PIETRO di Domenico
PIETRO di Domenico (Pietro da Baone, Petrus de Baone). – Nacque nell’ultimo decennio del secolo XIII, presumibilmente a Treviso. Era figlio del notaio Giovanni da Baone, località in territorio di Padova; non è pervenuto alcun documento su di lui, né si hanno notizie sulla sua attività professionale o sul suo arrivo a Treviso.
Sono senza fondamento documentario le opinioni (Ughelli, 1720, col. 553; Liberali, 1938, p. 137) di chi ritiene fosse un esponente della nobile famiglia padovana dei conti da Baone. Giovanni, oltre a Pietro, ebbe almeno altri cinque figli: Michele, Antonio, Prosdocimo, Lucia e Manfredo. Le vicende di costoro, o dei loro figli, mostrano il buon inserimento della casata nelle istituzioni civili ed ecclesiastiche di Treviso, evidentemente anche in connessione ‘clientelare’ e nepotistica con la carriera di Pietro, che verosimilmente favorì, in modo diretto o indiretto, l’acquisizione di queste posizioni. Michele (morto nel 1337) fu priore di San Prosdocimo di Valdobbiadene; Antonio (morto nel 1350) fu notaio e scriba della Curia vescovile di Treviso, e dal suo matrimonio con Benasuda nacque Margherita, che sposò il notaio Bonaccorso de Clarello, pure lui notaio e scriba della Curia vescovile (da cui Bartolomeo, Giacomo, Antonio e Nicolò); Lucia (morta nel 1348) sposò Michele del fu Paolo del Legname, da cui ebbe un figlio, Pietro Paolo, che divenne decano del Capitolo della cattedrale di Treviso; Prosdocimo esercitò l’attività di orefice nella contrada di S. Giuliano di Venezia, chiesa già retta da Pietro. La documentazione attesta l’esistenza di un altro nipote di Pietro, Francesco o Franceschino del fu Simone da Mestre, di professione notaio, fattore per qualche tempo dello zio; i suoi figli, Antonio e Pavino, diventarono canonici del Capitolo della cattedrale di Treviso.
Pietro ebbe una buona formazione di tipo giuridico; dei suoi studi e della sua biblioteca personale rimane però come testimonianza soltanto un codice dello Speculum iudiciale di Guglielmo Durante. Nel 1315 quasi certamente era già notaio se poteva sostituire, come lui stesso ricorda nella Vita del beato Enrico da Bolzano, il fratello Antonio, notaio del vescovo Castellano di Salomone, incaricato assieme al notaio del Comune di redigere la vita e i miracoli del beato. Nel 1316 Pietro, sacri palacii notarius et officialis episcopalis curie Tervisine, su mandato del podestà Francesco Mezzovillani trascrisse in copia autentica alcuni atti riguardanti i diritti dell’episcopato, oggi conservati nel Codice AC, un liber iurium dell’episcopato trevigiano. Era ancora officialis episcopalis curie Tarvisine nel 1321.
Non è possibile seguire con precisione le tappe successive di una carriera lunga e brillante, perché nulla si sa di lui sino al 1336 quando, ormai canonico del Capitolo trevigiano, si recò ad Aquileia per chiedere al patriarca la conferma dell’elezione a vescovo di Pietro Paolo della Costa (ultimo vescovo eletto direttamente dal clero trevigiano).
Pietro acquisì in quegli anni diversi benefici e incarichi di gestione di beni ecclesiastici: fu nominato pievano della chiesa di S. Maria e S. Donato di Murano (1333-47). Nel 1339 ottenne in affitto per un anno l’abbazia benedettina di S. Bona di Vidor (Treviso), dipendenza pomposiana, vacante in seguito alla morte dell’abate. Almeno dal 1350 fu pievano della chiesa di San Giuliano di Venezia, ufficio che mantenne per diversi anni anche dopo la nomina a vescovo di Treviso. Gli atti capitolari trevigiani attestano una sua presenza abbastanza assidua, nonostante i benefici di cui godeva a Murano e Venezia, città quest’ultima in cui si trasferì temporaneamente assieme al vescovo e ad altri canonici durante la guerra veneto-ungherese (1356-58).
La promozione agli ordini sacri aveva nel frattempo seguito il suo iter: a partire dal 1340 negli atti capitolari il suo nome è preceduto dal titolo di presbiter; nel 1347 agì «tamquam maior in dicto Capitulo»; nel 1349 ricoprì temporaneamente l’ufficio di vicedecano. Nel 1356 «tamquam antiquior canonicus et tenens locum decani» si oppose alle pretese di un canonico che mediante false credenziali cardinalizie pretendeva rendite non dovute.
