PIETRO da Eboli
PIETRO da Eboli. – Non si hanno molte notizie sulla vita di questo poeta, che, negli ultimi anni del XII o, al massimo, nei primi del XIII secolo, compose in latino alcuni poemi di tipo sia storico-encomiastico sia didascalico. Sulla base della datazione dei suoi componimenti, possiamo collocare la sua nascita verso gli anni Cinquanta o, al limite, Sessanta del XII secolo: ulteriori precisazioni sono assolutamente aleatorie.
Dal toponimico possiamo desumere con maggiore sicurezza il luogo in cui nacque o in cui concentrò i suoi principali interessi. Del resto, un magister Petrus versificator, probabilmente identificabile con il nostro Pietro, è il beneficiario di un diploma di concessione – riportato con sintetica nota di transunto in una conferma di Federico II del febbraio 1221 (Regesta imperii, V, n. 1280) – con cui l’imperatore Enrico VI di Svevia, forse per ricompensarlo dell’opera poetica che gli andava dedicando, gli assegnò iure hereditario un «molendinum de Albiscenda in Ebulo consistens»: cioè un mulino che si trovava proprio a Eboli, in una località chiamata Albiscenda. Non sarebbe, pertanto, da ritenere priva di orgogliose connotazioni campanilistiche, né di intrinseca specifica supplica finalizzata a ottenere un privilegio imperiale, la descrizione di quel luogo posta in bocca a uno dei personaggi del Carmen ad honorem Augusti, opera dedicata all’imperatore Enrico VI talvolta pubblicata anche con il titolo di De rebus Siculis carmen, di Carmen de motibus Siculis o di Liber ad honorem Augusti (Particula XV, vv. 404-405): «est prope dulce solum, nobis satis utile semper, / Ebolus, aspirans, quod petit urbis honor», cioè «vicino [a Salerno] si trova un dolce suolo, a noi sempre molto utile, / Eboli, che aspira a ottenere l’onore di città».
Ettore Rota, editore del Carmen, ha proposto di identificare il nostro personaggio con un magister Petrus Ansolinus (o Ansolini) de Ebulo, menzionato in un privilegio di Federico II del maggio 1219, a proposito della conferma di una concessione, da parte di quel Pietro in favore dell’abbazia di Montevergine, di una vigna e sette piccoli pezzi di terra (J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, Paris 1852-1861, I, p. 632). Ma tale identificazione si presenta molto dubbia, così come le attestazioni contenute in un mandato di Federico II dell’8 novembre 1239, in cui si parla di un quondam Petrus de Ebulo, civis Neapolitanus, e dei 5 figli naturali (Bartolomeo, Ligorio, Bonaventura, Sicunsora e Guerriera) che egli ebbe da una donna chiamata Marotta (J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica, cit., V, pp. 482 s.); e in un altro documento del gennaio 1245, in cui si condannano i figli di un quondam iudex Petrus de Ebulo a restituire alla mensa arcivescovile di Salerno un mulino sito nel territorio di Eboli, in un luogo chiamato Albiscenda, ovvero nello stesso in cui, come si è detto, anche il versificator possedeva un mulino (Regesta imperii, V, n. 3454). In effetti, tali attestazioni sono troppo generiche, e va ricordato che esisteva anche un giustiziere di Terra di Lavoro che portava lo stesso nome.
Altre, sia pure scarne, notizie derivano dalle sue stesse opere. Nel colophon del Carmen ad honorem Augusti l’autore si presenta come «magister Petrus de Ebulo, servus imperatoris fidelis». Oltre a dichiararsi come uno strenuo sostenitore dei rappresentanti della dinastia sveva, si definisce dunque magister: titolo che non significa necessariamente che avesse frequentato uno studium di tipo universitario, dal momento che, soprattutto in Italia meridionale, esso era attribuito a chi avesse competenze specialistiche in determinati ambiti, non solo scientifici, ma anche meccanici o artistici. In ogni caso, però, possedeva una certa competenza di tipo medico, come dimostrano alcune descrizioni contenute nelle sue opere e soprattutto nel De balneis Puteolanis, l’altro poema che ormai si attribuisce con una certa sicurezza al nostro Pietro: anche se non è assolutamente certo che l’avesse acquisita a Salerno, sede della prestigiosa scuola medica. Aveva, comunque, anche una buona consuetudine di lettura dei classici, dal momento che si vantava di avere librerie piene di opere antiche (Carmen ad honorem Augusti, v. 1449), e che la sua opera dedicata alle imprese di Enrico VI era preceduta dalla citazione di versi di Virgilio, Lucano e Ovidio.
