CONTICINI, Pietro
Nacque il 29 apr. 1805 a Strada (prov. di Arezzo), piccolo centro di quella Toscana rurale percorsa dall'azione pastorale del clero minore, che è tanta parte del panorama anche culturale della Restaurazione. Figlio di un modesto amministratore della locale mensa ecclesiastica, ricevette i primi insegnamenti da un prete di Strada ed entrò in seguito nel seminario di Fiesole, dove si guadagnò l'appoggio del patrizio Pirro Gatteschi per poter frequentare i corsi dell'università di Pisa. Qui conseguì la laurea nel giugno 1830, promotori il Carmignani e il Del Rosso, dei quali continuò ad ascoltare con assiduità le lezioni per almeno altri due anni (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, Autografi Porri, 137.3 e 42.23).
L'ambiente dei professori pisani, in quel periodo tra i più aperti in Italia agli sviluppi recenti della scienza giuridica europea, che essi tentavano d'innestare senza brusche fratture sul tronco delle tradizioni patrie, per superare al tempo stesso la crisi degli ordinamenti del tardo diritto comune e i rischi dei precipitosi rivolgimenti sperimentati durante l'epoca napoleonica, esercitò un peso determinante sui suoi indirizzi, suscitandogli un interesse per la Germania, che un lungo soggiorno di studi, il legame matrimoniale e le numerose amicizie dovevano poi trasformare in una vivissima inclinazione intellettuale e affettiva, più tardi riconosciutagli anche dal Mittermaier (lettera di questo al C., del 17ottobre 1849: ibid., 129.2). Linsegnamento del Carmignani e del Del Rosso, attento alla tradizione giurisprudenziale italiana e alle voci d'oltralpe, la frequentazione del Forti (il quale era uno dei tramiti principali del sismondismo in Toscana) promossero infatti quell'attitudine storicistica per la quale, con citazioni a volte superficiali, nelle lettere e negli scritti si riferiva a Vico, a Giannone, a Donatantonio D'Asti. Più netto ancora fu il segno della scuola storica del diritto tedesca, cui l'avviarono i suoi maestri e della quale divenne in Italia uno dei primi e più devoti e pazienti custodi.
Nel 1834 seguitando a coltivare, a fianco all'avvocatura, i suoi prevalenti interessi civilistici e romanistici, pubblicò sul Nuovo Giornale de' letterati di Pisa (pp. 91-114) la traduzione italiana, sobriamente annotata, del saggio del Savigny Sulla lex Voconia. Sulfinire dell'anno seguente, grazie a una borsa di studio del granduca Leopoldo II, istituita nel quadro di un apprezzabile tentativo di migliorare gli studi universitari, poté recarsi in Germania "per udire le lezioni de' più celebri professori" (Carmignani a Mittermaier, 18 sett. 1835: Heidelberg, Universitätsbibl., Heidelb. Hs. 3468; ivi anche un cenno di raccomandazione al Mittermaier da parte di P. Capei, in data 10 settembre 1835).
I suoi maestri gli fornirono numerose lettere di presentazione, delle quali può ricostruirsi l'intreccio attraverso vari carteggi, e persino il granduca si preoccupò di segnalarlo al principe Giovanni di Sassonia, e per suo tramite anche al principe Federico Guglielmo di Prussia (Briefwechsel ... Johann von Sachsen, p. 149). Seguito con vigile attenzione nel progredire dei suoi studi da Carmignani (Nicolini, pp. 427, 431; Heidelb. Hs. 3468; Aut. Porri 137-3), Del Rosso (ibid., 42.23) e Capei (ibid., 92.14), vi rimase fino al 1839, visitando le principali università tedesche e olandesi, dove ebbe modo di ascoltare Bethmann-Hollweg, Thibaut, Zacharia, Warnkönig, e di stabilire rapporti amichevoli con Ranke e August Wilhelm Schiegel. Egli conobbe, inoltre, giuristi assai noti come Holtius, Birnbaum, Mittermaier, Gerhard, Witte, o come Walter e Bluhme, dei quali poi tradusse le opere. Il suo principale interesse fu però rivolto all'insegnamento del Savigny, presso il quale compì studi severi, facendosi apprezzare da lui, come testimoniano alcune lettere, per le "hübsche Kenntnisse" e il "grosser Eifer" (Strauch, p. 257), e per "I' ardeur" di "novice consciencieux" e "l'intelligence... d'une instruction solide" (Nicolini, p. 427).
