DURAZZO, Pietro
Figlio, nipote e pronipote di dogi, apparteneva ad una delle più ricche e influenti casate della città. Nacque a Genova da Cesare di Pietro e da Giovanna Cervetto di Giacomo Maria, e fu battezzato nella chiesa di S. Vincenzo il 14 luglio 1632. Suoi fratelli furono Marcello (in seguito cardinale), Giacomo Maria (anch'egli religioso), Giovanni Battista; sue sorelle Aurelia, Nicoletta Maria e Maria Caterina, la sola che si sposò (con Giambattista Adorno). Venne ascritto alla nobiltà il io dic. 1640.
È una supposizione del Levati che il D., come il fratello Marcello, compisse studi di giurisprudenza e conseguisse la laurea, anche se la posizione della famiglia e l'interesse per la cultura che più d'un suo esponente dimostrava (e ancor più altri componenti avrebbero dimostrato nel Settecento) rendono verosimile che ricevesse un'istruzione superiore. Impossibile stabilire se derivassero dall'osservazione o dalla cortigiancria nei confronti di un personaggio influentissimo gli apprezzamenti per la sua "alta facondia e l'energia del suo dire" (Casoni), "la nobile aria, e la maestosa effigie del volto" (anonimo, cit. dal Levati), "l'aniabile sua presenza" (ibid.).
Il D. iniziò il cursus honorum con l'incarico di svolgere un'ambasceria straordinaria a Vienna (che erroneamente secondo il Levati egli avrebbe rifiutato) nella primavera del 1659. In realtà, il D. si trovava a Vienna per affari privati; e il governo colse la "buona congiuntura" per incaricarlo di indagare se fossero in corso negoziati tra il marchese di Fosdinovo e il granduca di Toscana per la vendita del feudo, alla quale la Repubblica era da tempo interessata. Il D. inviò il primo dispaccio dalla capitale imperiale il 15 marzo; successivamente riferi di non aver scoperto alcun negoziato riguardante Fosdinovo e di ritenerlo improbabile; la missione era conclusa il 12 aprile, e una decina di giorni dopo scriveva già da Graz, sulla via del ritorno.
Fu eletto nel magistrato di Sanità nel 1660 e poi per due anni fu tra i consoli delle fiere di cambio che si tenevano allora a Novi (l'incarico, che egli ricopri ancora nel 1669, era ovviamente appannaggio degli esponenti delle famiglie patrizie più doviziose, con forti interessi nelle fiere stesse); nel 1662-65 fu uno dei Padri del Comune (la magistratura incaricata di sovrintendere all'edilizia e alla viabilità urbana) e nel 1665 ascese alla carica di protettore di S. Giorgio. La sua carriera pubblica comprese alcuni incarichi di patronato (come quello di protettore degli orfanelli, nel 1666, di visitatore dei carcerati poveri nel 1676, e di protettore dell'ospedale di Pammatone nel 1682/83), e ben più numerosi incarichi amministrativi, che lo condussero nel magistrato dei Cambi e in quello dell'Abbondanza nel 1668, nel magistrato dell'Arsenale nel 1669.
Allo scoppio della guerra con Carlo Emanuele II di Savoia, nel 1672, il D. fu eletto a far parte della giunta straordinaria di governo. Venne imbussolato nell'urna dei Seminario nel giugno 1673, e nel dicembre dell'anno seguente estratto per ricoprire la carica di governatore (o senatore) nel biennio 1674-75 (fu reimbussolato nel 1677 ma non più estratto prima dell'elezione al dogato). Durante l'incarico si occupò della giunta per il Commercio e di quella sulle controversie tra artigiani e clienti insolventi (generalmente nobili); in seguito entrò ancora nel magistrato dell'Arsenale, nell'ufficio della Moneta, nella giunta di Marina. Nel 1677 fu eletto supremo sindicatore, poi conservatore della pace, inquisitore di Stato, membro dell'ufficio di Guerra, e nel 1683 ancora protettore di S. Giorgio. Nel complesso la carriera che un personaggio del suo rango poteva aspettarsi, priva però di incarichi diplomatici (altri Durazzo ne ricevettero, e di molto importanti, in quei decenni) e non gravata di compiti di giusdicente nel Dominio (aveva rifiutato il capitanato di Novi nel 1670), spesso molesti. Sembra che attendesse con successo ad accrescere il già grande patrimonio; e il suo frequente intervento nelle magistrature legate al commercio e ai cambi era in linea con la strategia del clan Durazzo. che negli anni '60-'70 pilotò la riapertura al Genovesi dei traffici con l'Impero ottomano come un'impresa assai più di famiglia che di Stato (tuttavia lo smercio di monete olandesi contraffatte nelle zecche che i Durazzo avevano nei feudi imperiali contribui a rendere l'iniziativa profittevole nell'immediato per la famiglia, ma ben presto rovinosa per la Repubblica, con la quale la Porta ruppe di nuovo i rapporti, anche per la reazione di Olandesi e Francesi).