Anche dalle raffigurazioni contenute nelle opere possiamo ricavare altre informazioni. In una miniatura posta a c. 139r dell’unico manoscritto – quasi certamente idiografo, se non addirittura autografo – che contiene il Carmen ad honorem augusti (Bern, Burgerbibliothek, 120 II), il poeta viene rappresentato, insieme con l’imperatore Enrico VI e con il cancelliere Corrado di Querfurt, nell’atto di consegnare la sua opera. I tre vengono raffigurati come coetanei: circostanza che potrebbe avvalorare la datazione – sopra proposta – della nascita di Pietro, pur se bisogna tenere presente che si tratta di una raffigurazione idealizzata, e che non è certa – come si vedrà – la consegna effettiva dell’opera. Dalla stessa miniatura, comunque, possiamo desumere anche che il poeta era un chierico, dal momento che viene raffigurato con la tonsura e in abiti che sembrano monacali: particolari, questi, che vengono ripetuti anche in un’altra miniatura (c. 140r), mentre in una terza (c. 103r) è abbigliato in maniera diversa, non come chierico.
Per quanto riguarda la sua attività poetica, nell’‘epigramma’ conclusivo, in distici, del De balneis Puteolanis, Pietro, che si definisce Eboleus vates, afferma di aver scritto in precedenza altri due poemi: «primus habet partos civili marte triumphos,/ mira Federici gesta secundus habet». Evidentemente, il primo è da identificare con il Carmen ad honorem Augusti, che parla appunto della guerra per la conquista del Regno tra Enrico VI e il conte Tancredi di Lecce; il secondo, invece, non ci è pervenuto, ma probabilmente – data la cronologia della vita dell’autore – era dedicato a cantare le imprese di Federico I Barbarossa, padre di Enrico VI, e non di Federico II. Nella prosecuzione dell’epigramma conclusivo, poi, Pietro afferma che le tre opere sono state composte «Cesaris ad laudem». E conclude chiedendo all’imperatore di ricordarsi di lui, «ut possit nati scribere facta tui». Chi fosse il bambino, probabilmente appena nato, di cui Pietro avrebbe voluto cantare le imprese, non è certo. Si tende, generalmente, a pensare che il De balneis fosse dedicato a Enrico VI, perché dall’epigramma sembra di potersi intuire che tutte e tre le opere fossero indirizzate a un unico imperatore; e che il bambino fosse Federico II, la cui nascita già era stata celebrata nel Carmen ad honorem Augusti; ma non è mancato chi, come già Henry Simonsfeld ed Erasmo Percopo, ha pensato che il De balneis fosse stato dedicato proprio a Federico II poco dopo il 1211, e che il bambino potesse essere il suo primogenito, Enrico.
La prima opera scritta da Pietro è, dunque, il Carmen ad honorem Augusti, composto di tre libri, in distici, suddivisi in cinquantadue particulae. Fu scoperta dal geografo, economista, agronomo e statista Samuel Engel, che la pubblicò a Basilea nel 1746: da allora ne sono state approntate altre edizioni, basate sull’unico, già citato, manoscritto che la tramanda. Il codice intercala ordinatamente versi e raffigurazioni, ponendo il testo sul verso e le miniature sul recto di ogni singolo foglio di pergamena: descrive, dunque, in chiave decisamente filosveva, gli eventi del 1191-94, ricorrendo a un peculiare doppio registro, narrativo e figurativo. Data l’impaginazione accurata, nonché l’uso di materiali e colori particolarmente pregiati e costosi, sembra più che legittimo pensare che il manoscritto conservato fosse l’esemplare di dedica destinato a essere donato all’imperatore Enrico VI. Non sappiamo, però, se l’autore fece in tempo a consegnarlo: la presenza di correzioni, che sembrerebbero essere state apportate dalla mano dello stesso autore, anzi, sembrerebbero far pensare che il manoscritto non fu mai trasmesso al dedicatario, e che su di esso Pietro continuò a lavorare. Il Carmen, in ogni caso, fu composto in un periodo compreso tra la fine del 1194, epoca in cui Enrico VI si impadronì dei territori dell’Italia meridionale sconfiggendo Tancredi conte di Lecce, e il 28 settembre 1197, data della morte dell’imperatore svevo. Tuttavia, se, come si è detto, il codice non fu mai consegnato, si potrebbe pensare che ciò fu causato proprio dalla morte di Enrico; e la circostanza porterebbe a spostare più avanti nel tempo la sua conclusione. Del resto, l’opera, pur costruita interamente in chiave celebrativa della dinastia sveva, non presenta, tuttavia, una struttura pienamente unitaria. È, infatti, evidente un netto cambio di registro tra i primi due libri, che descrivono cronachisticamente la guerra per la successione al trono siciliano, che seguì alla morte di Guglielmo II, e quello propriamente ad honorem Augusti, il terzo – conclusivo e forse aggiunto in una fase successiva – che tende a offrire una raffigurazione mistica e ieratica di Enrico VI, dimostrando l’influenza di una tradizione culturale e letteraria, che, precedentemente assente nel Regno, sembra essere simile a quella che ispirava anche Goffredo da Viterbo. Può darsi, dunque, che il terzo libro sia stato scritto in un secondo momento – e questo spiegherebbe perché nell’epigramma conclusivo del De balneis si parli dell’opera semplicemente come descrizione di una guerra civile –, e che l’aggiunta, nonché il mutamento di tono siano stati determinati da una specifica richiesta del cancelliere Corrado di Querfurt, che assume un ruolo centrale proprio nell’ultimo libro. La nuova atmosfera, comunque, è anticipata, alla fine del secondo libro, dalla descrizione della nascita di Federico II e dei suoi presagia, che, dando voce alle attese mistiche ed escatologiche che caratterizzarono la fine del XII secolo, dà inizio al processo di mitizzazione dell’ultimo imperatore svevo.