Progettando di volgere in italiano opere del maestro tedesco, il C. s'indirizzò da Berlino al professore senese Pietro Capei, che col Savigny aveva intrecciato una significativa qorrispondenza e che da tempo si adoperava a divulgarne gli scritti in Italia. Ne ricevette in risposta una lunga lettera del 26 febbr. 1836 (Aut. Porri 92.14), in cui il Capei lo sconsigliava di por mano, per ragioni dettate dal mercato librario, alla Geschichte delSavigny, cui fin dal 1829 aveva pensato il magistrato trentino Salvotti e della quale anche il Forti "aveva inteso l'utilità", proponendo senza successo a vari editori di ristampare gli articoli dell'Antologia che la compendiavano. Suggeriva pertanto di tradurre il Possesso, più corrispondente con gli indirizzi prevalentemente pratici dei giuristi italiani: in esso era "tanto a un tempo di scientifico e pratico, che quel libro dovrebbe entrare per forza nello Studio di qualunque legale".
Seguendo le indicazioni di Pietro Capei, il C. si dedicò a volgere in italiano il trattato del Savigny Das Recht des Besitzes, un'opera determinante nell'imprimere, sul piano metodologico e ricostruttivo, un indirizzo pandettistico agli studi di diritto romano e civile. Il diritto del possesso vide però la luce solo nel 1839, in Firenze, presso l'editore Pezzati, benché il traduttore avvertisse nella prefazione di avervi lavorato già prima d'intraprendere il viaggio in Germania (p. VII). La versione definitiva fu compiuta nel luglio 1837, mentre il C. si "trovava auditore del ch. Thibaut alla Università di Heidelberga", e fu poi completata a Berlino, "sotto gli occhi del medesimo Autore", che venne interpellato "in molti punti dei più difficili", e fu sollecito nell'apportare "conforto alla pubblicazione della medesima" (ibid.), la giudicò entusiasticamente (Buonamici, p. XVIII), ed ancora anni dopo si congratulava per il suo successo (Maffei, p. 203).
Più rapidamente fu condotta a termine invece, sempre in Germania, la traduzione dei saggio del Savigny sulle università tedesche (Essenza e pregi delle Università germaniche, in Nuovo Giornale de' letterati, 1838, pp. 193-214) e di un altro scritto tra i più significativi degli inizi della scuola storica, apparso nel 1820sul quarto tomo della rivista del Savigny. L'ordine deiframmenti nei titoli delle Pandette del Bluhme (tale il titolo in italiano) venne pubblicato a Pisa nel 1838, per i tipi dei Nistri. Presentando il volume, il C. riconosceva al Del Rosso il merito di averlo guidato allo studio della nuova scienza giuridica tedesca, di cui già condivideva le idee, collegandole, secondo l'esempio dei maestri toscani, con lo storicismo presente nella tradizione giurisprudenziale italiana, di origine giuridizionalista o vichiana. Citando Leibniz, Vico, e persino Hegel, il C. auspicava per la scienza giuridica una "sintesi nuova", che nella storia trovasse "la soluzione dei più importanti problemi morali e sociali'". Propugnava pertanto la nascita di una giurisprudenza storica che, sviluppando le linee percorse da Pietro Giannone, desse uno spiccato senso civile alla ricostruzione del proprio passato (Preambolo del traduttore). Tuttavia, nonostante le rumorose dichiarazioni per un "Diritto-scienza" nutrito di spiriti civili, da opporre al "Diritto-legge", frutto dispotico dei "mero arbitrio", il suo impegno non si sostanziò mai di robuste ragioni politiche.
