CORSINI, Pietro
Nacque con tutta probabilità a Firenze nei primi decenni del XIV secolo, da Tommaso di Duccio. Dopo aver compiuto solidi studi giuridici, tradizionali nella sua famiglia e conclusi con una laurea in diritto canonico, si trasferì ad Avignone presso la corte pontificia per farvi carriera, come faceva la maggior parte dei chierici colti della sua epoca. La sua vita intera risente di questa esperienza avignonese e di una certa fedeltà ai papi francesi. Chiamato a svolgere la funzione di auditore del Sacro Palazzo nel tribunale della Rota, ricevette in beneficio la pieve di S. Maria di Montemignaio, nella diocesi di Fiesole, della quale il cugino Andrea era allora vescovo. La solidarietà familiare e le origini fiorentine del C. ebbero un peso grandissimo durante tutta la sua vita nella carriera ecclesiastica.
Il 18 marzo 1362, ancora provvisto dei soli ordini minori, il C. divenne vescovo di Volterra, sicuramente in ricompensa dei servizi resi alla Curia, ma probabilmente anche per le pressioni della famiglia (pur se il padre si era allora ritirato dalla vita politica). Meno di due anni dopo, nel settembre 1363, fu designato vescovo di Firenze (conserverà il titolo di monsignor di Firenze). La sua attività fu allora piuttosto di ordine diplomatico che propriamente pastorale.
In conformità con le tradizioni della sua famiglia, fu incaricato di svolgere funzioni di mediatore tra il re d'Ungheria e l'imperatore Carlo IV (che lo gratificò di una pensione annua di 1.000 fiorini sulle entrate di Firenze). Nel 1364 gli fu affidata una missione presso Edoardo, principe di Galles. L'anno successivo, con il generale dei frati minori, Marco da Viterbo e il vescovo di Città di Castello si adoperò per impedire ai predoni di John Hawkwood di sconfinare nelle terre della Chiesa.
La sua posizione a Firenze, le origini familiari, gli stretti legami con gli ambienti guelfi della Toscana fecero di lui uno dei personaggi chiave della politica italiana di Urbano V, del quale preparò il ritorno a Roma. I successi diplomatici e il costante appoggio dei suoi parenti gli valsero la nomina al cardinalato che ebbe luogo a Montefiascone il 7 giugno 1370 con il titolo di S. Lorenzo in Damaso.
La nomina era stata richiesta per lui già nel 1366 dal fratello Filippo, in quel momento ambasciatore ad Avignone e il passo fu rinnovato un po' più tardi, a quanto pare, da un altro suo parente, Piero degli Albizzi, capo del gruppo dei guelfi fiorentini.
Sei mesi dopo la nomina partecipò al suo primo conclave. Da allora la biografia del C. si confonde con la storia del Papato.
Dei suoi talenti di diplomatico si servì spesso Gregorio XI, in particolare quando si trattava dei rapporti con la Repubblica di Firenze che nel 1375 entrò in violento conflitto con il papa (guerra degli Otto santi). Partecipò allora alla soluzione della controversia e preparò il ritorno definitivo del pontefice in Italia. Gregorio XI se ne avvalse anche come canonista per questioni di disciplina ecclesiastica (il cardinale assistette così nel 1374 al capitolo generale degli ospedalieri che si teneva ad Avignone). Diversi provvedimenti attestano d'altronde la sollecitudine del pontefice nei suoi confronti: nel 1373 ricevette ad esempio un canonicato nella chiesa di Salisbury in Inghilterra e l'anno successivo divenne cardinale vescovo di Porto.
Ma fu dopo la morte di Gregorio XI e durante il grande scisma che salì alla ribalta per svolgere un ruolo essenziale nella vita politica e religiosa del suo tempo.
Il suo atteggiamento durante il conclave dell'aprile 1378 che si tenne a Roma fu, come quello degli altri cardinali, ambiguo, prudente e persino per certi aspetti timoroso. In un primo momento votò come gli altri per Bartolomeo Prignano (Urbano VI) e fu proprio lui che pochi giorni dopo l'elezione celebrò in presenza del papa la messa delle Palme. Con i suoi due colleghi italiani Orsini e Brossano esitò a lungo prima di schierarsi con i dissidenti. Pur avendo conosciuto le giornate più tempestose del conclave e subito la collera del vescovo papa, egli abbandonò Roma solo parecchi giorni dopo la partenza dei cardinali faziosi per Anagni. Alcuni negoziati nel corso dei quali fu ventilata per la prima volta, sebbene senza successo, la possibilità di un concilio generale, riavvicinarono tuttaviatutti gli oppositori. Gli italiani raggiunsero allora a Fondi i francesi il 15 settembre e cinque giorni dopo fu eletto l'altro papa, Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Il C. tuttavia esitava ancora e come i cardinali Orsini e Brossano si astenne dal voto.