Negli anni seguenti la pace dei Pirenei, la Repubblica doveva far fronte al netto mutamento di rapporti di forza tra la Spagna (l'alleato e protettore tradizionale) e la Francia, a tutto vantaggio di quest'ultima. Mentre gran parte del patriziato restava fedele all'alleanza spagnola, o cercava un nuovo punto di riferimento nell'imperatore, alcuni personaggi e casate erano orientati a rimarcare la neutralità della Repubblica, che significava pur sempre prendere le distanze dalla Spagna, o a favorire senz'altro buoni rapporti con la Francia. I Durazzo erano complessivamente tra le case filofrancesi (avendo evidentemente cambiato rotta, perché negli anni '30 l'ambasciatore spagnolo Francisco de Melo, che aveva classificato gli orientamenti di politica estera del patriziato genovese, non li aveva inclusi tra gli antispagnoli).
Nel 1679, quando sembrò che il re di Francia stesse per attaccare Genova (si trattava in realtà di una manovra per coprire il progettato tentativo di colpo di mano su Casale Monferrato, del quale era stato trattato l'acquisto con l'inviato mantovano Ercole Mattioli), una parte degli oligarchi spingeva per legare la Repubblica alla Spagna; tra i più decisi sostenitori del partito contrario a fare preparativi di difesa e a temere le minacce francesi c'era il Durazzo. Dopo l'arrivo a Genova dell'ambasciatore francese Francois Pidou de Saint-Olon e l'intensificarsi della pressione francese sulla Repubblica, preludio al bombardamento della città, il D. continuò a svolgere un ruolo di freno nei confronti di tutte le iniziative che potessero apparire antifrancesi (p. de Saint-Olon scrisse a Parigi il 27 genn. 1683 che il D. "est du nouveau portique et d'une famille assez portée d'inclination pour la France": cfr. Bottaro Palumbo). Nel maggio 1684, quando la squadra francese approntata per bombardare Genova già veleggiava verso la città, sostenne che non era il caso di chiedere il soccorso spagnolo (ritenendo "che la Francia nel stato presente non sia per fare l'attentato temuto") e insistette per "terminare le pendenze con la Francia e disinganare quel Re" (Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, 1597). Non fu perciò incluso nella giunta straordinaria eletta per far fronte all'emergenza (con soddisfazione dell'ambasciatore genovese a Parigi, Paolo De Marini, secondo il quale i Durazzo "han sempre fatto e faran sempre un gran male … alla Republica fin che saran seguitati non che sentiti con gran aplaoso i lor pareri": Ibid., 2201 ter). Quando J.-B. Colbert, marchese di Seignelay, presentò il suo ultimatum al governo genovese, il D. fu uno dei quattro membri del Minor Consiglio (che ne contava di diritto duecento oltre ai venti componenti dei Collegi, al doge e ai procuratori perpetui) che votarono contro la risposta negativa. Nei mesi seguenti il bombardamento, Genova fu di fatto in guerra aperta con la Francia; la Repubblica tentò anche nella tarda estate una controffensiva navale, in collegamento con gli svogliati ammiragli spagnoli (la Spagna aveva già stipulato a Ratisbona la tregua con Luigi XIV).
