrico e chimico-minerario, diventando "il più autorevole esperto in materia industriale della Commerciale" (Webster, p. 251). Durante il biennio 19131914 contribuì in prima persona alla fusione di alcune società idroelettriche piemontesi e alla stipulazione di importanti accordi nell'industria delle armi e nel settore cantieristico; inoltre rappresentò la Banca nelle complesse e infruttuose trattative per la costituzione di un trust elettrico italo-belga. Sempre sostenuto e stimato da Joel, fu ben presto considerato all'interno della direzione il primo degli italiani, immediatamente dopo i due amministratori delegati Joel e F. Weil, entrambi di origine tedesca, e dopo il direttore di origine polacca G. Toeplitz; in anni in cui il nazionalismo si stava diffondendo in ogni settore della società italiana, con la conseguente ostilità verso tutto ciò che era straniero, il F. si trovò spesso a dover assumere particolari incarichi al posto dei suoi colleghi.
Dal 1913 al 1920 fu il portavoce ufficiale della BCI durante le assemblee della Banca medesima, anche perché curava lui stesso la stesura delle relazioni del cda, trovandosi in prima persona a rintuzzare con abilità gli attacchi di alcuni azionisti, soprattutto durante il periodo bellico. Si occupò inoltre degli affari dell'istituto nel Mediterraneo orientale. In particolare, venne eletto nel 1912 amministratore delegato della Società commerciale d'Oriente, che fungeva in questi anni da "filiale estera" della banca. Nei mesi precedenti lo scoppio del conflitto mondiale partecipò, come rappresentante della BCI, a importanti iniziative di carattere diplomatico nei Balcani, quali la concessione di prestiti alla Serbia e al Montenegro e la costituzione della Banca nazionale d'Albania; in tali circostanze, che lo videro anche fronteggiare l'agguerrita concorrenza austriaca, ebbe occasione di collaborare per la prima volta con esponenti del governo italiano.
Nel giugno 1915 Joel si dimise da amministratore delegato a causa di una violenta campagna di stampa contro la BCI, promossa dai nazionalisti guidati da G. Preziosi e M. Pantaleoni, che l'avevano accusata di essere una "banca germanica" per i suoi passati legami con la finanza austro-tedesca. Il F. e Toeplitz, designati dallo stesso Joel come suoi successori, ma nominati ammini stratori delegati solo nel marzo 1917, guidarono la BCI attraverso i difficili anni della guerra, durante i quali non si placò l'avversa campagna di stampa; nei primi mesi del 1918 la banca dovette anche arginare il tentativo di "scalata" dei fratelli Perrone, proprietari del gruppo siderurgico-meccanico Ansaldo, che controllava la Banca italiana di sconto, e tra i principali finanziatori della stampa nazionalista. In tutti questi frangenti il F. non subì mai attacchi frontali del tipo di quelli riservati a Toeplitz, non solo perché italiano e per le sue indubbie capacità mediatrici, ma anche per i suoi trascorsi politici che lo avevano probabilmente avvicinato all'ambiente nazionalista; ne è prova il fatto che nei primi mesi del 1916 venne perfino contattato per passare nell'opposto schieramento. Rifiutò l'offerta, come respinse anche, nell'ottobre 1919, la proposta dei Perrone di diventare il nuovo presidente della BCI al posto del dimissionario L. Canzi, nel tentativo infruttuoso di ostacolare la candidatura di S. Crespi. La contesa con i Perrone si concluse nel 1920 con la piena vittoria della BCI e il successivo crollo del gruppo Ansaldo-Banca italiana di sconto; vi fu poi lo strascico del processo per aggiotaggio presso l'Alta Corte di giustizia contro i Perrone e i dirigenti della BCI, compreso il F., che si risolse nel 1922 con un'assoluzione generale.
In questi anni particolarmente convulsi il F. intensificò i contatti con le autorità governative; determinante fu, tra l'altro, il suo apporto nel giugno 1918 alla stipulazione del cartello bancario tra le principali banche italiane, voluto dall'allora ministro del Tesoro F. S. Nitti, che egli ben conosceva da alcuni anni. Nel 1918-1919 partecipò inoltre per conto della BCI ai lavori della Commissione per il dopoguerra, come membro della sezione Ordinamento del credito.