Dalle centinaia di lettere dei successivi carteggi, in particolare da quelle numerosissime a Giuseppe Porri (Aut. Porri, 91, 92 e 101.23), una figura tipica di libraio dell'Ottocento al tempo stesso commerciante e uomo di cultura, in qualche modo attivo nell'adempiere anche ad un compito d'informazione culturale, emerge il ritratto di un uomo dimesso e appartato. incapace di cogliere il significato degli avvenimenti che si svolgevano di fronte a lui, nonché di parteciparvi, frequentemente angustiato da preoccupazioni domestiche e lutti familiari sofferti con la compunzione di uno spontaneo conformismo cattolico, pago di poche amicizie e di "qualche oretta in bottega del libraio", dove vedeva gli amici e "raccattava qualche notizia o storiella". Attraversò così anni e vicende cruciali, in Italia e in Germania dedicandosi senza slanci all'insegnamento e alla raccolta di libri tedeschi, su cui si aggiornava con cura, rinunciando ad ogni tentativo di elaborazione originale, ma tuttavia svolgendo anche un ruolo non trascurabile di mediazione fra la cultura tedesca e quanti in Toscana s'interessavano alle "novità di Germania".
Lo "sciagurato '48" accese in lui blandi spiriti patriottici e la speranza di un "presto compiuto nostro risorgimento", che conseguisse alla "gran partita che si giuoca nei piani Lombardi". Tra tanti "stupendi ed insospettati avvenimenti che han scosso da un capo all'altro l'Europa", sentì la pena del "disastro militare", provocato anche da quei nemici interni, "come unitari, repubblicani etc.", che rischiavano di condurre "tutta Toscana in piena anarchia". Contro di loro si rivolgevano le espressioni più dure - "Livorno certo dovrà pagarla cara" - frammiste a vaghe considerazioni moralistiche sulla decadenza dei tempi e sulla debolezza dell'"immensa maggiorità vigliacca", condannata a svegliarsi bruscamente quando "la ruberia convertita in teoria sociale umanitaria" avesse indirizzato i suoi prevedibili eccessi verso "attacchi alla proprietà privata". Altrettanto superficiali erano le sue considerazioni sulla situazione tedesca. Nel 1851 scriveva da Berlino: "Partout comme chez nous; con questa differenza, che qui il Governo è forte per farsi rispettare tanto dai Rossi che dai Dottrinari". Del pari lo trovarono estraneo i drammatici avvenimenti del '59 in Toscana e le vicende dell'unificazione. Egli stesso del resto avrebbe detto di sé nel 1862: "Oggi tutto il mondo è ingolfato nella politica, della quale non ho inteso mai nulla, ed ora anche meno, se può darsi un meno del nulla".
Nel 1838, frattanto, il C. aveva sposato a Berlino Luise Scherzer, da cui ebbe figli morti tutti in tenera età. Gli amici toscani, che seguivano affettuosamente i suoi studi (nel maggio, il Carmignani chiedeva a Mittermaier notizie di lui, "che odo tenere una vita vagabonda in Germania, ed essersi occupato di matrimonii": Heidelb. Hs. 3468, cc. n. n.), riuscirono a procurargli una cattedra d'istituzioni di diritto civile a Siena, a decorrere dal novembre 1839, alla quale era annesso l'insegnamento di storia dei diritto presso il collegio Tolomei. Rientrò in Italia poco prima dell'inizio dei corsi, dopo un viaggio reso più lungo dall'esigenza di far conoscere la nuova patria alla moglie, ormai "stanchissimo di questa vita nomade" e desideroso di raggiungere la sede a lui destinata (lettera a Porri, 18 ott. 1839). La cattedra tuttavia non gli riservò grandi soddisfazioni.
