COLEBERTI, Pietro
Pittore, il cui nome ci è noto per un'iscrizione relativa al ciclo di affreschi eseguiti nella chiesa di S. Caterina a Roccantica (Rieti) nella quale sono inoltre indicati il luogo di provenienza dell'artista, Piperno (l'attuale Priverno in prov. di Latina), la data di compimento dell'opera, il giugno del 1430, ed il nome del committente, Armelleo di Esculo de' Bastoni, nominato castellano e governatore di Roccantica dal papa Martino V il 17 luglio 1427. Del C. non è stato rintracciato nessun altro dato storico documentario né a Priverno né a Roccantica dove la decorazione della chiesa di S. Caterina d'Alessandria, - composta di otto storie tratte dalla vita della santa titolare della chiesa (prima rappresentazione figurata della pia leggenda, che precede di molti anni la trascrizione ad opera del vescovo Pietro de Natalibus nel suo Catalogus Sanctorum del 1493), da una Annunciazione, da un'Incoronazione della Vergine e dal Redentore tra quattro santi - costituisce la sua più cospicua e significativa testimonianza pittorica, fondamentale per delinearne la fisionomia artistica.
Il C. vi appare personalità di modesta levatura, non privo di una certa freschezza narrativa nell'affrontare la trattazione delle storie nei termini di un linguaggio figurativo da favola popolaresca. Il pittore si mostra, infatti, ampiamente partecipe di quella cultura tardogotica di accezione umbro-marchigiana tra i maggiori esponenti della quale è l'eugubino Ottaviano Nelli. Al Nelli del resto è stato fatto insistentemente riferimento in relazione all'arte del C., tanto da supporre un legame assai stretto tra i due artisti ipotizzandone persino un rapporto da scolaro (il secondo) a maestro (il primo). Tuttavia se i suoi caratteri stilistici denunciano chiaramente una formazione culturale umbro-marchigiana, il suo rapporto con il Nelli va piuttosto interpretato nel senso di una generale adesione ai modi tardogotici informati all'arte dell'eugubino, adesione per altro comune a un nutrito numero di modesti decoratori attivi tra l'Umbria meridionale e l'alto Lazio nei primi decenni del secolo.
Accanto ai tradizionali stilemi figurativi tardogotici, quali l'acuta indagine naturalistica, il gusto aneddotico e novellistico, la descrizione analitica di ambienti e di paesaggi, la vivacità rappresentativa, che tende quasi a deformare i tratti fisionomici dei personaggi nell'intento di esprimere con maggiore intensità stati d'animo e atteggiamenti, sopravvive nell'arte del C., incapace di liberarsi dal ricordo di modelli e motivi troppo noti, un substrato tradizionale e se vogliamo arcaico, che si rivela soprattutto in quelle scene che meno offrono lo spunto per una trattazione da favola cortese e dove l'adesione a prototipi ormai codificati dalla tradizione si palesa in formule scontate del tutto trecentesche.
Al C. è inoltre attribuito, per sicuri confronti stilistici confermati dalla recente interpretazione della iscrizione mutila appostavi, un affresco frammentario rappresentante la Traslazione della Santa Casa, proveniente dal chiostro della chiesa di S. Francesco a Gubbio, oggi staccato e conservato nella attigua sala capitolare; l'identificazione del soggetto, a lungo dibattuta dalla critica, trova conferma nella aderente lettura del testo, e si deve ritenere che esso sia stato rappresentato qui per la prima volta.
La mancanza di una tradizione iconografica a cui ispirarsi non impedisce al C. di esprimersi ancora secondo schemi compositivi tradizionali e affatto consueti suddividendo la storia in più episodi a sé stanti su uno sfondo naturalistico, dominati dalla trecentesca soluzione della Vergine entro la mandorla sorretta da angeli. Al gusto tardogotico ben poco concede il pittore accentuando semmai le cadenze lineari dei panneggi e indugiando in un realismo analitico nella descrizione di oggetti e di ambienti. La contenuta presenza di tali elementi ha suggerito una priorità cronologica dell'affresco rispetto a quelli di Roccantica, tuttavia la singolarità della rappresentazione e le condizioni frammentarie lasciano del tutto aperta la questione.
Su queste basi stilistiche si possono inoltre ascrivere al C. un altro affresco frammentario, situato nella chiesa di S. Benedetto a Priverno, rappresentante una Annunciazione esemplata su quella di Roccantica; una Vergine con il Bambino tra un santo vescovo e s. Pietro affrescata nella lunetta sopra la porta maggiore della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Sermoneta; ed infine un'altra opera ad affresco rappresentante, dubitativamente, una delle prove di martirio subite da S. Eleuterio, nella cripta della chiesa cattedrale di S. Clemente a Velletri, tanto frammentaria da considerarsi quasi illeggibile e la cui attribuzione al C. è perciò del tutto ipotetica.
Al C. sono stati attribuiti anche dei seguaci. A Montebuono un tale Iacopo da Roccantica eseguì la Natività, la Madonna in trono con angeli e s. Giovanni Battista e un frammentario Giudizio universale nella chiesa di S. Pietro, e un anonimo pittore attivo a Priverno nella chiesa di S. Antonio Abate decorò le quattro vele sopra la volta dell'altare rappresentandovi i SetteSacramenti e la Vergine con il Bambino.
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