Tra il 1916 e il 1920 si trovò anche a gestire personalmente la politica siderurgica della banca, in rappresentanza della quale era stato nominato presidente della Franchi-Gregorini, consigliere della Terni e della Piombino; ebbe quindi la responsabilità oggettiva, di fronte agli altri membri della direzione, del comportamento dei gruppi siderurgici e in particolare della Piombino di M. Bondi, che nell'autunno del 1917 era riuscito a scalzare A. Odero - vecchio alleato della BCI, presidente della Terni e del trust siderurgico - e a creare l'anno seguente il gruppo polisettoriale della "grande Ilva". Nominato consigliere dell'Ilva nel luglio 1918, si trovò anche a mediare, pochi mesi dopo, l'ennesimo scontro tra Bondi e la Terni di Odero. In seguito, un altro consigliere, L. Mazzotti Biancinelli, dichiarò che il F. nel 1917 aveva sostenuto Bondi nella sua trama contro Odero, circostanza che il F. negò decisamente (Arch. storico d. Camera dei deputati, Inchiesta sulle spese di guerra, fasc. 6, 182, 184). Non è stata per ora riscontrata alcuna traccia concreta di uno scontro sull'Ilva tra il F. e Toeplitz negli anni 1919-1921, come invece sostenne Preziosi sull'Idea nazionale;si deve comunque rilevare che proprio nell'autunno del 1919, all'inizio della crisi del gruppo di Bondi, il F. maturò pubblicamente il proposito di dimettersi da amministratore delegato della BCI. La crisi dell'Ilva si concluse nel 1921 con un suo drastico ridimensionamento e con la sconfitta del suo gruppo dirigente.
Frattanto, nominato vicepresidente della BCI nel marzo 1920, si trasferì a Roma per stabilire rapporti sempre più diretti e continuativi con le autorità governative, colmando un'esigenza molto avvertita da tempo all'interno della banca e istituzionalizzando il lavoro che egli stesso aveva svolto negli anni precedenti. Il F., che il 6 marzo aveva dato le dimissioni da amministratore delegato e direttore centrale, non venne sostituito e lasciò nelle mani del solo Toeplitz la gestione della banca; non vi fu comunque una rottura tra i due dirigenti, ma solo un nuovo rapporto di collaborazione in cui il F. sembrò ben adattarsi alla leadership di Toeplitz. Secondo il ricordo di E. Conti, futuro presidente della BCI, i due si compensavano poiché "Fenoglio, tecnico di valore, e vero piemontese scrupoloso, rappresentava un freno utilissimo al dinamismo del collega" (Dal taccuino di un borghese, Milano 1946, p. 404).
A Roma, coadiuvato da U. Baracchi, si trovò a difendere gli interessi della BCI durante i convulsi primi anni Venti, dalla marcia su Roma al delitto Matteotti e fino ai problemi legati alla rivalutazione della lira. Ancora una volta dimostrò grandi capacità di mediazione, che lo portarono a intessere proficui rapporti con le principali autorità finanziarie del paese - compreso il direttore generale della Banca d'Italia B. Stringher - e con alcuni alti esponenti del fascismo come A. Finzi, G. Acerbo, L. Federzoni, D. Alfieri e lo stesso Mussolini, che incontrò personalmente in numerose occasioni. Svolse così un ruolo assai prezioso per Toeplitz, che in questi anni evitava di trattare direttamente con gli esponenti del regime, preferendo occuparsi soprattutto delle industrie e dei contatti con l'estero.
Pur avendo ceduto il controllo del settore tecnico-industriale della banca all'ing. G. Tedeschi ed eseguendo sempre le disposizioni impartite da Toeplitz sulle scelte di politica industriale, continuò a rappresentare l'istituto all'intemo di numerosi ccla delle imprese legate alla banca, soprattutto nel settore elettrico. In particolare, come consigliere della Società idroelettrica piemontese (SIP) dalla costituzione della società (1918), cercò di contenere, peraltro senza molto successo, la tumultuosa espansione dell'impresa piemontese promossa dal suo amministratore delegato G. Ponti, vicepresidente dal 1921 della Terni, collaboro proficuamente con la nuova gestione dell'amministratore delegato A. Bocciardo; eletto nel 1925 presidente della Soc. meridionale di elettricità (SME), dopo la morte di G. Capuano, si trovò a guidare l'impresa meridionale in un difficile periodo di trapasso.