Probabilmente poco dopo il Carmen, o, forse, come si è detto, dopo la composizione dei suoi due primi libri, e comunque entro il 1197, se la problematica dedica è – come già detto – effettivamente indirizzata a Enrico VI, venne composto il De balneis Puteolanis, che Jean-Louis-Alphonse Huillard-Bréholles, nel 1852, per primo attribuì al nostro Pietro: nel tardo Medio Evo, infatti, risulta variamente attribuito ad Alcaldino (in De balneis: omnia quae exstant apud Graecos, Latinos et Arabas, Venetiis 1553, cc. 203-208) o a Eustachio di Matera (così nell’edizione per Arnaldum de Bruxella, Neapoli 1475). In quest’opera – come si è detto, la terza dopo il Carmen e il perduto poema sui mira Federici gesta – sono descritte le acque termali della zona flegrea, lungo il litorale che va da Napoli a Baia. Il poemetto è formato da trentacinque ‘epigrammi’, incorniciati da uno proemiale e da uno conclusivo, in cui sono celebrate, in sei distici per epigramma, le virtù terapeutiche di trentacinque fonti e le infermità che riescono a curare: la loro fonte è costituita, forse, da iscrizioni incise su lapidi antiche. L’opera, che, così come il Carmen, presenta una ordinata alternanza di testo e miniature, sembra attestare la formazione medica di Pietro, probabilmente connessa con la scuola salernitana, in cui la speculazione scientifica si coniugava con la pratica empirica. Il De balneis, in virtù del suo spiccato impianto didascalico, godette di una notevole fortuna nei secoli successivi (ne possediamo 21 manoscritti e 12 edizioni a stampa tra il 1475 e il 1607), anche grazie ai vari volgarizzamenti che ne vennero fatti: in particolare, uno è in napoletano, di cui si conoscono due redazioni, una databile al 1290-1310, l’altra risalente al 1340.
Non sappiamo con precisione quando Pietro venne a morte. Tuttavia, l’informazione – già ricordata – della concessione, da parte di Enrico VI, del molendinum de Albiscenda, riportata in transunto contenuto in una conferma di Federico II, può fornire qualche indizio, perché essa è accompagnata anche dall’importante notizia che Pietro mantenne quel possesso, ma che «in fine vite sue [...] sancte Salernitane ecclesie donavit pariter et legavit». Poiché la conferma di Federico II è databile al febbraio 1221 (Regesta imperii, V, n. 1280), possiamo stabilire un termine ante quem. Termine che, probabilmente, può essere spostato leggermente ancora più indietro. Infatti, poiché il 3 luglio 1220 Federico II, da Ulm, aveva già confermato alla Chiesa salernitana il possesso di un molendinum Albiscende (Regesta imperii, V, 1141), se ne potrebbe forse dedurre che Pietro era già morto prima di quella data.
