CUPPARI, Pietro
Nacque il 6 maggio 1816 ad Itala, in provincia di Messina, da Giovanni ed Antonia Berlinghieri, in seno ad agiata famiglia di possidenti.
Laureatosi in medicina nel 1838 all'università di Messina, iniziò subito dopo un lungo viaggio d'istruzione per gli istituti agrari europei: intendeva partecipare al concorso per la cattedra di agraria, di prossima istituzione in Messina, che il governo di Napoli prometteva di assegnare, al, migliore tra i giovani che si fossero recati a studiare la disciplina per quattro anni fuori del Regno, a proprie spese.
Prima tappa fu il celebre istituto di Meleto, la scuola teorico-pratica di agricoltura fondata privatamente da C. Ridolfi nel 1834 nella propria fattoria in Val d'Elsa-A Meleto si fermò qualche tempo, seguendo i corsi che ivi si tenevano e prendendo anche parte all'insegnamento "col dare un saggio di anatomia comparata" (Taruffi, p. 51). Da allora seppe conquistarsi la stima del Ridolfi, che lo volle con sé, insieme con il figlio Luigi e una rappresentanza della scuola di Meleto, al II Congresso degli scienziati italiani, tenutosi a Torino nel 1840. Nei tre anni seguenti si trattenne pressoché ininterrottamente fuori della penisola, soggiornando in Inghilterra, Belgio, Francia e in vari Stati tedeschi. In Inghilterra conobbe il Liebig, che vi si trovava in viaggio; seguì il corso di botanica di L. C. Treviranus all'università di Bonn, e quello di chimica di J. B. Dumas a Parigi. Strinse legami anche fuori degli ambienti accademici, per avere l'opportunità di studiare dal vivo le pratiche agrarie in uso nei diversi paesi e visitò la celebre scuola agraria di Grignon in Francia. Intratteneva nel frattempo una fitta corrispondenza col Ridolfi, tenendolo al corrente dei proprì studi e offrendosi come tramite per ampliare le relazioni dei Ridolfi stesso con altri illustri agronomi europei. Tre di tali lettere, privatamente scritte al marchese, vennero pubblicate sul Giornale agrario toscano nel 1843 (XVII, pp. 22-39, 183-192) e 1844 (XVIII., pp. 142-49).
Tornato in Italia, si fermò di nuovo a Meleto, presentando una comunicazione nella "riunione agraria" ivi tenuta nel settembre 1843. Ritornò quindi a Messina, ove pochi mesi dopo, nel febbraio 1844, gli giunse dal Ridolfi l'invito a tornare in Toscana per succedergli nella cattedra di agraria di recente istituita nell'ateneo pisano.
L'istituzione della cattedra di agraria e pastorizia, conferita a C. Ridolfi, era parte della profonda riforma dell'università di Pisa condotta nel 1839 da G. B. Giorgini, sovrintendente agli studi del granducato. Alla cattedra era annesso un Istituto agrario, dotato di 34 ettari di terreno e di una fabbrica di strumenti rurali. Mentre iniziava il corso accademico e l'Istituto agrario prendeva a fimzionare, si chiudeva con la citata "riunione agraria", la scuola di Meleto, sul cui modello il Ridolli era riuscito a far plasmare la recente istituzione granducale. Invitato all'alto ufficio di educatore. del principe ereditario, dopo due anni di insegnamento il, Ridolfi lasciava la cattedra, caldeggiando la nomina del C. a proprio successore. A tal fine ottenne l'appoggio granducale per consentire all'agronomo siciliano di sciogliersi dagli impegni presi col suo governo.
Il C. tenne la prolusione al suo primo corso accademico il 16 nov. 1845, affrontando il tema delle "Relazioni dell'Istituto agrario pisano coll'agricoltura toscana ed italiana": sull'esempio dei congressi degli scienziati "che stringono in fratellevole amicizia e corrispondenza i sapienti d'Italia", il C. auspicava che l'Istituto pisano sapesse raccogliere intorno a sé i cultori d'agricoltura "generando senza perire un Istituto Agrario italiano".