Nel 1924 venne violentemente attaccato da alcuni scritti dell'architetto L. Beltrami, già antico avversario all'epoca del liberty. Questi, che una decina di anni prima aveva progettato la nuova sede romana della BCI in piazza Colonna, lo accusava di avere costantemente ostacolato l'opera, appoggiando l'architetto M. Piacentini, direttore dei lavori, che si era rivelato in totale disaccordo con Beltrami.
Il F. morì improvvisamente il 22 ag. 1927, mentre si trovava nella villa di famiglia di Corio, nel Canavese.
Protagonista fra i più significativi della vicenda del liberty a Torino, il F. visse in prima persona i momenti critici di affermazione di quello stile in Italia.
Il liberty fu in Italia uno stile di importazione, che per giunta arrivò tardi rispetto agli sviluppi dell'artnouveau belga e francese, o ai singolari motivi decorativi che venivano espressi dagli artisti al di là della Manica in architettura e nelle arti applicate. Per giunta il liberty non derivò da un'autonoma impostazione teorica e non diede vita quindi, né a livello tecnico né a livello di realizzazioni, a modelli architettonici e urbanistici in grado di incidere profondamente sulle strutture culturali e sociali dell'Italia di fine Ottocento. In questa vicenda risulta esemplare il caso di Torino, in anni di rapida industrializzazione e di forti cambiamenti nella struttura sociale della città (Leva Pistoi, s.d. [1976]).
La storia del liberty torinese collima di fatto con la vicenda delle realizzazioni del F., che di quel modo espressivo fu tenace sostenitore. La sua carriera di progettista si svolse quasi unicamente in quella città, e può sinteticamente suddividersi in due fasi, assumendo come spartiacque l'Esposizione internazionale di arte decorativa moderna che si tenne a Torino nel 1902 e che lo vide fra gli organizzatori.
Le realizzazioni comprese nel decennio che precedette quell'Esposizione erano improntate ad un raffinato eclettismo, sensibile al revival neomedievale diffuso nell'area torinese. La prima opera importante del F., il conservatorio del S. Suffragio, realizzato in due fasi nel biennio 1890-1891, si presentava ancora incerta nella ricerca di criteri stilistici e strutturali coerenti. Seguirono alcune soprelevazioni di edifici residenziali per giungere nel 1894 alla realizzazione del policlinico generale (oggi pretura), un corpo di fabbrica massiccio e tradizionale nell'impianto, che prelud.eva a successivi rinnovamenti per l'improvviso movimento provocato nei cornicioni. Negli anni che seguirono acquistò particolare rilievo, nel contesto di un'attività professionale rivolta essenzialmente alla realizzazione di edilizia civile, la progettazione di edifici industriali. Allora il F. si indirizzò a ripensare la tradizionale architettura romanicogotica delle costruzioni industriali, con l'obiettivo di progettare la fabbrica come moderno tempio del lavoro. Si inseriscono in questa ricerca la fabbrica Ansaldi del 1899, di cui rimangono poi incorporate nell'attuale fabbrica Grandi Motori, la fabbrica della Società termotecnica e meccanica e la conceria Fiorio, entrambe dell'anno successivo.
Nei quartieri centrali Cit Turin e Campidoglio vennero realizzati gli esempi più significativi della fortuna torinese del liberty, la cui parabola quasi si identifica con la breve eppur feconda stagione progettuale del Fenoglio. Nei progetti del 1899 per la casa Croizat (ora demolita), per la casa Giordano e per la casa Perino l'architettura, tutta pensata all'interno del canone eclettico, era allo stesso tempo vivacizzata nelle cornici e nei balconi da elementi di gusto assai personale, in cui cominciavano ad apparire motivi a linee ricurve e disegni floreali.
Dell'anno successivo era la palazzina della Società finanziaria industriale, la cui facciata vibrava di un movimento assai aggraziato, animata da cespi di fiori nel fregio e ai lati delle finestre. Il tema fioreale, ancora acerbo nei modi espressivi, rivelava nei particolari decorativi qualità che segnalavano i primi passi verso un più maturo art nouveau, elaborato nella ricchezza e vivacità della sua gamma linguistica nella casa Rossi Galateri (1903) e nella casa Boffa e Costa (1904).
Già nel igoi con il villino e scuderia Raby le idee si facevano più audaci e si spingevano fino alla progettazione di un singolare bow-window obovindo angolare, posto diagonalmente rispetto al corpo principale (L'Architettura italiana, 1 [1905-1906], n. 1, pp. 1 s. tav. 1).
