BRAYDA, Pietro de
Nobile piemontese cittadino di Alba, nacque in data imprecisata nella prima metà del sec. XIII da Oberto soprannominato Battaglia.
La sua famiglia, di origine feudale, discendeva a quel che pare dagli antichi signori di Bra e risiedeva sin dal sec. XII in Alba, dove partecipava attivamente alla vita del Comune, godendo di considerevole influenza politica. Saldamente ancorata al possesso feudale della terra, la famiglia Brayda non disdegnava però l'esercizio della mercatura che ne potenziò notevolmente la ricchezza e il prestigio sociale. Fu merito della consorteria famigliare dei Brayda e della fazione guidata da essa, se Carlo d'Angiò, allora solo conte di Provenza, poté assumere nel 1259 la signoria della città di Alba, che divenne una delle basi della dominazione angioina in Piemonte. I Brayda legarono da allora le proprie fortune a quelle del futuro re di Sicilia, che servirono sempre con il massimo impegno e la più assoluta fedeltà.
Il B. stesso è ricordato per la prima volta nel 1261, allorché prestò al siniscalco angioino Guglielmo L'Etendard, inviato in Piemonte per consolidare le posizioni dell'Angiò in vista della non lontana conquista del Regno di Sicilia, la cospicua somma di ottocento libbre tornesi. A garanzia del prestito L'Etendard gli dette in pegno il castello di Pollenzo, del quale già nel 1254 il Comune di Alba aveva investito il padre di lui, Oberto. La concessione fu approvata il 4 dic. 1261 anche dal Consiglio di Alba che vantava ancora diritti sul castello. Ulteriori prestiti concessi dal B. e da tre suoi fratelli per finanziare la spedizione angioina nel Regno di Sicilia misero nelle mani della famiglia Brayda tra il 1263 e il 1264 i castelli di Sant'Albano, Comegliano, Bene e Monforte. Per il possesso di Sant'Albano e Bene sorsero tuttavia più tardi gravi controversie con il vescovo di Asti che li rivendicava alla sua chiesa. Per risolvere la questione il 3 giugno 1272 Carlo d'Angiò ordinò al suo siniscalco in Piemonte, Filippo de la Gonesse, di offrire ai Brayda, al posto dei due castelli contestati, i luoghi di Garessio e di Cusio, ma il rifiuto opposto dai Brayda a una soluzione del genere indusse il re a disporre per la restituzione di parte della somma prestata. Per i debiti non ancora estinti rimasero nelle mani dei Brayda Comegliano, Sanfré e Trezzo. Al B. stesso il re concesse nel 1270 il castello di Ungiolo (oggi Belvedere Langhe).
Non sappiamo se il B. si sia associato all'esercito angioino che, nel tardo autunno del 1265, mosse dalla Provenza alla conquista del Regno di Sicilia. Certo è solo che la sua presenza nel Regno non è attestata prima del 1279.
A partire dal mese di giugno del 1270 il B. figura come vicario angioino a Torino, che poco prima si era data in signoria al re di Sicilia: rimase in carica fino al 1276, allorché la città cadde sotto la signoria del marchese Guglielmo VII di Monferrato, ma del suo periodo di vicariato non si hanno molte notizie. Il 22 giugno 1271 presenziò a Piacenza, con la qualifica di vicario, alla cerimonia di dedizione di Ivrea a Carlo d'Angiò, e nel 1272 provvide, in conformità con la politica distensiva inaugurata dal re di Sicilia nei confronti del conte Filippo di Savoia, alla liberazione dei prigionieri sabaudi detenuti a Torino.