Diveniva intanto collaboratore del Giornale agrario toscano e socio dell'Accademia dei Georgofili. Nell'ottobre del 1847 si univa in matrimonio con Maddalena Ruschi, proveniente da una delle famiglie pisane più in vista (i fratelli Francesco e Rinaldo furono esponenti di primo piano del gruppo liberale moderato cittadino). L'amicizia col Ridolfi, l'inserimento nell'ambiente dell'Accademia dei Georgofili e del Giornale agrario toscano, il legame di parentela con i Ruschi, definiscono l'ambito politico in cui il C. si inserì, quello cioè dei liberali moderati. A Pisa suoi amici furono i fratelli Savi, M. Ferrucci, S. Centofanti, personalità di rilievo sul piano sia culturale sia politico. Ampi i contatti del C. anche con gli ambienti liberali della natia Sicilia, come si evince anche da alcune lettere al Vieusseux e al Ridolfi degli anni 1847-49: il 6 maggio 1848, ad esempio, raccomanda ai due amici fiorentini il signor Carlo Gemelli, inviato in Toscana dal governo rivoluzionario di Palermo, "mio antico ed intimo amico".
Tuttavia il C. non svolse mai attività politica vera e propria. Solo gli eventi straordinari del 1848 suscitarono in lui una profonda partecipazione ideale, come non avvenne in seguito neanche in occasione del compimento del processo unitario: l'11 marzo 1848 scriveva al Vieusseux di aver sospeso la propria attività scientifica "perchè vedevo che impasticciava e qualche volta correva il rischio di scrivere costituzione ... in luogo di trifoglio". Ma il fallimento della guerra regia, il sollevamento democratico e popolare di Livorno - di fronte al quale si chiedeva "come quegli abitanti non preveggano le fatali conseguenze che saranno per derivare al proprio commercio" - e soprattutto l'infelice esito dei casi di Sicilia, nei quali si sentiva appieno coinvolto idealmente e affettivamente, lo spinsero presto a cercare nella ripresa degli studi "un buon rimedio per alleviare l'amarezza delle nostre miserie" (lettera al Vieusseux, 8 sett. 1848).
I primi anni trascorsi in Toscana segnarono un periodo di "apprendistato" in un ambiente agrario e sociale a lui poco noto. Quale direttore dell'Istituto agrario sperimentò direttamente il mestiere di agricoltore sotto la puntigliosa guida del Ridolfi.
Il marchese aveva infatti mantenuto l'alta sovrintendenza sull'Istituto, e la grande attenzione con cui continuò a seguirne le sorti, Rur nel periodo di più intensa attività politica, testimonia l'importanza che egli attribuiva all'istituzione. Fino al 1849, anno in cui Ridolfi rinunziò alla sovrintendenza, in una fitta corrispondenza il C. gli dà conto di tutte le faccende dell'Istituto, dall'andamento della fabbrica di strumenti agrari alle condizioni delle colture, allo stato delle stalle, dei magazzini, del personale. Nel febbraio del 1848 riferiva con soddisfazione: "I nostri vicini terrieri mi chiedono coltro, ruspa, bovi e bifolco per imitare i nostri lavori... Il coltro ed il trifoglio vanno avanti: ecco una bella conquista operata da Meleto e dall'Istituto pisano".
Nel frattempo si manteneva al corrente delle ricerche condotte all'estero grazie al Vieusseux, che gli procurava libri e riviste di scienza e tecnica agraria, e approfondiva la conoscenza dell'agricoltura toscana con accurati sopralluoghi zona per zona. Testimonianza di tale attività è il Bullettino agrario, periodico interamente redatto dal C. dal marzo 1848 a tutto il 1853, a colmare almeno in parte il vuoto lasciato dalla sospensione del Giornale agrario toscano. Accanto a rubriche fisse sull'andamento dei prezzi e delle stagioni o sui "proverbi agrari", compaiono nel Bullettino brevi resoconti su esperimenti e studi in campo agrario condotti all'estero, relazioni di "escursioni agrarie" in varie zone della Toscana, gli annuali rendiconti dell'Istituto agrario pisano e, tra il 1852 e il 1853. l'importante studio Dei prati artificiali in Toscana.
La politica reazionaria di Leopoldo II dopo la restaurazione del 1849 lo colpì personalmente. Col decreto granducale del 28 ott. 1851 l'università di Pisa venne privata delle facoltà di teologia e giurisprudenza e vennero abolite numerose cattedre, tra cui anche quella di agraria e pastorizia.
Il provvedimento, alla cui origine era in primo luogo una volontà punitiva per il ruolo svolto dall'università nelle vicende quarantottesche, segnò la recisa rottura da parte di Leopoldo dell'accordo da cui era scaturita la riforma Giorgini del 1839. La soppressione della cattedra di agraria, in particolare, non poté che approfondire la frattura tra il governo granducale e il nucleo più potente e organizzato del movimento liberale moderato, quello cioè dei "campagnoli" raccolti intorno all'Accademia dei Georgofili.