Se l'architettura era un curioso pastiche rinascimental-moresco, i particolari decorativi avevano una apparenza di assoluta novità. "Le conchiglie che incorniciano e concludono le varie sequenze decorative non sono ricavate pedissequamente dal repertorio eclettico, sono già le maliziose conchiglie ove tintinna la perla del nuovo stile; alla sommità del "bovindo" attorno ai camini, si svolgono quelle piccole foglie di cavolo che l'anno dopo Thovez indicherà come sintomo di un permanente naturalismo nella ternatica astratta di Horta" (Bossaglia, 1966, p. 184).
Fu certamente V. Horta il modello a cui il F. fece più diretto riferimento e con lui la scuola belga di H. Van de Velde. Ma il F. non rimase mai un pedissequo imitatore delle forme naturalistiche, piuttosto amò, al pari dei suoi maestri, gareggiare con quelle per ottenere, dal ferro e dalla pietra, organismi architettonici che potessero apparire come escrescenze naturali della materia.
Rispetto al lirismo floreale della casa Rey del 1899 (e varianti nell'anno successivo) il villino Scott, realizzato nel 1902 in collaborazione con G. Gussoni, è certamente uno degli esempi più riusciti di uno "stile floreale" nazionale (C. V. L. Meeks, The real "Liberty" of Italy. The "stile floreale", in The Art Bulletin, XLIII [1961], pp. 113 s.), qui espresso in quei mazzetti di rose in boccio che concludevano il contorno dolcemente curvilineo dell'edificio (Edilizia moderna, XVIII[1904], ill. XXVII s.). Parimenti, il fioreale all'italiana, interpretato dal F., riecheggiava nella casa Rossi Galateri, ove gli accenti naturalistici si esprimevano nei grossi fiori, nei tralci di vite, nella finta corteccia, vere e proprie incrostazioni che apparivano legate a quella versione quasi rococò dei motivi fioreali, sbocciata nella raffinata Nancy fin de siècle.
Nel 1903 il F. terminò la casa in corso Francia, angolo via Principi d'Acaia, il suo capolavoro. La palazzina Fenoglio, poi La Fleur, è stata un'occasione felice in cui il progettista ha saputo cogliere un momento magico e coniugare la solidità della struttura muraria e le sue articolazioni funzionali con l'eleganza della plasticità art nouveau con forti accenti guimardiani, fino a raggiungere languidezze quasi sensuali nelle inferriate e nelle decorazioni in ferro battuto.
Costruito su un lotto di dimensioni modeste, posto d'angolo su un ampio corso alberato, l'impianto volumetrico sfruttava mirabilmente la morfologia del sito, accentuando la visione prospettica centrata sul bovindo angolare. Questa emergenza angolare, vera e propria torre rispetto alla quale si articolano le ali laterali dell'edificio, veniva resa ancora più singolare dagli elaborati particolari in ferro battuto della pensilina di coronamento. L'elegante corpo scala, a pianta esagonale, era anch'esso posizionato angolarmente verso il cortile e serviva a creare un contrappunto con l'omologa torre-bovindo. Le murature, trattate ad intonaco, si mostravano pronte ad accogliere gli intrecci di alghe, le linee ondeggianti degli infissi e delle finiture metalliche, le sequenze di cerchi eccentrici: "Il demone del segno febbrile e flessuoso riscatta così un volume chiuso, statico e introverso, privo di incavi o estrusioni capaci di denunciarne appieno le articolazioni funzionali, custode quasi di una gelosa intimità. Splendidi i cancelli d'ingresso, le porte interne in noce, le vetrate, gli arredi, le transennature delle scale. Le finiture più minute, come le maniglie d'ottone ripetono, come un microscopico coagulo, l'austero e morbido intreccio di germogli organici che anima l'interno" (Nicoletti, 1978, p. 154).
Documento eccezionale del lessico dell'artnouveau, lacasa Fenoglio-La Fleur sorprende, nell'ambiente della cultura eclettica torinese divisa fra l'onestà espressiva del neoromanico e il graficismo di certo barocchetto florealistico, per la grande perizia di mestiere del F., per la perfetta definizione dei particolari e per l'accuratezza della esecuzione, mettendo in evidenza un'ipotesi di continuità fra una certa tradizione artigianale locale e il discorso volumetrico-spaziale che si affermava Oltralpe, in Francia e Belgio, sulla base di istanze affini.
