FANCELLI, Pietro
Figlio dell'ornatista Petronio e di Orsola Benedelli, nacque a Bologna il 18 maggio 1764. Nel 1774 si trasferì con la famiglia a Venezia, dove studiò sotto la guida del padre e del ritrattista bresciano Ludovico Gallina. Quando nel 1784 concorse al premio accademico Marsili Aldrovandi, aggiudicandoselo col disegno Giasone e Medea (Bologna, Accademia di belle arti), si trovava ancora a Venezia, come risulta anche dal testo degli Atti dell'Acc. Clementina (III [1784], c. 78). Poco tempo dopo rientrò a Bologna, ove frequentò regolarmente l'Accademia Clementina e studiò in particolare le opere dei Carracci e della loro scuola (Masini, 1850).
A Bologna le sorti della pittura e della grande tradizione del passato restavano ormai affidate soltanto ai Gandolfi, che continuavano a produrre con sbalorditiva fecondità. Il giovane F. "si colloca a mezza strada tra il vecchio e il nuovo gusto e, per livello di qualità, nettamente al di sopra di mediocri gandolfiani come Domenico e Francesco Pedrini" (Roli, 1977, p. 13).
In questi anni il F. si esercitò in quadri di devozione, come quello per la chiesa di S. Lorenzo, e in alcune figure decorative in varie case e palazzi della città, iniziando quella collaborazione col padre per la quale abbellì di figure storiche, mitologiche e simboliche le moltissime quadrature di Petronio (Masini, 1850).
Nel 1785 e nel 1787 vinse il premio Fiori; ma fu il premio Curlandese del marzo 1791 a determinare la sua affermazione con il saggio presentato, La morte di Virginia (Bologna, Collezioni comunali d'arte).
In questa opera il F. innestò sulla tradizione della pittura bolognese del Seicento una personale interpretazione in senso classicista delle suggestioni dei Gandolfi (Roli, 1977, p. 132), condotta con una fattura pittorica "di fresca serenità del colore e di abili movimenti di mosse" (Zucchini, 1938).
Il 1° maggio 1791 il F. fu aggregato all'Accademia Clementina, diventando uno dei membri più attivi tanto da assumere la vicepresidenza con Antonio Beccadelli nel 1793-94. Il 20 giugno 1796, con l'entrata in Bologna delle truppe di Bonaparte, insieme con gli altri maestri dell'Accademia, si trovò ad affrontare il duro compito di conservare e di tutelare le opere provenienti da chiese e conventi soppressi dall'autorità della Repubblica Cispadana, nonché le tumultuose vicende che segnarono gli anni estremi della stessa Accademia.
Disciolta la Clementina, dopo un periodo di esclusione che gli procurò parecchie amarezze a detta dei biografi (cfr. Masini, 1850), il F. fu aggregato nella nuova Accademia nazionale di belle arti nel 1804, senza però un regolare incarico di insegnamento. A Bologna e nella provincia continuò a lavorare come pittore di pale d'altare; figurista, fu anche buon ritrattista e specialista nel realizzare sipari di teatri, secondo quanto attesta la sua autobiografia (Bologna, Bibl. com. d. Archiginnasio, ms. B 3365 n. 47), che contiene l'elenco di tutte le sue attività artistiche dal 1785 al 1832.
Se la fase giovanile è caratterizzata da un elegante barocchetto di ispirazione veneto-bolognese, nel momento più maturo della carriera il F. seppe "recuperare a più moderno significato i valori della tradizione bolognese, pervenendo ad una lucida selezione formale, portata ad una evidenza illusiva di notevole efficacia" (Roli, 1967). In questo percorso si segnalano Le stimmate di s. Francesco, nell'omonima chiesa di Faenza (1796), i Ss. Vincenzo Ferreri e Filippo Benizzi del 1798 (San Giovanni in Persiceto, chiesa del Crocifisso; Bortolotti, 1964) e le scene di Cristo e le Marie e Cristo caduto sotto la Croce che il F. eseguì per il ciclo dei Misteri del Rosario in S. Stefano a Bazzano (1802), partecipando a quel clima di rinnovato fervore per la Passione di Cristo. Della produzione successiva si ricordano il quadro con L'elemosina di s. Tommaso di Villanova (Bologna, S. Giacomo Maggiore), "tra le sue prove migliori per la sciolta condotta pittorica e il perspicuo risalto della partitura luministica" (Roli, 1967), e la S. Anna con la Vergine di S. Maria Maggiore a Bologna, firmata e datata 1829.
Già nel 1797 aveva firmato e datato due Scene mitologiche (Bologna, Collezione Guerrini Meriggiani) che danno il senso della sua attività di ornatista e figurista che meglio affinò nel sodalizio con Vincenzo Martinelli, fortunato continuatore della pittura di paesaggio bolognese. Insieme eseguirono le tempere, nelle sale di numerose ville, in cui le scene di paese del Martinelli erano animate dalle figurette del F., "ricche di risultati suggestivi ed altamente scenografici per quell'unitario motivo decorativo di "stanza alla boschereccia" che esse tendono ad assumere" (Cuppini-Matteucci, 1988, p. 123). In palazzo Hercolani le figurazioni del F. si legano agli eterei pergolati dipinti dal Martinelli (1802), opere di collaborazione sono anche la Sosta dei viandanti attorno a un fuoco (Bologna, Pinacoteca nazionale), la ricca serie della villa già Pallavicini poi Coccapani Tacoli (Emiliani-Varignana, 1972) e le quattro tempere della collezione Weiss a Bologna, dove, secondo la tradizione, Martinelli e il F. si ritraggono nelle due figure inserite in una scena ruderi romani (Zucchini, 1947). Furono anche numerosi gli interventi decorativi del F. nelle tombe della certosa, fra cui quella di Vincenzo Martinelli (1807; cfr. Matteucci, 1975).
