FABRI, Pietro
Nacque a San Giovanni in Persiceto, presso Bologna, nel 1739, da un agente di villa (fattore) del senatore Carlo Grassi, personaggio di rilievo della cerchia di Benedetto XIV. Secondo le note biografiche stilate da M. Oretti (ms. B. 134) il Grassi mantenne il F. agli studi, avviandolo alla bottega di Ercole Lelli, il celebre anatomista maestro nella bolognese Accademia Clementina di pittura. Presso questa Accademia, poi, il F. completò la sua formazione artistica: risulta infatti dagli Atti manoscritti dell'Accademia (ms. I, stilato da G. Casali; II, D. Piò) che il pittore ricevette il premio Fiori (assegnato sulla base di una prova di disegno di figura di nudo) negli anni 1760, '61, '62, '63, '64, '65; logica conseguenza, questa, dei "varj anni" di studio presso il Lelli ricordati dall'Oretti. Agli stessi anni risalgono i numerosi ritratti (circa trenta disegni acquerellati) che il F. eseguì per la collezione di scienziati illustri di Ferdinando Bassi ("Pinacotheca Bassiana", Bologna, Orto botanico, cfr. Biagi Maino, 1990), di qualità non mediocre: in particolare quello di H. Boerhaave, eseguito con piglio sicuro, attesta il buon talento del pittore.
A Bologna, come registra l'Oretti (ms. B. 106), il 3 giugno 1766 fu esposta, "per la solennità del Corpus Domini toccata alla chiesa di San Tommaso del mercato", una pala dipinta dal giovane F. per il suo mecenate, il Grassi, che la destinò all'altare della cappella della sua famiglia in quella chiesa.
"... Rappresenta San Francesco di Paola in atto di apparirgli l'Arcangelo San Michele col stemma della Carità. Fu onorato di un sonetto in lode di detta pittura il quale fu stampato dal Dalla Volpe in medesimo anno 1766" (ibid.). L'Oretti aggiunge che questa pala gli offrì la possibilità di mostrare l'abilità nel colorire appresa presso V. Bigari, di cui il F. era divenuto allievo. Della tela, tuttavia, si persero le tracce già dal 1792 (nell'edizione di quell'anno de Le pitture... il dipinto non è menzionato, e non lo sarà nelle edizioni successive).
Il F. è autore di un affresco (Biagi Maino, 1989) tuttora visibile nel convento di S. Procolo di Bologna, ricordato per la prima volta nell'edizione del 1776 de Le pitture di Bologna (e nelle successive edizioni settecentesche), da ricondurre al 1770 (cfr. Oretti, ms.B. 106); sono di sua mano le due figure a monocromo che affiancano il grande orologio affrescato da Petronio Fancelli, autore anche della quadratura, nonché il Tempo e il busto di S. Procolo, in alto, che l'Oretti gli attribuisce nelle note biografiche (ms. B. 134) ed invece nella Cronica (ms.B. 106) ascrive a Gaetano Gandolfi.
Quest'ultima attribuzione, accettata dalla letteratura novecentesca, va senz'altro ricusata, data la qualità dell'opera che rimanda al F. (cfr. Biagi Maino, 1990, p. 709).
Nel 1773 il F. eseguì (Oretti, ms.B. 106) nel palazzo senatorio, Dondini Ghiselli l'affresco raffigurante, in modi di corsiva scioltezza, l'Aurora.
In esso si mostra debitore particolarmente del Bigari, non senza una attenzione alla pittura classicamente impostata dei maestri attivi in Accademia a questa data; la figura femminile, comunque, è prova di capacità poco più che mediocri. A differenza di quanto ricordato dall'Oretti (ibid.), e di conseguenza nelle guide settecentesche e nella letteratura novecentesca sull'argomento, l'affresco non è nel vano dello scalone, bensì in una sala del piano nobile.
L'Oretti (ms.B. 134) ricorda altre prove del F. ad affresco nel palazzo senatorio Savioli, ove avrebbe dipinto "li fatti illustri di quella nobile famiglia in tante pitture nella sala"; la notizia non trova conferma nelle guide dell'epoca.