Nel 1904 il F. progettò una serie di case in cui la leggerezza del vocabolario liberty perdeva alcune cifre significative e la mano dei progettista appariva un po' appesantita. Pur tuttavia le case Boffa e Costa, Rey, De Bernardi e la palazzina Dellachà (per quest'ultima si veda L'Architettura italiana, V[1909-1910], n.8) ancora mantenevano una forte originalità, che faceva di ognuno di questi edifici un unicum. Tema ricorrente nelle facciate era quello della farfalla, nelle sue più svariate applicazioni e trasformazioni. Allo stesso modo la cancellata su via S. Donato della birreria-spaccio Metzger (ampliamento degli anni 1903-1904) del 1904 rappresentava una interpretazione ordinata delle asimmetriche geometrie dell'artnouveau.
Nella casa Besozzi, della fine del 1904, ritornavano gli echi neogotici, ben evidenti nella miriade di torrette e nelle vetrate, frammisti al rinascimento e a motivi moreschi.
"La facciata principale... è in stile italiano del Rinascimento. Il piano terreno è tutto rivestito con bugnato di granito rosso e lucido con basi e capitelli in bronzo. Nel suo insieme ... una delle migliori case d'abitazione signorili eseguite in questi ultimi anni a Torino" (L'Architettura italiana, II [1906-1907], p. 12, tavv. 23 s.).
Fondatore della rivista L'Architettura italiana, il F. ebbe un ruolo di primo piano nell'organizzazione delle due più importanti esposizioni artistiche dell'ancor giovane Stato unitario. Nel 1902 fu membro del comitato esecutivo della prima Esposizione internazionale di arte decorativa e moderna di Torino, mostrando una totale adesione, alla luce della sua personale affinità architettonica, verso l'eleganza e la bizzarria delle forme armoniosamente espresse nei padiglioni progettati da R. D'Aronco.
Nel 1911 ricevette l'incarico di coordinatore del comitato tecnico, con S. Molli e G. Salvadori di Wiesenhoff, dell'Esposizione torinese del cinquantenario e nell'ambito della stessa fu responsabile dell'organizzazione generale dei padiglioni dell'industria, del lavoro, delle industrie artistiche e della città di Modena. L'adesione a un neomonumentalismo, ispirato ai temi dell'architettura piemontese del Settecento, risultò in una prova deludente per un progettista di elevata qualità e che aveva espresso nei due decenni precedenti una versatilità che lo aveva affiancato ai migliori interpreti dell'artnouveau internazionale.
Poco dopo, negli anni immediatamente precedenti lo scoppio del primo conflitto mondiale, il F. maturò la decisione di smettere di progettare, "deluso dalla incompatibilità tra ciò che doveva fare e ciò che voleva fare" (Leva Pistoi, s.d. [ma 1976], p. 61]). Tra le opere significative del F. sono: i villini Diatto (1896), la casa Padrini (1898), la casa Rey (1899), la casa Gotteland (1900), ilcotonificio Remmert a Ciriè (1900), la casa Trabbia (1901), la casa Pecco (1902), ilquartiere e case operaie per il cotonificio Leumann a Collegno (1902-1903), le case della Società torinese abitazioni popolari (1903), la casa Di Manso (1903), la casa Bellia (1904), la casa Maciotta (corso Francia, 1904), la casa Padrini (1905), la casa Audino Rinaldi (1905), ilpanificio e gallettificio della Società torinese di panificazione (1906), la casa Girardi (1906), la Fonderia smalteria ed affini Ballada e C. (1906), la Fabbrica nazionale carte da parati, già Barone e C. (1906), la villa Rossi di Montelera a Pianezza (1906), la casa Caro (1907), lo stabilimento Venchi Unica (1907), la casa Florio (1908), ilpalazzo della Società delle Assicurazioni generali di Venezia (1909), l'asilo infantile della Borgata Sassi (1910), la casa Carbone (1911), lo stabil. Ambrosio (1912), la casa Maciotta (via Peyron, 1912).