Fonti e Bibl.: Per l’elenco completo delle edizioni delle opere si può consultare il Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IX, Roma 2002, p. 141; di seguito sono elencate solo le più rilevanti e quelle pubblicate successivamente: De rebus Siculis Carmen, a cura di E. Rota, in RIS2, XXXI, 1, Città di Castello 1904-1910; Liber ad honorem Augusti, a cura di G.-B. Siragusa, Fonti per la Storia d’Italia, XXXIX, 1-2, 2 voll., Roma 1905-1906; Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus der Burgerbibliothek Bern, a cura di T. Kölzer, G. Becht-Jördens et alii, Sigmaringen 1994 (ed. facsimilare con testo e trad. ted.); M. Hanly, An edition of Richat Eudes’s French translation of P. da E.’s De Balneis Puteolanis, in Traditio, LI (1996), pp. 225-255; Nomina et virtutes balneorum Putheoli, a cura di L.G. Ballester (ed. facsimilare del ms. Valencia, Bibl. Universitaria, 860), Valencia 1997; Nomina et virtutes balneorum seu De Balneis Puteolanis, a cura di S. Maddalo, Roma 2001 (ed. facsimilare del ms. 1474 della Bibl. Angelica di Roma); Les Bains de Pouzzoles, a cura di B. Grévin, Paris 2012 (ed. facsimilare, con traduz. franc., del ms. Cologny, Bodmer, 135); un’edizione del De balneis, non pubblicata, è stata preparata da J.M. d’Amato, Prolegomena to a critical edition of the illustrated medieval poem De balneis Terre Laboris by Peter of Eboli (Petrus de Ebulo), Ph.D. diss., John Hopkins University, 1975; è in preparazione un’edizione per l’Edizione nazionale dei testi mediolatini d’Italia, a cura di T. De Angelis.
G.C. Capaccio, Puteolana Historia, Neapoli 1604, pp. 69-84; J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Notice sur le véritable auteur du poëme De balneis Puteolanis, et sur une traduction française inédite du même poëme, in Mémoires de la Société des Antiquaires de France, XXI (1852), pp. 334-353; H. Simonsfeld, Venetianische Studien, I, München 1878, p. 71; Die Regesten des Kaiserreichs, a cura di J.F. Böhmer - J. Ficker - E. Winkelmann, Regesta Imperii, V, 1-3, Innsbruck 1881-1901, nn. 1141, 1280, 3454, con aggiornamenti, agli stessi nn., nei Nachträge und Ergänzungen, a cura di P. Zinsmaier, Regesta Imperii, V, 4, Köln-Wien 1983; P. Block, Zur Kritik des Petrus de Ebulo, Prenzlau 1883; I Bagni di Pozzuoli: poemetto napolitano del secolo XIV, a cura di E. Percopo, in Archivio storico per le province napoletane, XI (1886), pp. 597-750; R. Ries, Zu den Werken des Peter von Eboli, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, XXXII (1911), pp. 576-593; M. Pelaez, Un nuovo testo dei Bagni di Pozzuoli in volgare napoletano, in Studi romanzi, XIX (1928), pp. 47-134; A. Altamura, Testi napoletani dei secoli XIII e XIV, Napoli 1949, pp. 37-72; C.H. Kauffmann, The Baths of Pozzuoli. A study of the medieval illumination of Peter of Eboli’s poem, Oxford 1959; T. De Marinis, De Balneis Puteolanis, in Storia e letteratura, XCIV (1964), pp. 47-49; L. Petrucci, Per una nuova edizione dei Bagni di Pozzuoli, in Studi mediolatini e volgari, XXI (1973), pp. 215-260; F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli 1975, pp. 44-46, 119-124; C. Frova, Retorica, storia, racconto nel Liber ad honorem Augusti, in Studi su P. da E., Roma 1978, pp. 39-66; C. Frugoni, «Fortuna Tancredi». Temi e immagini di polemica antinormanna in P. da E., ibid., pp. 147-169; M. Gianni - R. Orioli, La cultura medica di P. da E., ibid., pp. 89-117; R. Manselli, Premessa ad una lettura di P. da E., in Studi su P. da E., ibid., pp. 5-16; M. Miglio, Momenti e modi di formazione del Liber ad honorem Augusti, ibid., pp. 119-147; L. Pandimiglio, La ideologia politica di P. da E., ibid., pp. 17-37; T. Samperi, La cultura letteraria di P. da E., ibid., pp. 67-87; F. Bruni, L’italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino 1987, pp. 361-369; R.J. Clark, Peter of Eboli De balneis Puteolanis: mss. from the Aragonese scriptorium in Naples, in Traditio, XLV (1989-1990), pp. 380-389; M. Stähli, Petrus de Ebulos «unvollendete» - Eine Handschrift mit Rätseln, in Petrus de Ebulo, Eine Bilderchronik, cit., pp. 247-274; R. Fuchs - R. Mrusek - D. Oltrogge, Die Entstehung der Handschrift. Materialen und Maltechnik, ibid., pp. 275-285; S. Maddalo, Il De Balneis Puteolanis di P. da E. Realtà e simbolo nella tradizione figurata, Città del Vaticano 2003; F. Delle Donne, P. da E., in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, II, Roma 2005, pp. 511-514; Id., Il potere e la sua legittimazione: letteratura encomiastica in onore di Federico II di Svevia, Arce 2005, pp. 29-57; Id., Peter of Eboli, in Encyclopedia of the medieval chronicle, a cura di R.G. Dunphy, Leiden 2010, pp. 1202 s.