POLFRANCESCHI, Pietro Domenico
POLFRANCESCHI, Pietro Domenico. – Nacque a Verona il 28 aprile 1766, da Girolamo e Fiorenza Bonnetti di Legnago. I Polfranceschi erano una famiglia nobile di Verona che risulta iscritta al Nobile consiglio della città a partire dal 1414, e nel 1584 veniva ricordato nel campione dell’estimo un Polfrancesco Polfranceschi «de S. Vitale» (Cartolari, 1854, p. 213). Avviato alla carriera militare, il titolo nobiliare della famiglia gli permise di accedere al Collegio militare di Verona, con sede nel Castello Scaligero.
Alla fine del XVIII secolo il Collegio militare era un focolaio sovversivo. Tra gli allievi, secondo il savio Marcantonio Priuli, già nel 1764 serpeggiavano «dei mali principi, pregiudizievoli alla buon amorale, molto più ancora contaminata dalle massime di libertà che vien fatto di credere che si siano nel Collegio disseminate» (cit. in Crociani - Ilari - Paoletti, 2000, p. 180). Nel corso dei procedimenti penali aperti nei confronti del caposquadra Maccagni (1775) e del docente di disegno Castellazzi (1778) venne accertato che tre ufficiali capisquadra «consumavano il loro tempo con la lettura di romanzi e libri oltremontani, dei quali contribui[va]no pure i giovani, avendosi giurata deposizione che vi fossero vedute nelle mani di qualche alunno le opere di Volter [Voltaire], e venendo perfino introdotto il sospetto che si leggessero quelle ancora di Nicolò Machiavello» (p. 180).
Probabilmente in questo periodo Polfranceschi venne a contatto con gli ambienti massonici della loggia A la Vraie Lumière, fondata dal docente di francese Jean-Baptiste Joure, che si riuniva nell’alloggio del governatore Antonio Maria Lorgna. La loggia, scoperta nel 1785, fu sciolta e Joure espulso dai territori della Repubblica di Venezia (p. 180). Divenuto capitano di artiglieria, Polfranceschi nel 1797 entrò a far parte dell’esercito cisalpino. Il 25 luglio 1797, insieme a Domenico Monga, fu eletto deputato al Congresso di Bassano. In questo periodo realizzò un progetto per l’organizzazione della Guardia nazionale veronese. Monga accolse con entusiasmo questo progetto e lo riportò in un libello a stampa acclamando il suo estensore come un «eccellente Patriota per le sue vaste cognizioni militari, e politiche è in grado di prestare li maggiori servigi al suo paese» (Monga, 1797, p. 49). Polfranceschi fu nominato prima segretario, poi presidente del Congresso di Bassano e fu scelto come unico rappresentante dei territori della ex Terraferma veneta e venne inviato presso il direttorio a Parigi per chiedere l’annessione alla Repubblica Cisalpina di quelle porzioni della Repubblica di Venezia che si erano poste sotto la tutela francese. A Parigi sposò Carolina Hubert, dalla quale ebbe negli anni successivi otto figli: Fiorenza, Girolamo, Giovanni Battista, Luigi, Amalia, Adelaide, Lavinia, Matilde (Schröder, 1830, p. 153). La sua opera diplomatica sembrò portare ai frutti sperati, ma la ratifica del Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) impose la cessione del Veneto all’Austria.
Deluso, Polfranceschi fece ritorno a Verona, dove restò per poco tempo; il 9 novembre Napoleone Bonaparte aveva insediato il corpo legislativo bicamerale della Repubblica Cisalpina e aveva concesso la cittadinanza ad alcuni degli esuli veneti, compreso Polfranceschi, che fu nominato a Milano juniore nell’assemblea legislativa. Insieme a Vincenzo Dandolo e Giuseppe Lahoz Ortiz presentò una richiesta perché venisse concessa al più presto la cittadinanza cisalpina ai patrioti veneti esuli. Questa proposta, a lungo discussa, fu respinta dai seniori. Di fronte all’ostinata resistenza delle assemblee milanesi intervenne direttamente Bonaparte il quale, in nome dell’amicizia che lo legava a Dandolo, ottenne nel 1798 l’approvazione del Gran Consiglio la cui attuazione nel 1802 era ancora in alto mare e costituiva un problema spinoso per il vicepresidente della Repubblica italiana Francesco Melzi d’Eril (Pederzani, 2014, pp. 72 s.). Nel frattempo l’ambasciatore francese Charles-Joseph Trouvé impose alla Repubblica Cisalpina una nuova costituzione autoritaria, in modo da vincolare la politica interna ed estera cisalpina a quella francese. L’ambasciatore riunì 86 rappresentanti, dei quali solo 22 rifiutarono la nuova carta costituzionale. Tra questi vi era Polfranceschi il quale, inizialmente escluso dai nuovi consigli, fu reintegrato il 19 ottobre. Il 7 dicembre i francesi decisero un nuovo scioglimento del direttorio e dei consigli cisalpini, ristabilendo la composizione di Trouvé. Ma nell’aprile del 1799 l’offensiva austro-russa in Italia costrinse il direttorio cisalpino a riparare a Chambéry e anche Polfranceschi, sebbene senza alcun incarico ufficiale, abbandonò Milano per trovare rifugio in Francia. A luglio si trovava a Embrun, città dalla quale ebbe uno scambio epistolare con Carlo Botta in merito alla situazione politica e militare della penisola italiana (Pavesio, 1875, pp. 150-153, 157-159). Nell’autunno del 1799 si spostò a Grenoble, dove venne in contatto con Carlo Salvador e Giovanni Fantoni (Tatti, 1999, p. 25).