M. Casciato
Fonti e Bibl.: Le informazioni di carattere personale e familiare, non sussistendo un archivio privato, provengono solo dalla testimonianza rilasciata dal nipote, Luigi Imoda, dal testamento conservato nell'Arch. storico d. BCI (Comofin [CMF], cart. 42) e dai documenti reperiti nell'Arch. parrocchiale di Corio. Per le attività svolte in Piemonte fino al 1911 sono stati consultati a Torino l'Arch. di Stato, Sezioni riunite, Atti di società, 1902-1906, e l'Archivio storico civico, Elenco dei consiglieri, coll. I, vol. 377, scheda 303. Per l'arch. Leumann cfr. A. Abriani - G. A. Testa, Leumann: una famiglia e un villaggio fra dinastie e capitali, in Villaggi operai in Italia, Torino 1981, pp. 203-27. I primi contatti del F. con la BCI sono scarsamente documentati, mentre vi sono numerose tracce del suo lavoro in banca già dal 1911, pur essendo evidenti gravi dispersioni (ad es. la corrispondenza personale è molto lacunosa). Dei fondi dell'Arch. st. d. BCI si vedano in primo luogo, ad Indicem, quelli già pubblicati nella Collana inventari: Presidenza e Consiglio di amministrazione (1894-1934), Milano 1990; Società finanziaria industriale italiana (Sofindit), ibid. 1991; Segreteria generale e fondi diversi (1894-1926), ibid. 1993. Tra gli altri fondi cfr., sempre ad Indicem: Verbali del Comitato centrale [VCC], Verbali del Coibitato locale [VCL], Carte diO. Joel [PJ], Comor [COM], Segreteria e copialettere di G. Toeplitz [ST, CPT], Rappresentanza di Roma [RR], Ufficio finanziario [UF]. Inoltre sono stati consultati: all'Arch. di Stato di Milano, Prefettura, Gabinetto, b.616; a Torino, per il periodo 1912-1927: Arch. st. d. SIP, Verbali del cda, 1918-1927, e Arch. Fondazione L. Einaudi, Carte Nitti, Carteggio;a Roma, Arch. centrale dello Stato, Polizia politica, b. 174, fasc. BCI, e Carte Nitti, b. 92, fasc. 409; Arch. st. d. Banca d'Italia, Carte Beneduce, b. 28, e Esteri, b. 11, fasc. 8. A Genova, Arch. st. d. Ilva, Verbali del cda, 1917-1921, e Arch. st. d. Ansaldo, Carte Perrone, bb. 1034, 1040. Tra le fonti a stampa si vedano: Guida di Torino, edizioni 1897-1906; Atti del Municipio di Torino, 1902-1905; Annuario del Municipio di Torino, 1902-1909; Società italiane per azioni. Notizie statistiche, a cura del Credito italiano, 1908-1925. A stato eseguito lo spoglio dei quotidiani torinesi La Stampa e la Gazzetta del popolo per la cronaca cittadina relativa alle vicende del Consiglio comunale e delle Esposizioni del 1902 e del 1911. Si vedano anche le commemorazioni e i necrologi del 23 e 24 ag. 1927 apparsi sui principali quotidiani di Milano e Torino.
Della vasta bibliografia in cui il F. viene citato, spesso solo di sfuggita, cfr.: L. Pagliani, Le case operaie del cotonificio Leumann (progetto dell'ing. cav. P. F.), in L'Ingegnere igienista, IV (1903), pp. 18-21; E. Gray, L'invasione tedesca in Italia, Firenze 1916, p. 163; Id., Guerra senza sangue, Firenze 1916, pp. 95-102; G. Preziosi, La Germania alla conquista dell'Italia, Firenze 1916, pp. 46, 115 s.; Id., Ilretroscena bancario dell'Ilva, in L'Idea nazionale, 11maggio 1921; L. Beltrami, Ilcommendatore P. F. negli studi e nei lavori per la nuova sede della Banca commerciale italiana in Roma (1915-1922), Milano 1924; Id., La leçon d'un architecte vieux-style, Milano 1925; Id., Nuova lezione di un "architetto senile" al Maestro, Milano 1927; Torino. Rivista mensile municipale, VII (1927), 78, p. 157; G. Fenoglio, La Cassa di risparmio di Torino nei suoi primi cento anni di vita, Torino 1927, p. 172; S. Crespi, Alla difesa dell'Italia in guerra e a Versailles. Diario 1917-1919, Milano 1941, p. 308; E. Scalfari, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari 1963, pp. 27, 31; B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra, Firenze 1969, pp. 230, 254; R. A. Webster, L'imperialismo, industriale