L'anno 1276, nel corso del quale il B. perse il suo vicariato a Torino, fu quanto mai funesto per le fortune della famiglia Brayda. Gli anni prcedenti avevano visto il progressivo consolidarsi di una vasta lega antiangioina che raccoglieva sotto la guida del marchese Guglielmo VII di Monferrato gran parte delle città lombarde e piemontesi. Nel 1273 si erano associati alla lega anche Asti e Chieri. Dopo iniziali successi angioini, le truppe della lega sconfissero il 10 nov. 1275 presso Roccavione il siniscalco angioino Filippo de la Gonesse che fu costretto a fuggire in Provenza. In seguito a questi avvenimenti, che diedero l'avvio al decliúo della dominazione angioina in Piemonte, il Comune di Alba, fino ad allora una delle più sicure roccaforti angioine, intavolò con Asti trattative concluse il 19 sett. 1276 con un trattato di pace nel quale il Comune di Alba si dovette impegnare a bandire dalla città i Brayda e la fazione da loro guidata, detta dei "Graffagnini". Dopo la, defezione delle ultime città rimaste fedeli al re Carlo di Angiò (Cherasco nel marzo del 1277 e Cuneo nel settembre dello stesso anno) e del castello di Cornegliano che Goffredo de Brayda, nipote del B., fu costretto il 19 maggio 1278 a consegnare al Comune di Alba (il 27 genn. 1280 Carlo d'Angiò investì di nuovo il B. del castello perduto, ma senza poter dare pratica efficacia alla sua concessione), per il B. e i suoi parenti cominciarono lunghi anni di esilio.
Alla fine del 1278 il B. fu nominato vicario angioino di Brescia, città che già nel 1270 aveva conferito la signoria a Carlo d'Angiò. In tale veste partecipò alla guerra di Brescia contro Verona e Mantova, scoppiata per il contestato possesso di certi luoghi, finché nel 1279 non fu conclusa la pace.
Nel mese di settembre del 1279 morì il fratello del B., Giovanni, stabilitosi sin dal 1266 nel. Regno di Sicilia, il quale lo lasciò erede testamentario del feudo di Bruzzano Vetere in Calabria. Questa circostanza, ma probabilmente anche la speranza di convincere re Carlo d'Angiò a intraprendere una nuova offensiva in Piemonte, indusse il B. a trasferirsi presso la corte napoletana, portando con sé un considerevole seguito di stipendiari francesi e provenzali, oltre che di fuorusciti guelfi dell'alta Italia (fra i quali erano alcuni membri della sua famiglia). Al posto di Bruzzano Vetere però, feudo devoluto alla Camera reale in forza delle costituzioni del Regno che vietavano la successione ai collaterali, il B. fu investito il 27 genn. 1280 del castello di San Marco e dei casali di Plancellario, Casalordo e Chiusano, tutti in Capitanata.
Il 21 genn. 1281 re Carlo d'Angiò lo nominò giustiziere di Basilicata, ma appena decaduto dalla carica nel febbraio del 1282, il B. si fece investire delle funzioni di capitano angioino e ritornò in Piemonte per riorganizzare la lotta contro i nemici del re di Sicilia. Si sa che nella primavera del 1282 i fuorusciti guelfi di Alba, Cuneo e altre città piemontesi, occupata l'alta valle della Stura che garantiva il libero accesso ai possedimenti angioini in Provenza, tentarono, con l'appoggio di milizie provenzali e sotto il comando del B., un colpo di mano su Cuneo. L'impresa si concluse con un pieno fallimento: gli assalitori furono respinti e il B. stesso fu costretto a rifugiarsi in Provenza. Non molto tempo dopo egli ritornò in Piemonte e occupò il castello di Pollenzo, che però il 23 agosto del 1282 si arrese al Comune di Asti e fu raso completamente al suolo. I continui tentativi fatti in seguito dal B. alla testa dei suoi "Graffagnini" per rientrare in Alba costrinsero il Comune a sollecitare l'intervento del marchese Guglielmo VII di Monferrato. al quale fu offerta la signoria della città. I patti, conclusi il 26 genn. 1281 prevedevano, tra l'altro, la cessione al marchese dei castelli di Cornegliano e di Pollenzo, una volta in possesso della famiglia Brayda. Nonostante la situazione piemontese restasse nel complesso assai sfavorevole alla causa angioina, il B. persistette ostinatamente nei suoi tentativi di risollevarne le fortune: si trincerò così con i suoi seguaci e con pochi contingenti di truppe provenzali in Borgo San Dalmazzo, da dove molestò con numerose sortite i territori circostanti. Solo nell'aprile del 1285 il marchese Tommaso I di Saluzzo riuscì, dopo un lungo ed estenuante assedio, a costringerlo alla resa, lasciando gli però salva la vita.