Durante il periodo di esilio collaborò con Fantoni nell’estensione dell’opuscolo Grido dell’Italia, pubblicato a Grenoble in francese e in italiano nel 1799, che firmò con lo pseudonimo di Capitano Forel (Rossi, 2013, pp. 70 s.). Nel testo era presente una disamina dell’ultimo periodo della Cisalpina, nella quale si prendevano apertamente le distanze dall’operato degli agenti francesi in Italia e dei moderati cisalpini, accusati di opportunismo e in molti casi di malversazione.
Le vittorie francesi del 1800 permisero la ricostituzione della Repubblica Cisalpina e la formazione di un governo provvisorio. I ministeri, ridotti a quattro accorpando Giustizia e Polizia, furono ricostituiti il 25 settembre. Il ministero della Guerra fu tenuto interinalmente dal commissario ordinatore Giovanni Tordorò, finché, il 30 ottobre, l’ispettorato fu attribuito a Polfranceschi. A differenza del predecessore, Polfranceschi univa al grado – era stato nel frattempo promosso generale di brigata – e all’incarico militare di ispettore alle rassegne un profilo politico e il 5 novembre gli fu formalmente riconosciuto il rango di ministro della Guerra (Crociani - Ilari - Paoletti, 2004, I, 2, p. 113). In crescente polemica con il governo, Polfranceschi chiese ripetutamente di potersi ritirare dal ministero e alla fine, il 22 aprile, gli fu concesso di tornare al precedente incarico di ispettore alle rassegne; al suo posto fu nominato il generale di brigata Pietro Teulié (p. 114). La legge del 18 febbraio 1801 prevedeva la levata di un corpo di gendarmeria analogo a quello francese con lo scopo di «assicurare il mantenimento dell’ordine e l’esecuzione delle leggi» mediante «vigilanza continua e repressiva […] specialmente per la sicurezza delle campagne e delle strade» (Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, cart. 488). Lo stesso Bonaparte, al quale fu sottoposto nel giugno del 1802 in qualità di presidente della nuova Repubblica italiana un progetto di decreto per la formazione della Gendarmeria nazionale, indicò l’importanza attribuita alla gendarmeria e la sua natura di arma politica. Quest’arma, almeno inizialmente, non funzionava a dovere e la truppa, anziché concorrere al mantenimento dell’ordine pubblico, si segnalava per la frequenza di prepotenze, truffe, furti, risse e omicidi (cartt. 489-490). Finalmente il governo si decise a porre rimedio e il 30 luglio 1804 trasferì Polfranceschi dall’incarico di ispettore centrale delle rassegne a quello di ispettore generale della gendarmeria con il grado di generale di divisione. Egli propose un nuovo ordinamento del corpo, approvato dal governo con decreto del 3 settembre, che sdoppiava il comando unico in due comandi di reggimento, il primo con giurisdizione sui dipartimenti al di qua e il secondo su quelli al di là del Po (Crociani - Ilari - Paoletti, 2004, I, 2, pp. 875 s.).
L’idea principale di Polfranceschi era però quella di militarizzare il reclutamento della gendarmeria. Il 12 settembre 1804 presentò al governo un secondo progetto di riforma affermando che ad aver «rovinato il corpo nel suo nascere» era stata la speranza di risparmiare i costi d’impianto reclutando benestanti in grado di equipaggiarsi a proprie spese, invece di fare come i francesi, che mettevano vestiario e cavalli a carico del Tesoro. Il risultato del sistema italiano era stato fallimentare: non solo perché i benestanti non si erano arruolati, ma soprattutto perché la massa dei gendarmi era stata reclutata nella feccia della società invece che tra i militari, i quali, se non altro, erano già abituati alla disciplina. Polfranceschi proponeva perciò di invertire i rapporti, reclutando tra i militari sia il contingente necessario per completare il corpo sia i gendarmi occorrenti per coprire le future vacanze, costituendo a tale scopo, presso i corpi di linea, un’aliquota di militari predesignati, detti vigili. La militarizzazione del reclutamento doveva inoltre consentire di attivare finalmente il servizio ordinario d’istituto, finora rinviato (Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, cart. 492).