L'azione dei filofrancesi, e comunque dei favorevoli a un rapido accomodamento, tese a indebolire i poteri della giunta: il 5 agosto, in una apposita consulta dei Consiglietto, il D. sostenne di limitare la competenza della giunta ai problemi della difesa, probabilmente per recuperare spazio di manovra al Minor Consiglio, dove una minoranza risoluta poteva bloccare le proposte dei Collegi. Coi passare dei mesi, la minaccia di una campagna terrestre francese nel 1685, l'entità dei danni patiti e delle spese da sostenere, l'intralcio portato dalle ostilità al commercio genovese convinsero la maggior parte della nobiltà a cercare la pace con il Re Sole. Nel novembre 1684 uno dei componenti della giunta si dimise per andare a reggere l'ambasciata di Mudrid (ma in realtà non parti, e forse la nomina fu una abile manovra del partito durazziano); il D. gli subentrò, e rimase nel consesso quando questo fu prorogato per i primi mesi del 1685. A febbraio il Consiglietto accettò le condizioni francesi. Il governo spagnolo fece indagini per sequestrare le rendite dei filofrancesi: il D., insieme con F.M. Balbi, che aveva trascinato coi suo discorso il Consiglietto all'accordo, fu tra i colpiti dal provvedimento, per altro successivamente revocato. Nel maggio il doge Francesco Maria Imperiale Lercari si recò a Versailles. Il suo mandato biennale era ormai alla fine; filospagnoli e filofrancesi guardavano all'elezione del nuovo doge, che doveva essere, in omaggio all'alternanza vigente, di famiglia "nuova". Secondo alcune testimonianze, il candidato più gradito ai filospagnoli era Nicolò Baliani, che però non riusci neppure ad entrare nella rosa dei sei candidati da sottoporre al ballottaggio. Il 23 ag. 1685 il D. prevalse, con 262 voti su Giovan Carlo Brignole (anch'egli non sgradito ai filospagnoli, e vero competitore del D.), Francesco Maria Balbi, Francesco Maria Sauli, Oberto Della Torre e Agostino Viale.
"Habbiamo bisogno", aveva scritto Giambattista Spinola di Gian Stefano, un nobile favorevole alla pace, "di un huomo sodo, savio e prudente, che ne' tempi presenti sappia dirigere le materie, prevenirle molte volte, e molte altre scansare gli incontri, hora con rallentare et hora con affrettare secondo la congiontura; et in questo signore credo che concorrano tutte queste qualità". Un filospagnolo deplorò invece "la disgratia… che la Suprema Dignità sia caduta velocemente in una pietra, che non ha altro di durezza, che il parentado". (Bitossi, "Il piccolo sempre succombe al grande", p. 68).
In realtà il risultato elettorale del D. era stato meno lusinghiero di quello del predecessore. Ma con l'elezione, appena raggiunta l'età legittima (il D. aveva allora cinquantatré anni, tre in più del minimo richiesto, e concorreva per la prima volta alla carica), di uno dei più scoperti filofrancesi, l'oligarchia genovese dimostrava la volontà di adeguarsi ai tempi e ai mutamenti internazionali. Il doge esercitava un potere in larga misura indiretto, di direzione dei lavori dei Collegi più che di intervento. Ma significativamente durante il biennio dei D. (che fu occupato dai provvedimenti per la ricostruzione della città devastata dalle bombe) venne concesso ad un francese l'appalto del deposito di sale di Savona, uno dei casus belli del 1684. D'altra parte la Repubblica venne inclusa nella tregua di Ratisbona e poté da allora ripararsi nuovamente (e per oltre mezzo secolo) nella neutralità, di segno ora filofrancese.