ital., Torino 1974, ad Indicem;F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino 1975, p. 137; G. Mori, Il capitalismo industriale in Italia, Roma 1977, pp. 159, 171; V. Zamagni, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia, Bologna 1978, p. 251; A. Carparelli, La siderurgia ital. nella prima guerra mondiale: il caso dell'Ilva, in Studi storici, VIII (1978), 1, p. 154; Id., I perché di una "mezza siderurgia". La società Ilva, l'industria della ghisa e il ciclo integrale negli anni Venti, in Acciaio per l'industrializzazione, a cura di F. Bonelli, Torino 1982, p. 29; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi del 1907 all'agosto 1914, I-II, Milano 1982, ad Indicem;G. Barone, Mezzogiorno e modernizzazione. Elettricità, irrigazione e bonifica nell'Italia contemporanea, Torino 1986, pp. 159, 244, 300; V. Castronovo, Torino, Roma-Bari 1987, pp. 170, 173, 202; A. De Benedetti, L'equilibrio difficile. La SME 1925-1937, in Riv. di storia economica, n. s., VII (1990), pp. 168-71; B. Bottiglieri, SIP. Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano 1990, pp. 125, 525; A. Falchero, La Banca italiana di sconto 1914-1921. Sette anni di guerra, Milano 1990, ad Indicem;Id., La "Commissionissima". Gli industriali e il primo dopoguerra, Milano 1991, pp. 417, 483; V. Castronovo, La stampa ital. dall'Unità al fascismo, Roma-Bari 1991, p. 289; F. Pino Pongolini, Sui fiduciari della BCI nelle società per azioni (1898-1918), in Rivista di storia economica, n. s., VIII (1991), pp. 125, 137; Progetto Arch. storico Fiat, Fiat 1915-1930, Verbali dei Consigli di amministrazione, Milano 1991, I, pp. 298, 384, 386; Storia dell'industria elettrica in Italia, Roma-Bari 1992-93, ad Ind.;A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia, 1914-1933, I, Milano 1994, ad Indicem.
G. Montanari
La documentazione più completa sulle opere eseguite dal F. è conservata presso l'Archivio edilizio municipale di Torino, dal momento che sono andati dispersi i materiali progettuali del suo studio. Un esauriente regesto delle medesime è in R. Nelva-B. Signorelli, Le opere di P. F. nel clima dell'Art Nouveau internazionale, Bari 1979. Si vedano inoltre: I. Cremona, Le porte dell'Italia, in Il tempo dell'Art Nouveau. Modern style Sezession Jugendstil Arts and crafts Floreale Liberty, Firenze 1964, pp. 161 s.; R. Bossaglia, L'iter liberty dell'architettura torinese, in Commentari, XVII (1966), 1-3, pp. 182-194; C. L. V. Meeks, Italian architecture 1750-1914, New Haven-London 1966, p. 418; M. Leva Pistoi, Torino. Mezzo secolo di architettura 1865-1915. Dalle suggestioni post-rinascimentali ai fermenti del nuovo secolo, Torino 1969, pp. 192 s., e ad Indicem; Mostra del Liberty italiano (catal.), Milano 1972, scheda sul F. a p. 97 e saggio di R. Bossaglia, L'architettura, pp. 29 s.; G. Massobrio-P. Portoghesi, Album del Liberty, Bari 1975, ad Indicem;M. Leva Pistoi, La città liberty: progetto e attuazione, in Situazione degli study sul Liberty. Atti del Conv. internaz. Salsomaggiore Terme, a cura di R. Bossaglia-C. Cresti-V. Savi, Firenze s.d. [ma 1976], pp. 59-65; M. Nicoletti, L'architettura liberty in Italia, Bari 1978, pp. 153-156, ad Indicem;R. Nelva-B. Signorelli, Poesia di P. F., in L'Architettura. Cronache e storia, XXV (1979), pp. 262 s.; M. Leva- Pistoi-A. Friedmann, IlLiberty a Torino, Torino 1981, ad Indicem;A. Magnaghi-M. Monge-L. Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Torino 1982, ad Indicem; Momenti del Liberty in Italia, catal., a cura di F. Solini, Correggio 1986, p. 118; S. Polano, Guida all'architettura ital. del Novecento, Milano 1991, pp. 32, 48 s., 581; M. G. Imarisio-D. Surace, Torino Liberty, Torino 1992, adIndicem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 389; Diz. encicl. di archit. e urbanistica, II, p. 321.
M. Casciato