BIVONA, Pietro de Luna e Salviati duca di
Nacque a Caltabellotta, da Sigismondo e da Aloisia Salviati-Medici, intorno al 1520. Ai primi di agosto del 1529 seguì con la madre il padre fuggiasco dall'isola perché ricercato dalle forze regie come uno dei protagonisti del cosiddetto secondo caso di Sciacca, che vide i Luna e i Perollo, e i rispettivi partigiani, scontrarsi sanguinosamente in Sciacca dal 19 al 23 luglio.
L'essere Aloisia nipote di Clemente VII indusse Sigismondo a cercar rifugio, con tutta la famiglia, in Roma, ma nemmeno le pressioni di sì autorevole protettore valsero a procurargli il perdono dell'imperatore. Solo alcuni anni dopo, con privilegio imperiale del 5 dic. 1534, vennero restituiti alla famiglia i beni confiscati dalla Regia Corte dopo i ricordati luttuosi avvenimenti, e fu riconosciuto al B. il diritto a succedere direttamente all'avo paterno Giovanni Vincenzo, con esclusione del padre.
Nel 1539 il B., con il favore del presidente del Regno, marchese di Terranova, si recò alla corte imperiale per fare atto di devozione al sovrano. Ormai reintegrato nella posizione tradizionale della sua famiglia, fu nominato dal marchese di Terranova capitano d'armi. Il 9 maggio 1547 fu investito del feudo di San Giovanni e di altre terre della contea di Sclafani avuti in donazione dall'avo, ed il 9 ottobre successivo, nel Parlamento tenutosi in Messina, fu eletto deputato del Regno. Due anni dopo, il 6 febbr. 1549, per la morte dell'avo, entrò in possesso di tutti i feudi della famiglia, ricevendo le relative investiture e assumendo il titolo di conte di Caltabellotta. Nell'aprile dello stesso anno fu eletto, ancora una volta, deputato del Regno e nello stesso mese fu nominato stratigoto di Messina.
Durante il biennio di carica egli si adoperò, tra l'altro, per agevolare la penetrazione della Compagnia di Gesù nell'isola e fu proprio per accordi intercorsi con la Curia stratigoziale che la Compagnia poté aprire, il 21 apr. 1550, un collegio universitario in Messina. Lo sforzo compiuto dal B. per reinserire la famiglia nel corso della vita politica isolana si poteva considerare ormai compiuto.
Alla fine del luglio 1552 il B. sposò la figlia di Giovanni de Vega, viceré di Sicilia, Isabella. Tale parentela influì favorevolmente sull'ulteriore sviluppo del programma di reintegrazione del patrimonio familiare, da lui perseguito con numerosi processi. Lamentele e recriminazioni non interrompevano la fortuna del B., che con privilegio imperiale firmato in Bruxelles il 25 maggio 1554 - primo fra tutti i nobili di Sicilia - otteneva la concessione del titolo di duca anche "ob affinitate cum clara familia consanguinei fidelis nobis dilecti Ioannis de Vega": da quel momento e fino al 1563, per diritto derivante dal titolo stesso, egli restava a capo del braccio militare.
Quando, nel 1555, la tensione fra viceré ed Inquisizione divenne tale che "Giovan de Vega si risolse a carcerare due Inquisitori" (Scipione di Castro), egli intervenne presso il suocero e, facendo opera di persuasione, evitò che gli eventi prendessero piega drammatica.
Rimasto presto vedovo, il B., nel maggio 1561, passava a nuove nozze sposando anche questa volta la figlia di un viceré, Angela de la Cerda, figlia del duca di Medina Coeli.
Nel 1563 giungeva a una svolta decisiva un processo di rivendicazione di diritti di successione: il B. infatti, prevedendo che Diana de Cardona, ultima discendente di una nobile e ricca famiglia imparentata con la sua, sarebbe morta senza credi diretti, rivedicava il diritto a succederle nel possesso del ricco patrimonio. La sua azione, però, dovette suscitare malcontento e provocò l'intervento diretto del sovrano. Il 23 giugno 1563 Filippo II emanò un decreto con cui approvava il sequestro posto dalla Regia Corte sui beni contesi per evitare che i pretendenti venissero ad arma e incaricava gli Inquisitori di Sicilia di precisare "a quien pertençe y se deve dar la possession de los dichos estados".
Le memorie redatte dagli inquisitori Gurrea e Camps, in risposta all'incarico assegnato, non entrarono nel merito del contrastato diritto delle parti a succedere, ma l'azione rivendicativa del B. dové comunque riuscire vana: dei beni di Diana de Cardona s'investiva, il 10 dic. 1566, Caterina de Cardona.
Vicario generale per Val di Mazara il 7 apr. 1563 (dopo esserlo stato dal 1553 al 1555), l'incarico gli veniva confermato nell'anno successivo e nel 1568, 1570, 1573 e 1575; in tale ufficio il B. si adoperò sempre con solerzia per mantenere efficienti le difese delle coste affidate alla sua sorveglianza, riscuotendo anche la fiducia e l'approvazione del duca di Terranova nel periodo in cui fu presidente del Regno. Alla difesa del Regno il B. partecipava anche concorrendo, fino al 1569, al mantenimento di due galere complete di equipaggi ed armamenti.
Morì nel suo feudo di Caltabellotta nell'agosto del 1575.
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