Uscito di carica il 23 ag. 1687 e divenuto procuratore perpetuo, il D. presiedette il magistrato di Guerra nel 1688, 1692, 1693, 1695, 1697, gli inquisitori di Stato nel 1689, 1694, 1696, l'ufficio di Corsica; fece parte della giunta di Marina. Ebbe anche l'incarico onorifico di priore di S. Giovanni Battista. Ma se la partecipazione alle principali magistrature era scontata per un ex doge ancora relativamente giovane, un segno indubbio dell'influenza del personaggio fu la sua candidatura per un secondo biennio dogale nel 1693 e nel 1697 (in entrambi i casi risultò secondo, rispettivamente con 289 e 282 voti, più o meno quanti gli erano bastati per essere eletto nel 1685). Le leggi del 1576 non vietavano la rielezione; già a fine '500 era stato ricandidato un procuratore perpetuo; e al tramonto della Repubblica il secondo mandato venne effettivamente concesso (a Giacomo Maria Brignole, l'ultimo doge); ma di norma il rispetto degli equilibri di fazione e di clan consigliava la non rielezione.
Il 2 ag. 1694 il D. fece l'ultimo testamento; mori a Genova il 31 luglio 1699 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria della Consolazione. Il 3 ag. 1659 aveva sposato Violante (o Maria Violante) Garbarino di Gerolamo, dalla quale ebbe Cesare, Stefano (doge nel 1734-36), Carlo Gerolamo, poi gesuita, e due maschi morti a pochi giorni di vita; le due figlie Maria Aurelia e Maria Giovanna entrarono nel monastero di Nostra Signora della Misericordia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto 478 (Liber ceremoniarum, V, pp. 136, 189); 908-950 (Manuali dei decreti del Senato); 1600 (Secretorum, docc. 88, 97, 100, 103, 108, 109); 1911 (Litterarum, pp. 163-173); 2549 (Lettere ministri, Vienna); 2834, doc. 214 (Nobilitatis); Ibid., Manoscritti 439; Senato 127; Genova, Archivio Durazzo, 62 (doc. 94), 67 (doc. 340); Ibid., Civica Bibl. Berio, m. r. VIII. 2. 28: A. M. Buonarroti, Alberi genalogici di diverse famiglie nobili, I, p. 354; Ibid., Bibl. univer s., Manoscritti, c. IX. 19-21: A. Della Cella, Famiglie di Genova e Riviere, II, f. 33; Archivo general de Simancas, Papeles de Estado, Génova, leg. 3621, f. 36; 3622, f. 34; I. Pallavicino, L'unione dei tempi. Orazione nell'incoronazione del Ser.mo P. D., Genova 1685; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova nel secolo decimosettimo, VI, Genova 1800, p. 246; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 347; F. M. Accinelli, Compendio delle storie della Repubblica di Genova…, Genova 1851, I, p. 135; M. Spinola, Dissertazione intorno alle negoziazioni diplom. tra la Repubblica ed il re Luigi XIV negli anni1684 e 1685, in Giorn, ligustico, IV (1877), p. 178; F. Casoni, Storia del bombardamento di Genova nell'anno MDCLXXXIV. Libro inedito degli Annali, Genova 1877; L. Volpicella, ILibri dei cerimoniali della Repubblica di Genova, San Pier d'Arena 1921, pp. 316-319; P. L. M. Levati, Dogi biennalidi Genova dal 1528 al 1699, II, Dal 1634 al 1699, Genova 1930, pp. 361-374; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 119; O. Pastine, La politica di Genova nella lotta veneto-turca dalla guerra di Candia alla pace di Passarowitz, ibid., LXVII (1938), ad Ind.; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 175; C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna, Torino 1978, p. 392; L'Archivio dei Durazzo marchesi di Gabiano, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XCV (1981), pp. 12 s., 160, 178; C. Bitossi, "Una mostra cosi gagliarda". Minacce francesi e difese genovesi nel 1679, in Miscellanea storica ligure, XV (1983), pp. 31-47; Id., "Il piccolo sempre succombe al grande": la Repubblica di Genova tra Francia e Spagna, 1684-1685, in Il bombardamento di Genova nel 1684, Atti della Giornata di studio nel terzo centenario (Genova, 21 giugno 1684), Genova 1988, pp. 63-69; M. G. Bottaro Palumbo, La crisi dei rapporti tra Genova e Francia negli anni Ottanta del secolo XVII, in Rapporti Genova-Mediterraneo-Atlantico nell'età moderna. Atti del III Congresso internazionale di studi storici (Genova 3-5 dic. 1987), Genova 1989 [in corso di stampa].
C. Bitossi