La situazione creatasi dopo la morte di Carlo I d'Angiò (gennaio del 1285), situazione che vedeva la corte di Napoli impegnata nello sforzo di domare la rivolta del Vespro, dovette togliere al B. ogni speranza di continuare a contare sull'aiuto della corte napoletana per la sua lotta in Piemonte, ormai quasi completamente perduto per la causa angioina. Il B. decise quindi di ritornare insieme ai fratelli nel Regno di Sicilia, dove nel gennaio del 1286 compare in Abruzzo in qualità di capitano di guerra, impegnato nelle operazioni militari dirette a cacciare da quella provincia gli ultimi seguaci di Corrado d'Antiochia, che subito dopo la morte di Carlo d'Angiò aveva capeggiato una vasta rivolta ghibellina. L'8 maggio 1287 fu nominato anche giustiziere della provincia, precisamente dell'Abruzzo citeriore, ma venne sostituito in questa carica già il 24 novembre dello stesso anno. Nel 1288, nel pieno della guerra siciliana, gli fu affidata la difesa di Manfredonia e il 27 sett. 1289 fu nominato giustiziere di Capitanata e capitano di Lucera.
Nuove speranze di rientrare in patria si riaccesero per il B. allorché Asti, preoccupata per la minacciosa espansione del marchese di Monferrato, si riaccostò nel 1289 a Carlo II d'Angio, associandosi nel novembre dello stesso anno anche alla lega guelfa che nel 1288 era stata conclusa tra il conte Amedeo di Savoia, Milano, Brescia, Cremona, Piacenza e Genova. Il 2 febbr. 1290 il B. inviò in Piemonte il fratello Berardo con una procura che lo autorizzava a trattare un accordo con il Comune di Asti a nome suo, dei fratelli Percivalle, Daniele e Corrado e degli altri fuorusciti albesi del suo seguito. L'accordo fu concluso da Berardo il 30 giugno dello stesso anno. I capitoli del trattato accordavano ai Brayda la cittadinanza di Asti e la promessa di favorire la loro riammissione in Alba e la reintegrazione nei beni posseduti prima dell'espulsione dalla città. Come contropartita i Brayda si impegnarono a prestare la loro assistenza militare al Comune di Asti e a sottomettersi alla tassa del fodro.
La caduta del marchese Guglielmo VII di Monferrato il 29 sett. 1290 nelle mani degli Alessandrini e la sua morte in carcere il 6 febbr. 1292 dovette riaprire finalmente le porte di Alba ai Brayda. In effetti il 12 maggio 1292 fu conclusa tra Asti e Alba la pace: il trattato contemplava il ritorno dei Brayda in patria. È possibile che il B. si trovasse in quel momento in Piemonte (dagli atti della cancelleria angioina risulta che egli era assente dal Regno nel 1292); certo è che il 26 maggio 1292 prestò al Comune di Alba la somma di 1468 libbre, a garanzia della quale ottenne in pegno il castello e la villa di La Morra .
Il suo soggiorno in Piemonte non dovette protrarsi tuttavia per lungo tempo, dato che la sua presenza nel Regno èattestata di nuovo nel 1294, allorché fece redigere a Napoli un pubblico istrumento relativo al possesso del castello di Cornegliano, tenuto dal marchese di Saluzzo. In conseguenza dell'incerta situazione politica piemontese caratterizzata dalla ricostituzione della lega antiangioina, il B. ormai in tarda età dovette preferire di restare nel più sicuro Mezzogiorno. Si sa infatti che nel 1296, allorché si annunciava la ripresa della guerra siciliana, fu nominato capitano di Gaeta, che fortificò con zelo e perizia. Tra il 1302 e il 1303 ricoprì la carica di capitano di Napoli e di Pozzuoli.