Nel 1805 Polfranceschi aderì alla loggia massonica Reale Gioseffina fondata da Gian Domenico Romagnosi e Francesco Saffi (Crociani - Ilari - Paoletti, 2004, I, 2, p. 25). Le sue amicizie gli garantirono nuovi incarichi. Nel 1805 i corpi consultivi del Regno d’Italia furono riuniti in un unico Consiglio di Stato di 35 membri, articolato per materia in tre sezioni (Legislazione e culto, Interno e finanze, Guerra e marina) composte da membri dei tre organi, i quali potevano riunirsi separatamente oppure in seduta comune. La sezione di Guerra e marina era composta da Giuseppe Compagnoni e dai generali Achille Fontanelli, Giuseppe Danna e Polfranceschi. Lo stesso anno ottenne la carica di capo di stato maggiore dell’armata di riserva, costituita nel novembre per parare lo sbarco anglo-russo a Napoli. Alla testa della gendarmeria e di altri reparti, Polfranceschi nel 1809 prese parte ai combattimenti lungo la frontiera tirolese e lungo tutta la Valtellina (Archivio di Stato di Milano, Segreteria di Stato, Aldini, cart. 81; Ministero della Guerra, cart. 494). L’anno seguente Napoleone decise di nominarlo conte del Regno (Regie lettere patenti dell’11 ottobre 1810). Il 1812 registrò un progressivo aggravamento della situazione dell’ordine pubblico e un crescente coinvolgimento della gendarmeria nei rastrellamenti di renitenti e disertori e nella lotta al brigantaggio (Segreteria di Stato, Aldini, cart. 82). La lotta contro la renitenza alla leva e al brigantaggio nelle campagne continuò ad aumentare di intensità sino al 1814, quando il Regno d’Italia, con gli austriaci alle porte, precipitò nel caos (ibid., Ministero della Guerra, cartt. 148, 289, 296bis, 494, 498, 500, 515, 1015, 1067). Con l’arrivo degli austriaci, un amareggiato Polfranceschi fu sollevato dai suoi incarichi (Ministero della Guerra, cart. 498). Il suo coinvolgimento politico sotto l’amministrazione cisalpina e italica non rese possibile un suo riciclo da parte del governo austriaco. Tuttavia, il titolo comitale che gli era stato concesso da Napoleone dopo la Restaurazione non decadde, ma venne confermato una prima volta con Sovrana risoluzione del 22 novembre 1817. Una seconda riconferma fu concessa dall’amministrazione del Regno Lombardo-Veneto con Sovrana risoluzione del 9 dicembre 1819 (Schröder, 1830, p. 153). Successivamente negli almanacchi imperiali veniva sempre riportato negli elenchi dei «Generali Maggiori fuori d’attività» con il titolo di conte e di cavaliere della Reale Legion d’onore di Francia (Almanacco, 1834, p. 182, 1842, p. 200, 1843, p. 196, 1845, p. 214).
Morì a Verona il 24 febbraio 1845.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, cartt. 148, 289, 296bis, 488 s., 492, 494, 498, 500, 515, 1015, 1067; Segreteria di Stato, Aldini, cartt. 81-82; D. Monga, Provvedimenti dati per la felicità del popolo veronese, Verona 1797, p. 49; F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete. Contenente anche le notizie storiche sulla loro origine e sulla derivazione dei titoli, colla indicazione dello dignità, ordini cavallereschi e cariche di cui sono investiti gl’individui delle stesse, Venezia 1830, p. 153; Almanacco Imperiale della Lombardia, Milano 1834, p. 182, 1842, p. 200, 1843, p. 196, 1845, p. 214; A. Cartolari, Famiglie già ascritte al nobile Consiglio di Verona, Bologna 1854, p. 213; P. Pavesio, Lettere inedite di Carlo Botta, Faenza 1875, pp. 150-153, 157-159.
M. Tatti, Le Tempeste della Vita. La letteratura degli esuli italiani in Francia nel 1799, Paris 1999, pp. 9, 25, 82; P. Crociani - V. Ilari - C. Paoletti, Bella Italia Militar. Eserciti e Marine nell’Italia pre-napoleonica (1748-1792), Roma 2000, pp. 179 s.; Idd., Storia militare del Regno Italico (1802-1814), I-III, Roma 2004, pp. 113 s., 875-899; L. Rossi, Ideale nazionale e democrazia in Italia. Da Foscolo a Garibaldi, Roma 2013, pp. 70 s., 82 s.; I. Pederzani, I Dandolo. Dall’Italia dei lumi al Risorgimento, Milano 2014, pp. 72 s.