Nel 1805 il F. ricevette l'incarico di affrescare la scena di Felsina offerente le chiavi della città a Napoleone sopra la porta S. Felice, eretta ad arco trionfale per l'ingresso di Bonaparte (Masini, 1850), testimonianza della sua riconosciuta capacità di pittore di scenografie, attività che si espresse anche nelle commissioni per sipari di teatri (oggi perduti). Ricordiamo quello del teatro del Comune con la scena a tempera di Alessandro conquistatore della Persia (1820; Orloff, 1823; Giordani, 1855), il sipario dell'ex teatro Contavalli con la raffigurazione del Talamo di Giove e di Giunone; ilsipario per l'ex teatro del Corso con il Trionfo di Sofocle (1859).
Tra i ritratti da lui eseguiti sia su commissione, sia per amicizia, vanno segnalati quello del padre Petronio Fancelli, dello scultore Giacomo Rossi e quello del Martinelli, di intenso studio psicologico (tutti a Bologna, presso l'Accademia di belle arti).
In età avanzata e già di salute precaria, il F. si trasferì a Pesaro, dove morì il 22 genn. 1850.
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. dell'Accademia di belle arti, Atti dell'Accademia Clementina di Bologna, III (1782), c. 6; III (1784), cc. 71, 78, 80; III (1785), cc. 108, 114; III (1786), cc. 143 s.; III (1787), c. 205; IV (1789), c. 54; IV (1791), cc. 97, 123 e passim; IV (1792), cc. 126, 182 e passim; IV (1793), cc. 190, 210; IV (1794), cc. 22, 248; IV (1795), c. 279; IV (1796), cc. 366, 384; IV (1800), cc. 406, 407, 409; IV (1801), cc. 412, 424; IV (1804), c. 465; IV (1809), c. 83; IV (1816), c. 49; IV (1822), c. 41; Ibid., Biblioteca com. dell'Archiginnasio, ms. B3365 n. 47: P. Fancelli, Autobiografia (1832); P. Bassani, Guida agli amanti delle belle arti... per la città di Bologna, suoi sobborghi e circondario, Bologna 1816, p. 158; G. Bianconi, Guida del forestiere ... [1820], Bologna 1835, pp. 4-7, 14, 22, 30, 34, 37, 40, 42, 52, 58, 62, 71, 78, 79, 84, 134, 138, 146, 164; G. Orloff, Essai sur l'histoire de la peinture en Italie, depuis les temps les plus anciens jusquà nos jours, Paris 1823, II, p. 444; G. Gualandi, Dell'Esposizioni di belle arti in Bologna nel 1835, Bologna 1835, pp. 50-53; Id., Dipintura del sipario del teatro del Corso, Bologna 1836; C. Masini, Cenno biogr. di P.F. pittore figurista, Bologna 1850; G. Giordani, Memorie intorno all'Assunta di Borgo Panigale, Bologna 1853, p. 13; Id., Intorno al gran teatro del Comune ed altri minori in Bologna. Memorie storico-artistiche con annotazioni, Bologna 1855, pp. 3 s.; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 199; E. Bosi, Manuale pittorico felsineo, Bologna 1859, p. 28; A. M. Bessone Aurelj, Diz. dei pittori italiani, Città di Castello 1915, p. 285; Mostra del Settecento bolognese, a cura di G. Zucchini-R. Longhi, Bologna 1935, pp. 140 s.; G. Zucchini, Catalogo delle collezioni d'arte di Bologna, Bologna 1938, p. 136; Id., Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, pp. 6 s., 49, 58; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, II, Bologna 1960, p. 202; L. Bortolotti, I Comuni della Provincia di Bologna nella storia e nell'arte, Bologna 1964, p. 437; R. Roli, I quadri... dal Cinquecento all'Ottocento, in Il tempio di S. Giacomo Maggiore, Bologna 1967, p. 176; C. Ricci-G. Zucchini, Guida di Bologna, a cura di A. Emiliani, Bologna 1968, ad Indicem; A. Emiliani-F. Varignana, Le collezioni d'arte della Cassa di risparmio in Bologna. I dipinti, Bologna 1972, pp. 395 s.; G. Neerman, Ilpaesaggio italiano nel disegno dal XVI al XVII secolo, Roma 1974, n. 74; A. M. Matteucci, Monumenti funebri di età napoleonica alla certosa di Bologna, in Psicon, II (1975), 4, pp. 71-78; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. DalCignani ai Gandoffi, Bologna 1977, ad Indicem; I materiali dell'Istituto delle scienze (catal.), Bologna 1979, p. 152; S. Zamboni, in L'arte del Settecento emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 215 s., 223 s., 246, figg. 318 s., 344; N. Clerici Bagozzi, ibid., p. 148; T. Montella, in I concorsi curlandesi (catal.), Bologna 1980, p. 64; G. Cuppini-A. M. Matteucci, Ville del Bolognese, Bologna 1988, ad Indicem; D. Biagi Maino, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, pp. 292, 295, 297; O. Bergorni, ibid., II, pp. 711 s.; Architetture dell'Inganno. Cortili bibieneschi e fondali dipinti nei palazzi storici bolognesi ed emiliani, a cura di A. M. Matteucci-A. Stanzani, Bologna 1991, pp. 152-217; C. Mazza, L'attività P.F. a Bologna tra Sette e Ottocento, tesi di laurea, facoltà di lettere e filosofia, Università di Bologna, a.a. 1991-1992; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 246; Diz. encicl. Bolaffi d. pittori ed incisori italiani, IV, pp. 295 ss.