Nel corso dello stesso anno 1302 il Comune di Alba si riavvicinò a Carlo II di Angiò, al quale fu offerta la signoria della città. Il patto di sottomissione, concluso il 28 sett. 1302 ad Aversa alla presenza del B., prevedeva anche, fra le altre sue clausole, l'impegno del re a non concludere alcuna pace con il marchese di Saluzzo e con il potente feudatario Enrico Del Carretto, se prima non avessero restituito al B. i castelli di Cornegliano e di Ungiolo. Ma solo nel 1305, quando il siniscalco angioino Rinaldo de Letto riuscì a sottomettere al re buona parte del Piemonte con una fortunata campagna, Ungiolo tornò in possesso del Brayda. Questi però non poté godere i frutti di tale successo: morì infatti prima dell'aprile dell'anno 1306.
Il 24 giugno 1299 il B. aveva ottenuto dal re il privilegio di poter dividere alla sua morte in parti uguali, secondo la legge longobarda vigente in Piemonte ma non nel Mezzogiorno, i suoi feudi nel Regno di Sicilia tra i figli Giovannino, Bernabò e Americo, avuti dal primo matrimonio con una nobildonna la cui identità non è nota. Premorto Giovannino al padre (di Americo non si hanno ulteriori notizie), i beni del B. passarono a Bernabò, che nel giugno del 1306 fu investito del feudo di Celle in Abruzzo, concesso al B. da Carlo II d'Angiò nel 1292. I beni da lui posseduti in Capitanata pare costituissero il dotario di Maria d'Aquino figlia di Rainaldo, che il B. aveva sposato in seconde nozze, a quanto sembra nel 1304.
Fonti e Bibl.: Guilelmi Venturae Memoriale de gestis civium Astensium, in Mon. Hist. Patriae,Script., III, a cura di C. Combetti, Augustae Taurinorum 1848, col. 716; Gioffredo della Chiesa, Cronaca di Saluzzo,ibid., a cura di C. Muletti, coll. 922 s.; Codex Astensis, a cura di Q. Sella, III, Romae 1880, n. 977 p. 1170, n. 980 pp. 1178-1180; Regesto dei marchesi di Saluzzo, a cura di A. Tallone, Pinerolo 1906, n. 724 pp. 189 s., n. CXVIII pp. 472-479; App. documentaria al "Rigestum communis Albe", a cura di F. Gabotto, Pinerolo 1912, n. CXXXVIII pp. 192-194, n. CL pp. 220-223, n. CLIX pp. 250-254; Actes et lettres de Charles Ier roi de Sicile concernant la France, a cura di A. de Boüard, Paris 1926, ad Indicem; I registri della cancelleriaangioina, a cura di R. Filangieri, III, Napoli 1951; VII-VIII, ibid. 1955-1957; X-XI, ibid. 1957-1958; XIX, ibid. 1964, ad Indices; L. Cadier, Essai sur l'administration du royaume de Sicile sous Charles Ier et Charles II d'Anjou, Paris 1891, p. 119; F. Gabotto, Storia di Cuneo, Cuneo 1898, pp. 51, 55, 57 s.; T. Rossi-F. Gabotto, Storia di Torino, Torino 1914, pp. 331 s.; A. Tallone, Tomaso I marchese di Saluzzo..., Pinerolo 1916, ad Indicem; A. Bozzola, Un capitano di guerra e signore subalpino: Guglielmo VII di Monferrato, in Miscell. di storia italiana, L (1922), 3, ad Indicem; P. de Brayda, Un grande capitano angioino in Piemonte e nel Regno di Napoli: P. de B. di Alba duce dei Graffagnini dal 1259al 1306, Napoli 1935; A. Sisto, Banchieri-feudatari subalpini nei secc. XII-XIV, Torino 1963, p. 99.