Il C., comunque, riuscì a mantenere l'appannaggio e il titolo relativo alla cattedra soppressa, e soprattutto ad evitare la dispersione dell'Istituto agrario, ottenendone in affitto i beni relativi. Era almeno salva la speranza di riuscire a fondare una nuova "scuola. pratica di agricoltura": già nel 1852, in una lettera al Vieusseux (9 ott.), il C. manifestava il desiderio di veder sorgere il proprio "futuro Istituto agrario" sulle terre ottenute in affitto, unite ad un podere recentemente acquistato. Riuscì anche ad ottenere l'autorizzazione granducale per un corso privato di "economia rurale", svoltosi negli anni 1854-55, cui diede occasione "una domanda pervenutami da ventiquattro possidenti" (lettera al Vieusseux, 24 dic. 1853). Il corso venne immediatamente pubblicato a cura degli "uditori": una sottoscrizione a tal uopo promossa da A. Agostini, F. Carega e N. Mecherini raccolse in breve più di settecento adesioni. Il ricavato della vendita delle Lezioni venne dal C. devoluto all'Accademia dei Georgofili per la istituzione di un premio triennale. Nel maggio del 1858 anche l'affitto dell'Istituto agrario gli veniva revocato. Ma poco più di un anno dopo, col decreto 31 luglio 1859, il Ridolfi, ministro della Pubblica Istruzione del governo provvisorio toscano, ristabiliva la cattedra e l'Istituto, reinsediandovi il Cuppari.
Gli anni che seguirono furono tra i più densi di attività e i più fecondi per la sua produzione scientifica. Fino al 1870 tenne la presidenza del Comizio agrario pisano, dopo essere stato uno dei promotori nel 1857 della Associazione agraria del comparfimento pisano. Fu nel 1861 tra i commissari per la sezione agraria della I Esposizione italiana tenutasi a Firenze: su di essa scrisse sul Giornale agrario toscano un commento molto critico, sostenendo la nessuna utifità delle esposizioni finché non si fossero formati "i nostri farmers di professione alla maniera inglese" (VIII [1861], pp. 298-303). Nel 1864 fece parte di una commissione nominata dal ministero di Agricoltura, Industria e Commercio per esaminare un progetto di prosciugamento del lago Trasimeno: in disaccordo con gli altri membri redasse un proprio rapporto decisamente sfavorevole al progetto stesso. Nel 1866, insieme a P. Savi compì, per incarico della Deputazione provinciale, uno studio sul rimboschimento del monte Pisano (Intorno al rimboscamento del Monte Pisano. Rapporto, Pisa 1866). Presiedette infine, nel 1868, la commissione per la sezione agraria della Esposizione agraria ed industriale della città di Pisa.
Durante gli anni '60 furono pubblicate le sue opere di maggior respiro: il Saggio di ordinamento dell'azienda rurale, seguito dal Calendario del coltivatore toscano (Firenze 1862); in 2tomi le Lezioni di agricoltura (ibid. 1869), edizione ampliata delle Lezioni di economia rurale date privat. in Pisa l'anno 1854 (Pisa 1854) e delle Lezioni di economia rurale date privat. in Pisa l'anno 1855 (Firenze 1862); infine il Manuale dell'agricoltore, ovvero guida per conoscere, ordinare e dirigere le aziende rurali (ibid. 1870). Accanto alle opere maggiori, importanza non secondaria ai fini della valutazione dell'attività scientifica del C. hanno poi le numerose memorie presentate alle adunanze dell'Accademia dei Georgofili e, soprattutto, gli articoli pubblicati sul Giornale agrario toscano.
Della nuova serie dei periodico (1854-1865) il C. fu uno dei principali collaboratori. Suo fu il proemio programmatico che apriva il primo fascicolo. Su una linea di sostanziale continuità con l'indirizzo originario del Giornale dichiarava che "ci proponiamo di giovare soprattutto ai proprietari ed agli agenti ossia fattori ... nostro principalissimo scopo sarà sempre quello di mettere in luce ed in rilievo le cose di casa nostra ... Fatti diligentemente osservati e fedelmente esposti, ecco la merce di cui il nostro giornale farà più caso". La chiara delimitazione dell'interlocutore e dell'argomento ben rispondeva, d'altra parte, al concetto di "scienza agraria" che il C. andava elaborando con una organicità congrua al ruolo di "esperto", di tecnico, che egli assunse all'interno del gruppo dei "campagnoli" toscani. Al centro dei suoi interessi era il problema della direzione dell'azienda rurale, intesa come capacità "di abbracciarne l'insieme, di conoscerne le proporzioni, di prevedere gli effetti dei mutamenti ...": cioè la materia della odierna disciplina dell'economia agraria. Il C. stesso era consapevole della originalità del proprio contributo scientifico, dal quale derivò anche impostazioni molto moderne dei problemi della statistica, della contabilità e dell'estimo agrario (cfr. La scienza dell'economia rurale ed il reparto dell'imposta fondiaria, in Continuaizione d. Atti d. R. Acc. Georg., n. s., XIII [1866], pp. 238-48).