Ritiratosi a Tagliacozzo fino all'agosto del 1379, si rifugiò in seguito a Napoli presso la regina Giovanna. Con una lettera personale il re di Francia Carlo V suggerì allora al C. di abbandonare l'Italia. Dal canto suo Clemente VII, che raggiunse Avignone, cercò di guadagnarsi i cardinali italiani e non esitò a far giungere 1.000fiorini al C. per ottenere la sua adesione. Questi finì così per raggiungere, sempre insieme al Brossano, Nizza dove si aprirono nuovi lunghi negoziati con il partito di Clemente. Alla fine, il 30 sett. 1381, il C. fece il suo ingresso in Avignone. Clemente VII gli assegnò subito rendite cospicue sui benefici di numerose diocesi della Francia del Sudest e sui propri del Contado Venassino.
L'azione del C., sempre caratterizzata da una certa moderazione che contrastava con il comune atteggiamento dei cardinali del tempo, si svolse su due piani. Si trattava anzitutto di conciliarsi Firenze che sembrava decidersi per il papa di Roma: nel luglio del 1378 aveva concluso un trattato di pace con Urbano VI, manifestava una certa diffidenza per i papi francesi e sosteneva l'idea di un concilio per mettere fine allo scisma, d'accordo in questo con lui. Il C. intervenne allora per addolcire le sanzioni adottate contro la città dopo la ribellione del 1375 (la bolla dell'8 ott. 1381 autorizzò i Fiorentini a soggiornare nelle terre della Chiesa e ad Avignone) e indirizzò ai suoi concittadini varie lettere per convincerli del loro errore. A quanto pare, invano: una lettera di risposta di Coluccio Salutati non gli lasciò dubbi sui sentimenti dei Fiorentini a favore di papa Urbano. Egli approfittò tuttavia dei suoi legami con la Toscana per farvi accogliere nel 1389 l'inviato di Clemente VII, Pileo da Prato, un transfuga del partito di Urbano VI. Ricevuto da Filippo Corsini, il legato anche se non riuscì a fare entrare i Fiorentini nella fazione avignonese, li seppe però staccare definitivamente dal papa di Roma (più tardi, nel 1407, sarà ancora questo stesso Filippo Corsini ad essere inviato in ambasceria a Benedetto XIII dai Fiorentini). Malgrado la sua scelta avignonese, ma grazie alla sua moderazione, il C. restò quasi in permanenza in contatto con le principali famiglie toscane e si trovò spesso su posizioni convergenti con quelle dei suoi concittadini.
Su un piano più generale la sua posizione nei confronti dello scisma fu ugualmente moderata e prudente. Pur vivendo ad Avignone e sostenendo - all'inizio in modo solo ufficioso - Clemente VII, si dichiarò ancora nel 1381 partigiano del concilio e fu solo abbastanza tardi., tra la fine del 1385 e l'inizio del 1386,che egli si riunì definitivamente ai suoi colleghi avignonesi. A quanto pare, fu questa l'epoca di composizione del suo trattato De Schismate (Roma, Bibl. Corsiniana, ms. 40 D 3;e inoltre Ferrara, Bibl. comunale, ms. 264; Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 8497; Arch. Segr. Vat., Artn. LIV, 30, ff. 3-49) che, con una grande esibizione di autorità e citazioni giuridiche, sosteneva e illustrava il credito che occorreva accordare alle parole dei cardinali e del Collegio cardinalizio.
Alla fine di settembre del 1394 il C. partecipò tuttavia all'elezione del successore di Clemente VII, Pedro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII. L'intransigenza del nuovo papa, le pressioni del re di Francia (durante l'ambasceria dei duchi di Borgogna, di Berry e d'Orléans nel 1395) finirono tuttavia per convincere lui, come la maggior parte dei suoi colleghi, di affidarsi ad una sola soluzione, quella della "voie de cession". Nel 1398, quando la Chiesa di Francia decise di sottrarsi all'obbedienza, egli fu tra coloro che abbandonarono Avignone per rifugiarsi dall'altro lato del Rodano, in terra reale, a Villeneuve, mentre il palazzo papale veniva assediato. La tenacia di Benedetto XIII ebbe però ragione della resistenza dei cardinali e ancor prima che la restituzione di obbedienza fosse proclamata, il C. si presentò con altri dieci cardinali a fare onorevole ammenda davanti al papa (28 marzo 1403).
Sette mesi dopo, il 19 ott. 1403, fece testamento (in parte conservato), riaffermando solennemente il buon diritto dei papi di Avignone, ma ribadendo anche la sua fiducia in un concilio generale per risolvere lo scisma. Desiderando far conoscere la sua posizione, chiese anche che il suo trattato De schismate fosse mandato alle università di Parigi, Bologna, Salamanca e Oxford. A partire dal conclave del 1378 il vecchio cardinale, malgrado le esitazioni tattiche, aveva conservato dunque le stesse opinioni.