Negli anni Cinquanta Pietro già raccoglieva consensi e stima dei canonici residenti e del clero cittadino, tanto che nel 1352, alla morte del vescovo Pietro Paolo della Costa, fu proposto come vescovo di Treviso a papa Clemente VI, ma senza successo. Nuovamente, il 18 luglio 1357 a Venezia, subito dopo la celebrazione delle esequie del vescovo Azzone Maggi, i canonici (tra i quali lo stesso Pietro), il primicerio e i procuratori della Congregazione dei cappellani, volendo provvedere come da antica tradizione alla nomina del nuovo ordinario, pur nel rispetto della riserva fatta dal papa su tale nomina, decisero all’unanimità di proporre la sua persona come vescovo di Treviso, esaltandone i pregi e le virtù (Ughelli, 1720, coll. 554-557). La candidatura di Pietro era ben vista anche dal governo veneto, che aveva scritto in questo senso al papa e ai cardinali; del resto, lo stesso Pietro aveva inoltrato una supplica al doge perché ordinasse al podestà di Treviso di scrivere a sua volta alla Sede apostolica. Anche questo secondo tentativo fallì, ma dopo il breve episcopato di Pileo da Prata (che per due anni governò la diocesi da Padova, dove fu poi trasferito) nel mese di luglio 1359 Pietro fu infine nominato vescovo di Treviso.
La sua attività, ricostruibile sulla base di una minuta documentazione e distesa in circa 25 anni di reggimento della diocesi, fu notevolissima e di alto profilo amministrativo e pastorale. Trovandosi a governare una diocesi appena uscita da un difficile periodo di guerra e segnata da due anni di incuria per l’assenza dell’ordinario, Pietro intervenne subito con attenzione e decisione esigendo la residenza dei rettori delle parrocchie con cura d’anime, chiedendo la redazione dell’inventario dei beni mobili e immobili delle chiese, e regolando una serie di questioni legate ai benefici curati (assenze ingiustificate, esiguità dei patrimoni). Curò inoltre e fece registrare le promozioni agli ordini sacri, collaborò con i canonici riorganizzando le prebende capitolari e rimediando ai gravi guasti delle assenze (oltre tre quarti dei beneficiati), approvando statuti, arbitrando controversie, deliberando in materia di diritti parrocchiali in occasione dei funerali. Sul piano più latamente sociale, avocò a sé l’esecuzione dei legati testamentari in caso di negligenza dei commissari, sollecitò i processi contro gli usurai (per quanto anch’egli avesse da canonico e vescovo effettuato prestiti sia pure «pro bono et fino amore», cioè senza la richiesta di interessi). Grande vigilanza dedicò ai monasteri femminili e alla materia ospedaliera, favorendo il grande ospedale dei Battuti e altre istituzioni (l’ospedale di S. Maria di Betlemme, l’ospedale di Paderno del Grappa). Non minore attenzione dedicò all’istruzione dei giovani poveri (da avviare al sacerdozio e al notariato), creando la scuola di S. Liberale e associandola all’omonima Confraternita, e curando la nomina del canonico scolastico.
Strumento importante del buon governo di Pietro fu la riorganizzazione della Curia, popolata – oltre che di cappellani, domicelli, familiares, nuntii, servitori – di notai provvisti di buona preparazione giuridica (tra i quali il nipote Bonaccorso di Clarello, e Francesco da Lancenigo, diventato in seguito secretarius pape), nonché di diversi vicari generali in temporalibus et in spiritualibus, esperti di diritto canonico o dottori in decreti (Guido della Villana e Bonifacio da Mantova, Marco Valentini da Venezia e Nicolò Ciera, canonici di Modone, Pietro Paolo, Giovanni de Clariaco della diocesi di Tarantaise, Giovanni Arpo).
Qualche problema in più Pietro lo ebbe sul piano dell’amministrazione patrimoniale, per le pressioni dei governanti locali. Un fattore, Giovanni detto da Verona, si rivelò persona poco affidabile e subordinata agli interessi di Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova, beneficiario fin dal 1368 dell’investitura di ricchi feudi dell’episcopato trevigiano e probabilmente «non estraneo» (Liberali, 1938, p. 142) all’investitura del feudo dell’avvocazia della Chiesa di Treviso ai potenti aristocratici Meliadusio e Nicolò Tempesta, figli naturali di Vampo. Contro il Comune di Treviso rivendicò peraltro i diritti dell’episcopato sulla pesca nel fiume Sile.
Pietro disponeva di un ricco patrimonio personale, incrementato con le rendite dell’episcopato e con i proventi di alcune eredità. Questo gli permise di mostrarsi molto generoso verso la Cattedrale, fatta oggetto di ricchissime donazioni (1369, 1370, 1376), che abbellì con la costruzione di nuove porte e della cappella della Ss. Trinità. Importanti lavori di ristrutturazione furono promossi anche nel Palazzo vescovile: la cappella nuova, la grande loggia o podiolum novum, che talvolta scelse come luogo consono per alcuni atti episcopali.