L'"economia rusticana" sussume e coordina tutte le branche della scienza agraria: in tal senso il C. polemizza con coloro che vorrebbero quest'ultima "una cosa del tutto dipendente dalla fisiologia botanica o dalla chimica", sostenendo invece che essa "vuolsi tirare al pari di qualsiasi scienza applicabile ad un'arte, dai fatti propri all'arte stessa alla quale si riferisce". La distinzione poi tra "scienza" ed "arte" è ben netta: mentre quest'ultima è strettamente legata alla tradizione e all'esperienza diretta, la scienza, sulla base della analisi dei fatti, "guida a trovare quelle proporzioni le quali ... abilitano in altri casi particolari a dedurre dal visto il non veduto" (ibid., p. 239).
Il C. ricollegava il proprio metodo con la scuola galileiana, in quanto fondata sui principi della "osservazione ed esperienza" (Intorno al più acconcio indirizzo da dare allo studio dell'economia rurale toscana, in Atti d. R. Acc. Georg., n. s., VII [1860], pp. 120-32, - "la più importante scrittura che io mi abbia composto", scriveva al Vieusseux l'8 ag. 1860). Una base metodologica gli fornivano anche gli studi giovanili di medicina: torna insistente nei suoi scritti il paragone tra le due scienze ("il vero fondamento della scienza agraria sta nei fatti propriamente agrari ... come il vero fondamento della medicina sta nei fatti clinici"); di qui ancora il considerare l'azien.da come un corpo organico, di cui vanno analizzati la costituzione, il funzionamento e il reciproco rapporto tra le membra.
Tali posizioni teoriche acquistano in concretezza se inquadrate nell'ampio dibattito sulla mezzadria che si riaccese in Toscana durante gli anni '50. Il C., pur consapevole degli ostacoli frapposti dalla mezzadria al progresso agricolo, rimase un o strenuo sostenitore, sia per i consueti motividi ordine sociale ("scioglie ... lo spinoso problema di compartir la proprietà ..."), sia per motivi prettamente economici, cioè perché essa consente il più largo impiego della manodopera disponibile ed inoltre "se rende lento il progresso, lo fa in contraccambio più stabile con affidarlo ad un grande numero di persone" (Intorno ai modi più acconci di usare i premi accademici in prò della economia rurale toscana, in Atti d. R. Acc. Georg., n. s., IV [1857], pp. 475-96). Lo stato evidente di crisi del sistema mezzadrile imponeva comunque una sua riforma, indirizzata all'aumento della produzione non più col ricorso ad una maggiore quantità di lavoro, come in altri tempi si era fatto, ma "con un migliore avvicendamento e colla introduzione degli strumenti perfezionati". Il C. comprendeva che nessuna "riforma tecnica" era possibile se contemporaneamente non mutava la sostanza stessa socio-economica del patto. In questo senso le due figure chiave erano quelle del fattore e del mezzadro: il primo, da semplice magazziniere per conto del padrone, doveva divenire l'effettivo direttore dell'azienda; il secondo andava "considerato siccome oprante, la cui inercede si corrispondesse nella metà del prodotto" non solo sottoponendolo ad una rigida sorveglianza personale (limitare le veglie, la frequenza ai mercati, ecc.), ma soprattutto privandolo della direzione agraria del podere, che era stata esercitata fino ad allora (cfr. Considerazioni sulla mezzeria toscana, in Giornale agrario toscano, V [1858], pp. 26-62).
