CRESCI, Pietro
Nacque probabilmente verso la metà del sec. XVI ad Ancona. Data l'estrema scarsità di notizie, non è possibile ricostruirne la biografia. Si dedicò con passione agli studi letterari, e fu iscritto all'Accademia dei Fantastici istituita dal suo concittadino Carlo Rinaldini.
Nel 1584 pubblicò a Venezia la favola pastorale Tirena, che riprende fedelmente situazioni e personaggi dell'Aminta tassiana.
Il C. tuttavia complica l'intreccio della sua opera, rappresentando la duplice passione contrastata e infelice di due pastori per due ninfe incontrate, durante una battuta di caccia, nei pressi del monte Conero. Secondo gli schemi tradizionali, i pastori salvano le fanciulle dall'assalto di un cinghiale; in seguito, non corrisposti nel loro amore, tentano il suicidio, ma le ninfe, impietosite per la tragica decisione, si riconciliano con i due giovani nel lieto finale. Ad eccezione della maggiore complessità che deriva alla favola dalla presenza delle due coppie, il C. segue persino negli episodi marginali i consueti modelli della favola pastorale: nella metamorfosi di una ninfa (Dafne) in fonte, nelle comiche avventure dei servi ingordi e rissosi, ed infine nel decisivo intervento di Diana.
Il Discorso sopra le qualità di amore del Petrarca edito dal C. nel volume Il Petrarca con nuove sposizioni... (Venezia 1586) documenta come ancora fosse dominante il petrarchismo inaugurato dal Bembo nella prima metà del secolo. Il C. sperimentò anche il genere tragico con la Tullia feroce (Venezia 1591), il cui argomento (già trattato nella tragedia omonima di Ludovico Martelli) è la storia della efferata uccisione di Servio Tullio compiuta da Lucio Tarquinio con la complicità di Tullia, figlia del re.
Alla tragedia è premesso un prologo recitato dall'Ambitione la quale, dopo aver ragionato di sé e del suo potere in un tortuoso monologo a carattere allegorico-morale, annuncia la luttuosa vicenda che sarà rappresentata negli atti successivi. Ad introdurre gli spettatori nell'atmosfera cupa e tenebrosa del dramma compaiono, al principio del primo atto, le ombre di Arunte e Tullia minore venute dagli Inferi a rivedere il luogo della loro ingiusta morte, che sarà vendicata dalla furia Aletto. In seguito, preceduto dai personaggi del messo e del consigliere (i quali a turno si abbandonano a lunghi soliloqui costellati di considerazioni morali), sopraggiunge, nell'atto secondo, Servio Tullio, in preda a tristi presentimenti per un sogno funesto che gli ha turbato il sonno; il buon consigliere lo esorta a non prestarvi fede, ma il re non si rassicura, e insieme decidono di consultare un mago giunto allora dal lontano Oriente.
Dopo la rapida apparizione della nutrice di Tullia, convinta ormai che la sua padrona trami, con l'aiuto di Lucio Tarquinio, un complotto contro il padre, avanza sulla scena la crudele Tullia a confermare i terribili sospetti che si addensano sulla sua persona: ella infatti dichiara di essere disposta a compiere qualsiasi azione per ottenere l'ambito trono. Nella seconda scena dell'atto terzo, persuade quindi Tarquinio a non attendere che Servio perisca di morte naturale, ma a conquistare subito il potere con l'uccisione del re; il personaggio di Tullia è tratteggiato tuttavia senza sfumature: nessuna esitazione o contrasto interiore dettati dalla voce del sangue complicano la sua disumana decisione di eliminare il padre, considerato solo il principale ostacolo che le impedisce di regnare.
Nell'atto quarto Servio Tullio palesa alla figlia i suoi timori, aggravati anche dall'esito infausto di un sacrificio appena compiuto, ma Tullia lo blandisce con false espressioni di affetto, mentre l'azione precipita verso il sanguinoso epilogo: il re si avvia al Campidoglio dove verrà raggiunto da Tarquinio e i suoi complici, Lutio e Pompilio. L'esecrabile omicidio è descritto nel dialogo finale (atto quinto) che il coro intreccia con il nunzio, il servo e la nutrice, soffermandosi sul mostruoso eccesso compiuto da Tullia, la quale ha stritolato il misero corpo del padre, passandogli sopra con il carro.
La forzata ricerca del macabro, che distingue la Tullia nella minuta descrizione dei particolari più raccapriccianti del delitto, rivela come il C. si fosse ispirato al modello senechiano, divulgato nel teatro cinquecentesco dalle opere drammatiche di G. B. Giraldi Cintio.
Il C. compose pure una raccolta di Sonetti quadragesimali (Venezia 1588) dedicati a monsignor Carlo Conti, vescovo di Ancona, ed un volume di Rime (parte I, ibid. 1593).
Non si conoscono la data e il luogo della morte.
Fonti e Bibl.: F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca picena, III, Osimo 1793, pp. 323-325; A. Salza, Un dramma pastorale ined. dei Cinauecento, in Giorn. stor. della lett. ital., XXVII (1909), 54, p. 116; E. Bertana, La tragedia, Milano s.a., pp. 78-80; E. Carrara, La tragedia pastorale, Milano s. a., p. 351.