Viveva ormai in Avignone, nell'antica sede degli ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, circondato da una corte numerosa e cosmopolita. Il lusso era grande, come attesta l'inventario dell'argenteria e della biblioteca. Quest'ultima soprattutto era sicuramente una delle più ricche di Avignone e comprendeva almeno trecentoventi manoscritti che rilevano i suoi gusti e la sua cultura. Il diritto canonico e civile occupa evidentemente il primo posto, seguito dalle bibbie, dalle raccolte di lettere, dai sermonari, dai testi dei Padri della Chiesa, di s. Tommaso e di Alberto Magno. Sembra essersi anche interessato ai libri liturgici. Ma vi campeggiano anche Apuleio, Cicerone, Ovidio, Sallustio, Tito Livio, Valerio Massimo e Virgilio come Boccaccio (De casibus virorum illustrium) e Petrarca (De vita solitaria). Il C. fu in corrispondenza con i maggiori letterati del suo tempo (si conserva una lettera indirizzatagli da Coluccio Salutati). Ebbe sicuramente rapporti ad Avignone con Pierre d'Ailly e Jean de Montreuil, ma non fu certamente egli stesso un umanista. Contribuì tuttavia a favorire l'amore per le lettere e a fare di Avignone un punto d'incontro culturale tra l'Italia e la Francia. Il suo segretario particolare, Iacopo da Figline, fu poeta ed intrattenne relazioni costanti con l'ambiente umanista di Avignone, in particolare con Giovanni Moccia, antico segretario del cardinale Orsini.
Il C. morì ad Avignone il 16 ag. 1405.
Il suo corpo, depositato prima presso gli agostiniani, fu rimpatriato in seguito a Firenze, per essere seppellito in quella cattedrale. Benedetto XIII, sempre più minacciato, chiese agli esecutori testamentari l'estratto delle ultime volontà dove il C. riaffermava il suo appoggio ai papi di Avignone.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Convento di San Gaggio, 19 ag. 1405 (copia nell'Arch. Segr. Vat., Reg. Av. 325, ff. 216-251); Parigi, Bibl. Nat., Mss. Lat. 11.755: Témoignage de Bindo Fesulani, chapelain du cardinal sur le conclave de 1378, ff. 55v-56r (cfr. Arch. Segr. Vat., Arm. LIV, 14, ff. 29v-30 (deposizione del 1386; Ibid.; 16, ff. 50-52); una lista incompleta dei familiari del C. è nell'Arch. Segr. Vaticano, Reg. Suppl. 56, ff. 208-210; C.Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, lib. VIII, n. XXIII, p. 490; Lettres secrètes et curiales du Pape Urbain V se rapportant à la France, a cura di P. Lecacheux - G. Mollat, Paris 1906, nn. 963, 1170, 1175-1190, 1795, 1796, 2293, 2339, 2376, 2424, 2430; Lettres secrètes et curiales du Pape Grégoire XI relatives à la France, a cura di L. Murot-H. Jassemin, Paris 1935, nn. I, 2615, 2851, 3283, 3467; L. Carolus Barré, Bibliothèques médiévales inédites, d'après les archives du Vatican. in Mélanges d'archéol. et d'histoire, 1936, pp. 348-372, Lettres secrètes et curiales du Pape Grégoire XI intéressant les pays autres que la France, a cura di G. Mollat, Paris 1962, nn. 13, 20, 3424, 3654; F. Ughelli, Italia sacra, III,Venetiis 1718, coll. 150-151; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Corsini, Firenze 1859; N. Valois, La France et le Grand Schisme d'Occident, Paris 1896-1902, I, pp. 15, 23-27, 37, 40, 42-44, 50, 54, 56; II, pp. 30, 52, 71, 202 ss.; III, pp. 11, 14, 43, 96, 334; IV, p. 521; F. Bliedmet-Zrieder, Die Kardinäle Peter C., Simon de Borsano, Jacob Orsini und der Konzilsgedanke, in Studien und Mitteilungen aus dem Benediktinorden, XXIV (1903), pp. 360-377, 625-652; H. Otto, Ungedruckte Aktenstücke aus der Zeit Karls IV, in Quellen, IX (1906), pp. 72-83; E. Baluze, Vitae paporum Avenoniensum, a cura di G. Mollat, II, Paris 1927, pp. 557-567; M. de Bonard, La France et l'Italie au temps du Grand Schisme d'Occident, in Bibl. des Ecoles françaises d'Athènes et de Rome, CXXXIX (1936), pp. 33, 90, 110, 213; A. Coville, La vie intellectuelle dans les domaines d'Anjou - Provence de 1380 à 1435, Paris 1941, pp. 371, 377 s., 400; G. Mollat, Deux frères mineurs, Marc de Viterbe et Guillaume de Guasconi au service de la Papauté, in Arch. franc. histor., XLVIII (1955), pp. 54 s.; B. Guillemain, La Cour pentificale, étude d'une société, Paris 1962, pp. 188, 192, 194, 197, 211, 213, 219, 233, 265, 276, 597, 601, 712; E. Delaruelle-P. Ourliac-E-R. Labande, L'Eglise au temps du Grand Schisme..., Paris 1962, pp. 7 ss., 14, 36, 42 s., 48, 54, 81, 137; M. Dykmans, Les Palais cardinalices d'Avignon, in Mélanges de l'Ecole française de Rome, Moyen Age - Temps modernes, Rome 1971, pp. 403, 415, 419, 425; Id., Du conclave d'Urbain VI au Grand Schisme. Sur Pierre C. et Bindo Fesulani, écrivains florentins, in Arch. historiae Pontificiae, XIII (1975), pp. 207-230.