Pur concedendo alle lettere quel tanto di accentuazioni esistenziali che il genere stesso porta a volte con sé, i suoi carteggi sono punteggiati dall'amarezza per piccoli screzi con i colleghi (a Pisa detestò soprattutto il Centofanti), gelosie di mestiere, incomprensioni di varia natura, e dal disagio che gli derivava dal suo carattere non facilmente comunicativo. In una lettera a Celso Marzucchi, senza data, ma risalente con tutta probabilità al primo anno dei corsi (Siena, Bibl. com., ms. A.I.41, n. 38, cc. n. n.), lamentava "l'insopportabile affaticamento dei preparare giorno per giorno le mie bazzoffie accademiche... Per me va' male assai, e vivo continuamente in quello stato d'inquietudine del quale sei stato testimone, specialmente nell'avvicinarsi della ora fatale di salire in Bigoncia. Lavoro come un cane e poi finisco coll'essere sempre malcontento di me". Espressioni analoghe si ripetettero negli anni successivi, nonostante i cambiamenti di cattedra e di università, per la "guerra sorda" che sospettava da parte di molti colleghi, le "decepzioni crudeli" e la persistente sensazione di "un isolamento, una solitudine che sa di tomba", che lo inducevano a vivere "isolato e chiuso come un topo". Anche dal lato degli studenti ottenne rari riconoscimenti. Nel 1846, a Pisa, la loro ostilità, di natura politica, generò un incidente che giunse all'orecchio delle autorità centrali del granducato e dal quale egli poté uscire in un modo non del tutto onorevole (Michel, pp. 222 ss.).
Alla fine del 1841, su sollecitazione del Serristori, che con Mayer e Vieusseux avrebbe costituito nel congresso degli scienziati riunitosi in Firenze nel 1844 una commissione incaricata di studiare il problema, il C. aveva scritto degli Appunti sulla organizzazione del commercio librario in Germania, che intendeva pubblicare sull'Agrario (Firenze, Bibl. naz., Cart. Vieusseux 28.119 e 120) e che apparvero a Siena nel 1842. Benché elogiati dal Mittermaier (Italienische Zustände, Leipzig 1844, p. 37), gli Appunti, che toccavano una questione scottante per gli intellettuali italiani, acutamente avvertita come una delle principali per una moderna organizzazione della cultura (la questione della tutela del diritto d'autore, delle falsificazioni editoriali e della distribuzione dei prodotti librari), erano in realtà generici ed inefficaci, e soprattutto molto meno concreti di quanto avrebbe scritto poco dopo lo stesso Vicusseux.
Nel novembre 1843 il C. passò alla cattedra di istituzioni dell'università di Pisa, continuando a coltivare le amicizie tedesche ed a porsi al centro. in Toscana, di una rete di relazioni tra quanti s'interessavano al mondo germanico. Nel 1845 fu incaricato dal Nistri di rivedere la traduzione compiuta dall'avvocato Benelli del Manuale del diritto ecclesiastico di Ferdinand Walter, che gli apparve subito condotta malissimo (lettera al Porri, giovedì santo del 1845). Il Manuale venne poi pubblicato in due volumi, con annotazioni del C., dal 1846 al 1848. Ancora come traduttore egli fu impiegato dall'editore Monni di Genova, che nel 1855 fece apparire il Corso di economia politica di K. H. Rau, volto in italiano per opera del C., dopo un lavoro iniziato fin dal 1851 per le insistenze del Regny, ma rallentato da difficoltà ed intralci (lettere a Marzucchi, 5 marzo 1851: Siena, Bibl. com., ms. A. I. 41, n. 38, e a Porri, s. d., ma estate 1854: Aut. Porri, 101.23).
Nel novembre 1845 il C. passò alla cattedra di pandette, più prestigiosa, della università di Pisa. Vi doveva restare fino al 1851, quando, per la soppressione della facoltà giuridica pisana, fu trasferito a Siena, senza entusiasmo ed anzi con rassegnazione (lettere a Porri, ibid., 8 ottobre e 5 nov. 1851). Poco prima, durante l'estate, si era recato a Berlino, carico di commissioni per gli amici toscani e felice d'incontrare di nuovo Savigny (ibid., 8 sett. 1851). Proprio Savigny si adoperò nel 1854 per ottenergli una cattedra di pandette a Padova, che però non volle accettare (Buonamici, p. XVIII). Rientrò invece a Pisa nel 1859, con il ripristino della facoltà.
Il C. morì a Pisa il 10 nov. 1871. Dal 1863 egli era stato costretto a lasciare l'insegnamento, in seguito a un colpo di apoplessia.