Dal punto di vista culturale, coltivò alcune amicizie con esponenti legati all’ambiente del preumanesimo, corrispondenti di Francesco Petrarca (il suo vicario Nicolò Ciera, il canonico Gasparino Favaccio, Paolo de Bernardo). Certamente è Pietro di Baone il «piovano di San Giuliano» ricordato nel 1366 in una lettera di raccomandazione inviata a Petrarca da Francesco Bruni, segretario pontificio (Lazzarini, 1933, pp. 4 s.). Tra il 1362 e il 1368 scrisse la Vita del beato Enrico da Bolzano, della cui santità era stato testimone, perché non se ne perdesse la memoria: opera «di una certa erudizione e di buon gusto letterario e artistico, […] che scrisse per otium in semplice elegante latino» (Liberali, 1938, p. 146).
Pietro morì il 20 maggio 1384, pochi mesi dopo l’affermazione della signoria di Francesco da Carrara su Treviso: uno dei suoi ultimi atti fu l’ossequio in cattedrale, con tutto il clero e le schole della città, al nuovo signore. Fu sepolto nella cappella della Ss. Trinità, da lui fatta costruire.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Treviso, Notarile I, in particolare le bb. 1 (atti di Meneghello Ingoldeo de Lignamine), 31 (atti di Tommaso di Romeo, 1344-1369), 42 (atti di Martino da Onigo), 43 (atti di Covolato da Corte di Semonzo), 57 (atti di Rainerio de Corona), 64 (atti di Antonio de Nepote), 81 (atti di Biachino di Lazurello de Arena), 83 (atti di Semprebene da Col San Martino), 123 (atti di Ottone da Castagnole), 130 (atti di Bartolomeo del fu Rigo da San Zenone), 309 (atti di Antonio de Vonica), passim; Treviso, Archivio della Curia Vescovile, Codice AC; Libro de’ feudi del Vescovato di Treviso, 1360 (Libro A primo), n. 3 (su cui si veda M.E. Vanzetto, Aspetti ecclesiastici e strategie politiche nel Trecento veneto dal ‘Libro dei Feudi’ dell’episcopato trevigiano del 1360, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, a.a. 1996-1997); Archivio e Biblioteca del Capitolo, Necrologium vetus; Mss., 10: Pietro da Baone, Vita Beati Rigi; Pergamene Archivio, Pergamene Biblioteca, passim; Biblioteca Civica di Treviso, Mss., 172: Speculum iudiciale di Guglielmo Durante, 617.
F. Ughelli, Italia Sacra, V, Venezia 17202, coll. 553-557; F. Corner, Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis nunc etiam primo editis llustratae, II, Venezia 1749, pp. 68 s., 121-125; Id., Ecclesiae venetae illustratae, Decas quarta et quinta, Venezia 1749, p. 339; R. Azzoni Avogaro, Memorie del Beato Enrico…, Venezia 1760, I, pp. 77-81, II, pp. 79-93; L. Lazzarini, Amici del Petrarca a Venezia e Treviso, in Archivio Veneto, s. 5, XIV (1933), pp. 1-14; G. Liberali, La dominazione carrarese in Treviso, Firenze 1938, pp. 137-148; G. Billanovich, Petrarca letterato, I, Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, pp. 127-129; L. Gargan, Giovanni Conversini e la cultura letteraria a Treviso nella seconda metà del Trecento, in Italia medioevale e umanistica, VIII (1965), pp. 86, 93 s., 116-124; A. Sartoretto, Cronotassi dei vescovi di Treviso (569-1564), Treviso 1969, pp. 88-93; L. Pesce, Vita socio-culturale in diocesi di Treviso, Venezia 1983, pp. 198 s.; Id., La chiesa di Treviso nel primo Quattrocento, Roma 1987, I, pp. 123-127, II, pp. 369-383; A. Campagner, Cronaca Capitolare. I canonici della Cattedrale di Treviso, II, Vedelago 1992, pp. 119-125; G. Cagnin, «Ad adiscendum artem et officium clericatus». Note sul reclutamento e sulla formazione del clero a Treviso (secolo XIV), in Quaderni di storia religiosa, IV (1997), numero su Preti nel medioevo, pp. 99-102; Id., «Scriba et notarius domini episcopi et sue curie». Appunti per la conoscenza dei notai della curia vescovile di Treviso (sec. XIV), ibid., XI (2004), numero su Chiese e notai (secoli XII-XV), pp. 149-153.