Il lavoro sarebbe comunque una dimostrazione del buon credito goduto in patria dal pittore - il Savioli era figura di grande spicco della cultura bolognese del secondo Settecento - che emerge dal ricordo di altre sue opere, di soggetto religioso, citate ancora dall'Oretti (ibid.), nonché dalle guide settecentesche ma ora disperse: una Assunta per la cappella del seminario e una palettina per una cappella privata a Lavino (Bologna). L'edizione del 1782 de Le pitture di Bologna... ricorda inoltre un S. Raffaele eseguito per la chiesa dell'Annunziata nonché tre dipinti, figuranti Dio Padre, S. Girolamo e S. Giovanni Battista in S. Caterina di Saragozza: opere, queste ultime due, eseguite dal F. in Roma, a detta dell'Oretti (ms.B. 134), dove il pittore si recò dietro invito, presumibilmente, di Carlo Bianconi, presente in quella città tra il 1777 e il 1778. Così forse - in chiave cioè di affettuoso sodalizio, o di sicura guida - è da interpretare il presunto discepolato del F. presso il Bianconi, ricordato da biografi ottocenteschi (Bianconi, 1820, Bosi, 1859) e ripreso poi dalla critica novecentesca (Diz. Bolaffi; Roli, 1977): non pare plausibile un periodo di studio tradizionalmente inteso, stanti anche i soli sette anni che separano i due artisti.
Dall'attività romana del F. nulla si conosce, né è possibile stabilirne le date; sappiamo solo (cfr. Atti della Acc. Clementina, IV, c. 54) che nel dicembre 1789 il F. risiedeva stabilmente a Roma e ricusava ogni sollecitazione a tornare per sempre in patria. Ne Le pitture del 1792 è citata comunque un'opera per S. Lorenzo di Porta Stiera a Bologna, oggi perduta, i SS. Michele Arcangelo, Ignazio e Francesco Saverio: si può supporre infatti che il pittore intervallasse brevi periodi in patria ai "molti anni a Roma", ricordati anche dal Bianconi (1820). L'erudito inoltre cita l'ultima opera dei F., una tela con i SS. Sebastiano e Rocco dipinta per S. Maria delle Laudi, sempre a Bologna, anch'essa smarrita.
Il Roli (1977) proponeva di identificare con il F. il Fabri ricordato all'anno 1800 negli Atti della Clementina, pubblicati da Emiliani (1967); ma in quel caso si trattava di Antonio Fabri, accademico del numero.
Del pari è dubbia l'attribuzione al F., avanzata in occasione della mostra bolognese sul Settecento del 1935 e recuperata dal Roli (1977), di un disegno (oggi conservato presso le raccolte della Cassa di risparmio di Bologna), una Veduta della città recante la firma Pio Fabri e la data 1787, Varignana (1973), pubblicando il disegno, proponeva infatti di assegnarlo ad uno sconosciuto "P:o Fabri"; la firma è suscettibile di entrambe le letture. Una veduta di tale calligrafica precisione sembra comunque esulare dalla produzione tipica del Fabri.
Il F. morì a Bologna nel 1822.
Fonti e Bibl.: Bologna, Accad. Clementina, Atti, ms. I (1710-1764), cc. 253, 283, 311, 332, 368; ms. II (1764-1782), cc. 13, 54, 243; ms. IV (1789-1794), cc. 52, 54, 55; Ibid., Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 106: M. Oretti, Cronica o sia Diario pittorico..., cc. 16, 67; Ibid., ms. B. 134, Id., Notizie de' Professori del disegno..., cc. 256-257; [C. C. Malvasia] Le pitture di Bologna..., Bologna 1766, p. 114; ed. 1776, pp. 66, 142, 184; ed. 1782, pp. 69, 155, 160, 202, 359; ed. 1792, pp. 128, 169, 175, 394; G. Gatti, Descrizione delle più rare cose di Bologna... Bologna 1803, pp. 87, 160; G. Bianconi, Guida del forestiere..., Bologna 1820, pp. 115, 126, 309; ed. 1826, p. 224; G. Bosi, Manuale pittorico felsineo, Bologna 1859, p. 28; R. Longhi-G. Zucchini, Mostra del Settecento bolognese (catal.), Bologna 1935, p. 139; A. Emiliani, La Pinacoteca di Bologna, Bologna 1967, p. 47; C. Ricci-G. Zucchini, Guida di Bologna, a cura di A. Emiliani, Bologna 1968, pp. 194, 293; F. Varignana, I disegni della Cassa di risparmio, a c. di A. Emiliani, Bologna 1973, p. 268; G. Cuppini-G. Roversi, I palazzi senatori di Bologna, Bologna 1974, p. 294; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandoffi, Bologna 1977, p. 256; D. Biagi Maino, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, p. 281; II, pp. 709 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 166; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori…, Torino 1973, p. 258.