Postume apparvero a Pisa nel 1876, per cura dell'allievo Filippo Serafini, le Lezioni di Pandette, dettate nel corso di molti anni. La opera, modellata secondo i grandi esempi tedeschi, soprattutto del Puchta, non era priva di spunti rilevanti e si segnala tra i manuali italiani di diritto romano dell'Ottocento per la coerenza nel seguire i metodi della pandettistica fiorente in Germania. Tuttavia non ebbe particolare successo: s'infittivano già le traduzioni dei trattati stranieri e diventava comunque sempre più diffusa e scontata la loro conoscenza diretta da parte degli studiosi italiani. L'immagine del C. resta perciò affidata soprattutto all'attività di traduttore ed alla capacità d'intessere una fitta rete di scambi culturali, della quale i carteggi sono la testimonianza più consistente. Ne fu consapevole in certo senso egli stesso; uno degli ultimi anni di vita scriveva con toni patetici al fedele Porri: "Eccoti autografi più o meno significativi dell'Holtius, del Savigny, del Mittermaier. Mettili cogli altri. Quando sarò morto alcuno li leggerà e saprà che sono esistito".
Fonti e Bibl.: Cenni brevissimi offrono il necrol. anonimo apparso sulla Provincia di Pisa, nel novembre 1871; F. Buonamici, Dei più chiari professori di diritto romano della università di Pisa dalla sua origine all'anno 1870, in Annali delle università toscane, XIV (18-74), 1, pp. III-IV, XVIII n. che pubblica in traduzione ital. due lettere del Savigny al C.; F. Serafini, Prefazione alle Lezioni di Pandette del C., Pisa 1876; E. Michel, Maestri e scolari della Università di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), Firenze 1949, pp. 222-25;G. Catoni, Giuseppe Porri e la sua collez. d'autografi nella Biblioteca comunale di Siena, in Critica storica, n. s., XII (1975), p. 472;F. Ranieri, Savignys Einfluss auf die zeitgenössische italienische Rechtswissenschaft, in IusCommune, VIII (1979), pp. 198, 201. Inaccessibile E. Micheli, Commemor. di P. C., Pisa 1871. Ricchissimi invece i carteggi, con tutta probabilità da integrare ulteriormente. Menzioni dei C. in lettere edite: cf. F. Nicolini, Nicola Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del sec. XIX, Napoli 1907, pp. 359, 427 s., 431, 440; Briefwechsel zwischen König Johann von Sachsen und den Königen Friedrich Wilhelm IV. und Wilhelm I. von Preussen, a cura di Johann Georg zu Sachsen-H. Ermisch, Leipzig 1911, p. 140;F. C. von Savigny, Briefwechsel mit Friedrich Bluhme, a cura di D. Strauch, Bonn 1962, p. 257. Quattro lettere del Savigny al C. ed una di Bethmann-Hollweg allo stesso, esaurientemente annotate, hanno pubblicato rispettivamente D. Maffei-K. W. Nörr, Lettere di Savigny a Capei e C., in Zeitschrift der Savigny-Stift. für Rechtsgesch., Rom. Abt., XCVII (1980), pp. 181-212. L'introduzione di D. Maffei, ricca di numerosi riferimenti eruditi, indica (pp. 185 ss.) la massima parte dei carteggi inediti, conservata tra gli Autografi Porri della Biblioteca comunale degli Intronati di Siena. Si segnalano ancora le lettere del C. a Marzucchi (Siena, Bibl. comun., ms. A. I. 41, n. 38);a Mittermaier (Heidelberg, Universitätsbibl., Heidelb. Hs. 3468; ivianche lettere di Capei e di Carmignani che menzionano il C.); a Ranke (Berlino, Staatsbibl. Preussischer Kukurbesitz, fondo Ranke, Erg. C.); a Vieusseux (Firenze, Bibl. naz., Cart. Vieusseux, 28-118-120); infine una lettera di Birnbaum al C. (Giessen, Universitätsbibl., Hs. N.F. 222-6).