Al centro del dibattito di quegli anni era la "temporanea sospensione" della mezzadria, proposta, e praticamente sperimentata, dal Ridolfi. Il C. fu tra gli oppositori dei marchese, in un contrasto che non verteva sugli scopi da raggiungere ma sui mezzi, e che non fu comunque di lieve entità. Dal Ridolfi lo divideva una diffidenza per le innovazioni radicali, fondata proprio sul concetto della azienda come struttura "organica". Di qui non solo la gradualità del mutamento, ma anche l'opportunità di non "andare a cercare oltremonti i nostri esemplari", adottando invece prudentemente le migliori pratiche già in uso nell'agricoltura locale. La formazione del personale tecnico e direttivo, capace di dosare sapientemente innovazioni e continuità, diveniva il punto focale della sua proposta. Era il problema, annoso in Toscana, della formazione del fattore, per la quale il C. caldeggiava l'isfituzione di "scuole pratiche" che offrissero, accanto a poche, elementari cognizioni di fisica, chimica, botanica, soprattutto la possibilità di un effettivo addestramento nella direzione di un'azienda agraria. Sull'argomento il C. tornò più volte, ma il progetto più articolato al riguardo è nelle Lettere al march. E. Bertone di Sambuy (Giornale agrario toscano, VII [1860], pp. 364-75; VIII [1861], pp. 36-45, 107-114), la cui pubblicazione fu sollecitata dal Ridolfi, allora presidente della commissione ministeriale per l'ordinamento dell'istruzione agraria dei regno.
Il C. mori a Pisa il 7 febbr. 1870.
Fonti e Bibl.: Per ricostruire l'attività e valutare la presenza storica del C., oltre alle opere maggiori già citate, sono da vedere le "memorie" presentate all'Accademia dei Georgofili (cfr. R.. l'Accademia dei Georgofili, Catalogo delle memorie... a tutto il 1933, Firenze 1934, pp. 32 s.), gli articoli sul Giornale agrario toscano dall'anno 1843, vol. XVII, in poi, e sul Bullettino agrario dal 1848 al 1853, per complessivi ventitré fascicoli. Sono da vedere, inoltre, gli articoli su La Nuova Antologia (X, XI, XII [1869]) e sul Giorn. d'agric. del Regno d'Italia (III [1866]): Un numero consistente di lettere del C. è conservato presso la Bibl. nazionale di Firenze, Archivio G. P. Vieusseux sia nel Carteggio Vieusseux (29, 85-185; 30, 1-172) sia nei Carteggi vari. Presso l'Archivio, privato Ridolfi di Meleto (Granarolo, Firenze) si sono rinvenute soprattutto lettere relative al periodo 1844-48, concernenti la nomina del C. a successore del Ridolfi e la direzione dell'Istituto agrario (b. 20, f. B; b. L., 1846-49). Poche lettere a S. Centofanti sono conservate presso l'Arch. di Stato di Pisa, Legato Centofanti, b. 6; alcune altre lettere dei C. sono nel Carteggio Lambruschini della Biblioteca nazionale di Firenze (cass. 5, nn. 164-68) e nell'Archivio della Accademia dei Georgofili (bb. 29-35, 47, 85). Sono purtroppo attualmente chiusi alla consultazione gli archivi privati delle famiglie Ruschi e Castaldi Cuppari a Pisa, dei quali ci silimita a segnalare l'esistenza.
Si veda poi: R. Lambruschini, P. C., in La Nuova Antologia, marzo 1870, pp. 636-39; Alla memoria di P. C., Pisa 1870; G. Ricca Rosellini, Alla memoria di P. C. Alcuni cenni biografici, Forlì 1870; B. Moreschi, P. C., in Giornale d'agricoltura, industria e commercio del Regno d'Italia, XIX (1882), 20, pp. 15-18; C. Taruffi, Del marchese C. Ridolfi e del suo Istituto agrario di Meleto, Firenze 1887, pp. 47-51; L. Ridolfi, C. Ridolfi e gli istituti del suo tempo, Firenze 1901, pp. 115 s., 135, 208 ss., 227, 291 s.; F. Martini, Epist. edito ed inedito di G. Giusti, Firenze 1904, II, p. 346; G. Molom, Bibl. orticola, Milano 1927, pp. 44 s.; L. Bottini, Catal. del "Giornale agrario toscano" Firenze 1936, p. 10; Carteggi di B. Ricasoli, a cura di M. Nobili-S. Camerani, VI, Roma 1953, pp. 2 s.; R. Nieri, Amministrazione e politica a Pisa nell'età della Destra storica, Milano 1971, pp. 5 ss.; C. Pazzagli, L'agricoltura toscana nella prima metà dell'Ottocento. Tecniche di Produzione e rapporti mezzadrili, Firenze 1973, passim.